Danno patrimoniale futuro della vittima principale ipotesi particolari

Lucio Munaro
28 Maggio 2014

E' pacifico in sede interpretativa che al minore competa il risarcimento del danno patrimoniale da incapacità permanente di guadagno, pur mancando un lavoro all'epoca del fatto illecito; il danno in tal caso è parametrato al mancato guadagno conseguente all'attività che presumibilmente sarebbe stata svolta se non si fosse verificato l'evento lesivo. Qui la quantificazione è resa assai complessa dal fatto che - trattandosi di soggetto non percettore di reddito - in sede di liquidazione non vi è alcun dato certo e obiettivo cui ancorare la stima del danno futuro. Naturalmente il calcolo va fatto in chiave equitativa, sulla base però di criteri che devono essere chiaramente esplicitati, onde prevenire arbitri o illegittime soluzioni ‘sommarie'.
Elementi costitutivi delle fattispecie particolari

Casalinga

Nel quadro della tutela risarcitoria, quella di casalinga non va considerata come una semplice condizione sociale, ma come una vera e propria attività lavorativa, quantunque non produttiva di un reddito monetizzato, ma solo figurativo (Chindemi 2011, 577; Settesoldi 2000, 1099). L'attività domestica è infatti suscettibile di valutazione economica quantunque non venga retribuita e non produca alcun reddito monetizzato, sicchè la perdita totale o parziale della capacità di occuparsi delle faccende domestiche giustifica il risarcimento del danno patrimoniale, non biologico (per tutte, Cass. civ., sez. III, sent., 11 novembre 2011 n. 23573). Tale danno patrimoniale futuro va dunque riconosciuto sia quando beneficiario del lavoro domestico è un nucleo familiare - legittimo o more uxorio - sia quando lo è la sola persona danneggiata - single - (per tutte, Cass. civ., sez. III, sent., 20 ottobre 2005 n. 20324). Il principio vale a prescindere dal sesso di chi svolga mansioni domestiche, sicchè la medesima tutela può essere ben rivendicata anche dall'uomo (‘casalingo'), quand'anche dette mansioni si traducano in coordinamento della vita familiare (Cass. civ., sez. III, sent., 3 marzo 2005 n. 4657). Il risarcimento compete anche alla casalinga che contemporaneamente svolga altra attività lavorativa, a condizione però che risulti dimostrata l'effettiva compatibilità tra le due occupazioni (Cass. civ., sez. III, sent., 30 novembre 2005 n. 26080), onde evitare dunque che la veste professionale domestica sia solo un simulacro.

Vi è una duplicità di parametri risarcitori concretamente utilizzabili quando i postumi compromettano la capacità di lavoro domestico. Da un canto è senz'altro utilizzabile il criterio del triplo della pensione sociale, che pure a questi fini ha una generale portata applicativa (per tutte, Cass. civ., sez. III, n. 16896/2010); d'altro canto si è anche fatto riferimento al reddito medio di una collaboratrice domestica (colf), peraltro rimarcandosi che la casalinga di regola svolge compiti più ampi di quest'ultima, in ragione della complessiva opera di direzione e governo del nucleo familiare, ciò che giustificherebbe un aumento equitativo - mediamente indicato nella percentuale del 20% (Bona 2006, 1076) - del reddito della colf (per tutte, Cass. civ., sez. III, n. 10923/1997).

Minore

E' pacifico in sede interpretativa che al minore competa il risarcimento del danno patrimoniale da incapacità permanente di guadagno, pur mancando un lavoro all'epoca del fatto illecito; il danno in tal caso è parametrato al mancato guadagno conseguente all'attività che presumibilmente sarebbe stata svolta se non si fosse verificato l'evento lesivo. Qui la quantificazione è resa assai complessa dal fatto che - trattandosi di soggetto non percettore di reddito - in sede di liquidazione non vi è alcun dato certo e obiettivo cui ancorare la stima del danno futuro. Naturalmente il calcolo va fatto in chiave equitativa, sulla base però di criteri che devono essere chiaramente esplicitati, onde prevenire arbitri o illegittime soluzioni ‘sommarie'.

Mancando dunque un reddito attuale, bisogna procedere su base probabilistica e presuntiva, con equo apprezzamento di tutte le circostanze rilevanti (purchè tempestivamente allegate); in pratica, deve immaginarsi il lavoro plausibile considerando tipicamente l'età, gli studi intrapresi nonché le inclinazioni e attitudini manifestate, il tutto nel quadro della posizione economico-sociale della famiglia, dell'attività lavorativa svolta dai genitori e delle presumibili opportunità offerte dal mercato del lavoro nella situazione data (ex multis, Cass. civ., sez. III, sent., n. 22911/2012; Cass. civ., sez. III, sent., n. 25571/2011).

Mancando la possibilità concreta di una tale previsione, potrebbe ricorrersi ad un ulteriore parametro sussidiario costituito dal reddito di uno dei genitori, sul presupposto che il minore seguirà le sue orme (Cass. civ., sez. III, n. 3949/2007; Cass. civ., sez. III, n. 14678/2003).

Qualora infine gli indicati parametri di valutazione non consentano una prognosi adeguatamente attendibile - ad es. per la troppo giovane età, ovvero la scarsa capacità rivelatrice degli studi intrapresi - e non venga in gioco una micropermanente, il giudice deve liquidare il danno secondo il (consueto) criterio residuale del triplo della pensione sociale (ex multis, Cass. civ., sez. III, n. 23298/2004) ovvero anche, in qualche pronuncia, parametrandolo al reddito medio di un lavoratore dipendente (Cass. civ., sez. III, n. 2335/2001).

E' utile sottolineare che la prova presuntiva esige un ragionamento inferenziale rigoroso, logicamente plausibile e fondato su basi univoche, non potendo mai trasmodare in deduzioni superficiali (magari indotte da suggestioni emotive umanamente comprensibili ma giuridicamente errate), come tali espressione di arbitrio giudiziale.

Disoccupato

Ha diritto al risarcimento il disoccupato il quale dimostri, tipicamente su base presuntiva, che in ragione di età, capacità, titolo di studio, eventuali pregresse esperienze lavorative e contesto familiare e sociale di riferimento verosimilmente la sua aspirazione a lavorare sarebbe sfociata nell'assunzione di un lavoro produttivo di reddito. Di regola va però riconosciuto solo il danno futuro collegato all'invalidità permanente, non già quello da invalidità temporanea (per tutte, Cass. civ., sez. III, sent., n. 16396/2010).

Per la quantificazione del danno deve dunque individuarsi in via presuntiva, secondo un criterio probabilistico, il lavoro che l'interessato avrebbe verosimilmente svolto, considerando il catalogo delle opportunità professionali che si presentano di regola in un dato momento storico in ragione degli indicati parametri; la delicata valutazione giudiziale postula quindi un qualche ausilio del c.t.u. medico-legale e soprattutto una discreta abilità nella formulazione di previsioni di politica economica in base allo stato del mercato del lavoro. Qualora gli elementi a disposizione del giudice non permettano comunque di pervenire alla quantificazione del danno, non si può ricorrere, quasi fosse un automatismo sussidiario (triplo della pensione sociale), alla liquidazione ex art. 4 l. 26 febbraio 1977 n. 39 - poi trasfuso nell'art. 137 Cod. Ass. - (Cass. civ., sez. III, n. 16639/2008); dunque l'inadeguatezza del quadro probatorio in merito ai parametri risarcitori impone il rigetto della domanda.

Non compete invece alcuna tutela a chi sia disoccupato per scelta o consapevole rifiuto dell'attività lavorativa (Cass. civ., sez. III, n. 16396/2010), giacché la volontarietà di tale condizione impedisce di presumere la verosimiglianza di un qualche probabile futuro impiego.

Pensionato

Il pensionato per limiti di età di regola non può vantare pretese risarcitorie da compromissione della capacità di guadagno, visto che tipicamente non svolge più attività lavorativa produttiva di reddito suscettibile di elisione o riduzione. E' dunque normale presumere che per il periodo successivo al pensionamento non si ponga alcuna esigenza di risarcimento del danno patrimoniale futuro (Cass. civ., sez. III, n. 15822/2005). Cionondimeno può ben accadere che pur dopo l'età pensionabile venga intrapresa una qualche attività lavorativa redditizia, giacchè la qualità di pensionato non esclude la possibilità di svolgere ogni tipo di lavoro; in tal caso l'esigenza di risarcimento del danno patrimoniale futuro si pone come d'ordinario. Ovviamente l'onere di allegazione e prova si incentrerà anzitutto sull'effettività di un lavoro redditizio svolto dopo l'età della pensione (Cass. civ., sez. III, sent., n. 8744/2000).

Onere della prova

Con specifico riguardo alla casalinga, la medesima ha anzitutto l'onere di dare la prova dell'attività svolta, e dunque del suo ruolo effettivo nel menage domestico, conformemente ai principi; per comune interpretazione, si deve trattare di attività svolta in modo sistematico e come tale funzionale al ‘governo' della comunità domestica. Ancora più pregnante sul piano probatorio sarebbe la dimostrazione, nel quadro di una comunità familiare, del ricorso ad un ausilio esterno (ad es. colf) durante il periodo di invalidità temporanea assoluta (Chindemi 2010, 591).

Non vi è alcun automatismo tra il riscontro dell'invalidità permanente e la compromissione del lavoro domestico, dovendo sussistere necessariamente una relazione causale. La casalinga deve dunque dimostrare che l'invalidità accertata impedirà o renderà più difficoltoso in futuro il suo lavoro in casa (Cass. civ., sez. III, sent., 9.10.2012 n. 17167; Cass. civ., sez. III, sent., n. 23573/2011); è naturalmente utilizzabile la prova per presunzioni, la cui agevolezza ed efficacia dimostrativa sono direttamente proporzionali al grado di invalidità concretamente accertato.

L'onere probatorio gravante sulla casalinga che svolga contemporaneamente un altro lavoro - ciò che non osta comunque alla tutela risarcitoria, come visto - deve incentrarsi sull'effettiva compatibilità tra il ‘mestiere' domestico e l'altro lavoro; in pratica dovrà dimostrarsi con particolare puntualità che l'espletamento delle faccende domestiche rientra organicamente nel coordinamento lato sensu dell'intera vita familiare (Cass. civ., sez. III, sent., n. 26080/2005) e non si tratta così di impegni disorganici a causa dell'altro lavoro (che in tal modo avrebbe carattere assorbente).

Ai fini del risarcimento non vi è necessità di dare prova della perdita economica correlata (in ipotesi) al ricorso ad un aiuto esterno, giacchè diversamente la tutela verrebbe negata proprio a chi non aveva potuto permettersi economicamente una collaborazione esterna nel periodo di invalidità (Cass. civ., sez. III, sent., n. 16896/2010).

Quanto al minore, la generale presunzione circa l'effettività della compromissione della capacità di lavoro indotta da una macropermanente si manifesta anche nella giurisprudenza relativa al danno subito dal medesimo. Ed infatti la maggiore rilevanza della lesione biologica fa presumere che si produrrà anche per il minore un danno patrimoniale futuro da compromissione della (futura) capacità lavorativa, talchè - ferma la valutazione bilanciata dei vari parametri visti - è spostato sul danneggiante l'onere di dimostrare che il minore sul piano professionale non risentirà conseguenze dalle lesioni (per tutte, Cass. civ., sez. III, sent., n.19445/2008). Se di regola una micropermanente (grado di invalidità permanente inferiore al 10 %) giustifica il ragionamento presuntivo circa la sua futura irrilevanza nell'ambito professionale, è ovviamente salva la prova contraria a carico del danneggiato; sicchè per es. la giovane arpista molto talentuosa potrà invocare un significativo risarcimento a tale titolo, lamentando una lesione alla mano (o anche al piede, per le caratteristiche dell'arpa) la quale, secondo i consueti parametri medico-legali, resti comunque perimetrata nell'area delle micropermanenti.

Aspetti medico-legali

Impone specifica attenzione il delicato giudizio prognostico circa le ripercussioni della lesione sulle plausibili attività future del disoccupato (Scotti 2010, 231 ss.), dovendosi incrociare valutazioni di stampo medico-legale con (complesse) previsioni occupazionali necessariamente ancorate ad indicatori affidabili quali ad es. il dato anagrafico, la formazione culturale, le conoscenze tecniche di settore, il pregresso professionale e le chance di mercato nella situazione data. Davvero prezioso, al riguardo, il decalogo approvato dalle associazioni medico-legali nella Consensus Conference (Buzzi - Tavani - Valdini, 2008, 28) giacchè fornisce ai medici legali accurate indicazioni operative, tali da garantire, tra l'altro, la necessaria separatezza concettuale e pratica tra le competenze medico-legali e quelle squisitamente giuridiche.

Criteri di liquidazione

Con particolare riguardo alla tecnica di liquidazione del danno patrimoniale futuro risentito dal minore deve anzitutto individuarsi il quantum del reddito di riferimento nella proiezione futura.

Può trattarsi - come spesso accade nella prassi - di un reddito figurativo fissato su base equitativa, cosicchè poi al c.t.u. medico-legale viene demandata l'individuazione della percentuale di riduzione della capacità lavorativa nel modo già visto; poi si moltiplica il reddito per detta percentuale, pervenendo così all'aliquota di reddito presuntivamente perduto.

In alternativa - e secondo l'opzione preferita dalla dottrina di riferimento in materia (Rossetti 2009, 847 ss.) - all'individuazione della quota di reddito perduto si perviene sottraendo dal reddito che il minore avrebbe potuto presuntivamente percepire secondo i parametri già visti (ad es. il reddito annuale medio di un impiegato di buon livello nel settore manifatturiero) il reddito reso verosimilmente possibile dai postumi permanenti (ad es. il reddito annuale medio di un impiegato d'ordine di livello basso nel medesimo settore).

Individuata in uno dei due modi, la quota di reddito va poi capitalizzata, operando la consueta moltiplicazione per un coefficiente per la costituzione di una rendita vitalizia. Quale che sia la tabella prescelta, il coefficiente di capitalizzazione deve corrispondere all'età in cui il danneggiato avrebbe presumibilmente iniziato l'attività lavorativa, giacchè la perdita reddituale rileva solo con quella decorrenza - in tabella, come visto, ad ogni età corrisponde un diverso coefficiente -.

Quindi - qualora (come auspicabile) si applichi una tabella diversa da quella allegata al r.d. 9 ottobre 1922 n. 1403 - deve operarsi la riduzione percentuale da scarto tra vita fisica e vita lavorativa.

Inoltre (come ben spiegato da Rossetti) poiché nel caso del minore si liquida ora un danno che inizierà a manifestarsi tra qualche anno - cioè col verosimile inizio dell'attività lavorativa - la somma ottenuta va ulteriormente moltiplicata per il c.d. coefficiente di minorazione per la capitalizzazione anticipata - per evitare un indebito arricchimento da attribuzione ora per allora degli interessi composti. Tale coefficiente varia in ragione del numero di anni che intercorrono tra il momento della liquidazione e quello di presumibile inizio del lavoro, quando cioè inizierà a manifestarsi la perdita reddituale da lucro cessante.

Esemplificando - con la prima delle due tecniche di calcolo suindicate (reddito figurativo su base equitativa) -, se vi sono le condizioni per ricollegare ad un quindicenne un reddito annuale figurativo di € 30.000,00, e in ragione dei postumi permanenti il c.t.u. individua una percentuale di compromissione della capacità lavorativa del 25 % (perdita di ¼ delle attitudini professionali), l'aliquota di reddito perduta ammonta a € 7500,00 - cioè 30.000 x 25 % -. Presumendo che sarebbe stata svolta attività impiegatizia che presuppone un diploma di ragioniere ovvero di tecnico commerciale, la plausibile età di inizio lavoro può essere mediamente collocata a 20 anni.

Utilizzando ad es. per l'operazione di capitalizzazione i coefficienti di una rendita unitaria anticipata immediata ed intera redatti in base alle tavole di mortalità della popolazione italiana del 1981, all'età di 20 anni corrisponde il coefficiente 32,401; la successiva moltiplicazione per 7500 ai fini della capitalizzazione conduce alla somma di € 243.007,50. Va quindi operata la riduzione percentuale per lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa - che in ipotesi viene individuata nel 20 % - talchè si perviene alla somma di € 194.406,00. Da ultimo va effettuata la moltiplicazione della somma in parola per il c.d. coefficiente di minorazione per la capitalizzazione anticipata, e dunque per il numero di anni - in concreto 5 - che separano la liquidazione dall'inizio dell'attività professionale. Siccome il coefficiente di minorazione corrispondente a 5 nella relativa tabella è di 0,802 (al tasso del 4,5 %), moltiplicando 194.406,00 per 0,802 si arriva alla quantificazione conclusiva di € 155.913,61.

Significativamente diverso il risultato utilizzando invece i coefficienti contemplati nella tabella allegata al r.d. 9 ottobre 1922 n. 1403. Difatti il coefficiente correlato all'età di 20 anni è 19,177, sicchè l'operazione di capitalizzazione (7500 x 19,177) conduce alla somma di € 143.827,50, la quale non deve poi subire (come visto) la riduzione per lo scarto tra vita fisica e lavorativa. Con la conclusiva applicazione del c.d. coefficiente di minorazione (143.827,50 x 0,802) si perviene ad un danno stimato conclusivamente in € 115.349,65, molto inferiore a quello da risarcire sulla scorta degli altri coefficienti.

E' pertanto evidente, nel contesto risarcitorio in parola, la centralità della scelta dei coefficienti di capitalizzazione più adeguati, sicchè la reiterata propensione giudiziaria all'uso di quelli più risalenti cit. può essere adeguatamente arginata da difese puntuali; le quali, evidenziando come l'uso delle tabelle in materia risponda pur sempre ad un criterio da natura equitativa (con motivazione che rinvia alla logica interna alla tabella: per tutte, Cass. civ., sez. III, sent.,n. 4186/2004), potrebbero motivatamente argomentare a favore dell'uso di coefficienti più attuali.