Giurisdizione tributaria e procedure concorsuali
08 Febbraio 2016
La Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 21483/2015, in tema di ammissione al passivo fallimentare di un credito tributario, riafferma il consolidato principio della esclusività della giurisdizione tributaria in materia di tributi, che non subisce deroghe nemmeno in presenza di procedure fallimentari. La problematica nasce dalla necessità di conciliare l'esclusività della giurisdizione tributaria, sancita dall'art. 2 D.Lgs. n. 546/1992 con la parimenti esclusiva competenza del giudice fallimentare, prevista dagli artt. 24, 52 e ss. della L. Fall. per l'accertamento e l'ammissione al passivo dei crediti. Al riguardo si potrebbe ipotizzare un potenziale conflitto tra la giurisdizione tributaria e la competenza esclusiva del giudice fallimentare.
In effetti il conflitto è solo apparente, e si risolve a favore della giurisdizione tributaria, nel senso che in materia di tributi anche nei confronti delle procedure fallimentari prevale la giurisdizione tributaria. La regola dell'esclusività della giurisdizione in materia tributaria vale anche per i giudizi in cui è parte la curatela e nella specie non trova applicazione l'art. 24 L. Fall.
L'art. 52 L. Fall. dispone che qualunque pretesa di contenuto patrimoniale deve essere accertata nelle forme previste dagli artt. 93 ss. L. Fall. Orbene tale regola vale sicuramente per i diritti patrimoniali la cui tutela rientra nella giurisdizione del G.O. (ad esempio, i diritti di credito, i diritti reali). Invece per l'accertamento delle pretese tributarie sussiste la giurisdizione esclusiva delle Commissioni Tributarie. È pacifico che la mancata impugnazione dell'atto impositivo o di riscossione nelle forme e nei termini di legge, da parte del contribuente ancora in bonis, preclude in sede di contenzioso tributario (ed ancor più in sede fallimentare) qualunque contestazione nel merito da parte del curatore, perché la pretesa è ormai diventata definitiva a seguito della mancata opposizione da parte del contribuente non ancora fallito, unico legittimato all'azione. In tali ipotesi non possono essere sollevate eccezioni inerenti il merito della pretesa. Solo quando la pretesa tributaria è stata definitivamente accertata innanzi al giudice tributario, è onere dell'ente impositore e dell'agente della riscossione rispettare le forme previste dalla legge fallimentare per ottenere il soddisfacimento del proprio credito nei confronti del contribuente fallito.
Vale a dire che l'ente impositore e l'agente della riscossione per ottenere il pagamento del credito vantato nei confronti del fallito devono insinuarsi al passivo fallimentare, in base all'atto (amministrativo o giurisdizionale) che ha accertato definitivamente in sede tributaria il credito tributario. Dunque, qualunque controversia che abbia ad oggetto una pretesa tributaria rientra nella giurisdizione tributaria e pertanto deve essere accertata sia nell'an che nel quantum debeatur davanti alle commissioni tributarie. Consegue che anche la prescrizione, quale fatto estintivo dell'obbligazione tributaria, rientra nella giurisdizione del medesimo giudice che ha giurisdizione in merito alla predetta obbligazione. Si applica il generale principio in base al quale il giudice che ha giurisdizione (il principio vale anche per la competenza) sul diritto dedotto in giudizio, conosce dello stesso anche in relazione ai fatti estintivi del diritto medesimo. Tuttavia l'applicabilità di tale principio deve essere valutata alla luce delle particolari caratteristiche proprie della giurisdizione tributaria, la quale è certamente generale ed esclusiva, ma è altresì limitata e non esaustiva, perché ha natura soltanto impugnatoria, nonché di sola cognizione.
Prescrizione del credito tributario e riflessi sulla giurisdizione
Come è noto, a causa della connotazione meramente impugnatoria della giurisdizione tributaria, al contribuente è concessa la facoltà di proporre ricorso soltanto avverso un atto dell'ente impositore o dell'agente della riscossione, ai sensi dell'art. 19 D. Lgs. n. 546/1992. Non sono ammesse nell'ambito della giurisdizione tributaria azioni che non presuppongano l'esistenza di un atto impugnabile.
Inoltre, per espressa disposizione di legge, un ulteriore limite è posto alla giurisdizione tributaria, la quale si arresta davanti all'esecuzione coattiva della pretesa tributaria, che è devoluta al giudice ordinario (art. 2 D. Lgs. n. 546 cit.). In applicazione dei predetti principi il contribuente che voglia far valere la prescrizione di un credito tributario definitivamente accertato, per poter adire il giudice tributario deve attendere necessariamente l'emissione dell'atto successivo da parte dell'ente che ne reclama il pagamento, a condizione che tale successivo atto non sia un atto dell'esecuzione forzata.
La pretesa tributaria diviene definitiva per mancata impugnazione dell'atto impositivo nei termini previsti dalla legge (acquiescenza) o a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che sulla pretesa abbia statuito. La prescrizione incide sul diritto di credito, nel senso che lo estingue a causa dell'inattività del creditore per il mero decorso del tempo, ma non anche sul titolo, dal quale deriva il credito, che rimane valido ed efficace. L'affermazione è dimostrata dal fatto che se il debitore non eccepisce espressamente la prescrizione, il titolo spiega i suoi effetti e può essere imposto in sede di esecuzione forzata il pagamento del credito in esso incorporato. Sorge dunque in ambito tributario un problema specifico in relazione alle modalità attraverso le quali sia possibile eccepire l'estinzione del credito tributario per prescrizione. Se il titolo (cartella esattoriale, ingiunzione fiscale, sentenza) non è stato impugnato nei termini concessi dalla legge, nessuna azione autonoma diretta all'accertamento dell'estinzione, per intervenuta prescrizione, del credito incorporato nel titolo è consentita dalla vigente normativa, per gli esposti limiti della giurisdizione tributaria. Il contribuente deve attendere, nel rispetto della regola sopra indicata, propria della giurisdizione tributaria, che è caratterizzata dalla sua natura impugnatoria, la notifica di un successivo atto da parte dell'ente creditore, avverso il quale può proporre tempestiva opposizione, con cui eccepire l'intervenuta prescrizione del credito.
L'atto successivo potrà essere costituito dall'avviso previsto dall'art. 50, D.P.R. n. 602/1973, ovvero dalla comunicazione di iscrizione ipotecaria o di fermo amministrativo, o anche da un avviso bonario ‘atipico', che ormai la giurisprudenza di merito e di legittimità ritiene parimenti impugnabile. In tali ipotesi permane la giurisdizione del giudice tributario, e quindi, come ha affermato la Corte Suprema nell'ordinanza in esame, la relativa eccezione di prescrizione del credito dovrà essere proposta necessariamente ed esclusivamente nel giudizio di opposizione (da promuovere davanti al giudice tributario) avverso l'atto immediatamente successivo a quello che costituisce il titolo della pretesa tributaria.
Diversamente, qualora invece, dopo la notifica del titolo che accerta definitivamente la debenza del tributo, l'ente impositore o l'agente della riscossione procedano direttamente all'esecuzione, l'eccezione di prescrizione non potrà essere proposta davanti al giudice tributario, il quale non ha giurisdizione in sede di esecuzione, bensì va sollevata innanzi al giudice ordinario nel processo di esecuzione, in cui il contribuente, opponendosi all'atto di pignoramento o ad altro atto dell'esecuzione, potrà eccepire la prescrizione del diritto di credito dell'ente impositore, anche se azionato dall'agente della riscossione, contestando in tal modo il diritto di procedere all'esecuzione. Insinuazione al passivo fallimentare dei crediti tributari
In sede concorsuale, se al giudice fallimentare è sempre precluso l'esame del merito della pretesa tributaria nell'an e nel quantum, gli deve invece essere riconosciuto il potere della verifica ‘esterna' del titolo (ruolo, cartella esattoriale, sentenza passata in giudicato), al fine di verificare:
A tale soluzione sembrerebbe ostare l'art. 57, comma primo, lett. b), D.P.R. n. 602/1973 il quale dispone che, nell'esecuzione fiscale, non sono ammesse le opposizioni regolate dall'art. 615 c.p.c., eccetto quelle concernenti la pignorabilità dei beni, e dall'art. 617 c.p.c., relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo; ebbene, alla luce delle (poche) pronunce di legittimità al riguardo, si osserva che al contrario sono pienamente ammissibili le opposizioni avverso il pignoramento e gli altri atti dell'esecuzione tributaria, i quali soltanto sono oggetto dell'impugnazione, al fine di denunciare fatti estintivi (e/o impeditivi) sorti dopo la creazione del titolo esecutivo (Cass. civ., ss.uu., n. 15563/2002; Cass. civ., ss.uu., n. 2090/2002; Cass. civ., n. 6420/2004), proprio perchè al giudice ordinario è chiesto di assicurare tutela ai diritti soggettivi (Corte Cost. n. 275/2001), che diversamente opinando non avrebbero tutela alcuna. Dalla lettura dell'ordinanza della Corte in esame non emergono tutti gli elementi di fatto della controversia, per cui non è dato sapere in quale delle ipotesi sopra indicate si verte.
È certo tuttavia che il fallimento ha, tra le altre caratteristiche, quella di procedura esecutiva concorsuale, per cui il giudice delegato al fallimento non è altro che il giudice dell'esecuzione concorsuale, che ha inizio con la dichiarazione di fallimento, equivalente ad un generale atto di pignoramento sul patrimonio del debitore. Se dunque la pretesa viene azionata dall'agente della riscossione in sede fallimentare quando ancora pendono i termini per l'impugnazione del titolo ovvero gli stessi non sono ancora iniziati a decorrere per omessa notificazione del ruolo e della cartella al curatore, è pacifico che l'opposizione deve essere proposta davanti al giudice tributario, al quale la legge attribuisce la giurisdizione esclusiva in materia di tributi.
Qualora invece la pretesa sia divenuta definitiva (da tempo) per mancata impugnazione della cartella notificata e non vi siano stati atti successivi interruttivi della prescrizione, quest'ultima può essere eccepita innanzi al giudice dell'esecuzione, sia concorsuale che individuale, davanti alla quale per legge si arresta la giurisdizione tributaria. È opportuno precisare che l'eccezione relativa all'estinzione della potestà impositiva per il decorso dei termini concessi dalla legge all'ente impositore e all'agente della riscossione è di decadenza e non di prescrizione fino alla notifica della cartella esattoriale, come è agevole rilevare dalle norme dettate in materia di imposte dirette, indirette, IVA e tributi locali.
Invece la prescrizione del diritto di credito opera solo successivamente alla notifica della cartella esattoriale, allorquando non vi è spazio alcuno per l'istituto della decadenza. È importante pertanto tenere ben distinti in ambito tributario i termini di decadenza da quelli di prescrizione, trattandosi di istituti diversi. Nel caso esaminato dalla Corte pare evincersi che il concessionario abbia chiesto l'ammissione al passivo in base al ruolo. In conclusione
Conclusivamente, in relazione alla complessa vicenda dell'insinuazione al passivo fallimentare dei crediti tributari, è necessario valutare:
Infine, la Corte richiama nell'ordinanza in commento un precedente caso deciso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 23832/2007 che però concerne il caso particolare, forse unico nel panorama della legislazione tributaria, di un tributo (tasse automobilistiche) per l'accertamento del quale la legge (L. n. 53/1983, successivamente modificata dalla L. n. 60/1986) non prevede termini di decadenza, ma soltanto di prescrizione, e quindi il principio affermato dai giudici di legittimità sulla prescrizione deve essere adattato alle differenti ipotesi in cui bisogna distinguere tra i diversi istituti della decadenza e della prescrizione in materia tributaria. |