Operazioni fittizie: condannato l'imprenditore anche se adempiente alle imposte
02 Agosto 2016
L'imprenditore che usa fatture soggettivamente false è condannato anche se paga le imposte. È una posizione molto dura quella della Corte di Cassazione, presa nei confronti di tre imputati che erano ricorsi davanti alla Suprema Corte.
La Corte osservava che la fittizietà delle operazioni indicate nelle fatture era indiziata dai flussi finanziari, del tutto inversi all'apparente pratica commerciale; e, ciò detto, i Giudici della Corte hanno fornito la distinzione tra inesistenza oggettiva e soggettiva. “Si è rilevato – osservano i giudici nella sentenza del 24 giugno 2016, n. 26431 – che il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, ovvero quella relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all'IVA, esso comprende anche la inesistenza soggettiva, ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura”.
Venendo quindi alla mancanza di evasione, la Corte ha evidenziato che nella frode fiscale “il nucleo costitutivo è concretato dalla dissimulazione di componenti positivi o dalla simulazione di componenti negativi del reddito, attuate in forme artificiose, ed il reato si perfeziona nel momento nel quale la dichiarazione dei redditi è presentata agli uffici finanziari, traducendosi in un atto che esce dalla sfera soggettiva del contribuente, per porsi quale elemento strutturale della fattispecie, la cui realizzazione segna la consumazione del reato”. Pertanto, appare evidente che la condotta sia stata attuata ed esaurita nel momento in cui è stata presentata la dichiarazione fraudolenta; i successivi sviluppi del rapporto tributario sono parsi, quindi, ininfluenti. |