Compensi sproporzionati e regole di indeducibilità
02 Dicembre 2016
La deducibilità dei compensi degli amministratori di società, disciplinata dalle norme del T.U.I.R. (dall'art. 62, ora 95 comma 5, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), non implica che l'Amministrazione finanziaria sia vincolata alla misura indicata nelle deliberazioni societarie, competendo all'Ufficio la verifica delle attendibilità di tali dati. Il principio di diritto è stato ribadito dalla Cassazione nella sentenza n. 24379/2016.
Nell'esaminare il ricorso dell'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza CTR, la sezione Tributaria ricorda come ai fini della generale deducibilità dei costi non sia sufficiente che il contribuente fornisca la prova delle effettività dei componenti negativi (ossia che essi non siano esistenti) dovendo altresì fornire la prova della loro inerenza - anche in senso quantitativo - alla produzione di ricavi o altri proventi concorrenti alla formazione del reddito d'impresa, ex art. 109, comma 5, D.P.R. n. 917/1986.
Il difforme orientamento, minoritario (cass. civ. n. 24957/2010), muove dal presupposto che l'art. 95 non contenga alcun riferimento ai limiti massimi di spesa per i compensi, superati i quali sia esclusa la deducibilità; da tale premessa viene tratta la conclusione che all'Amministrazione finanziaria non è riconosciuto un potere di valutazione di congruità, salva la possibilità per l'Erario di fare ricorso alla disciplina della simulazione e dei negozi in frode alla legge. In senso contrario, osserva la Suprema Corte nella pronuncia in oggetto, il mancato riferimento a tabelle o indicazioni vincolanti che pongano limiti massimi di spesa per i compensi agli amministratori di società od enti non costituisce valida ragione per derogare alle regole generali in materia di indeducibilità di costi sproporzionati.
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