Penalmente responsabile l’imprenditore che non versa l’IVA

La Redazione
01 Settembre 2015

Non può essere assolto l'imprenditore che sceglie di non pagare l'imposta sul valore aggiunto, per utilizzare la medesima liquidità per acquistare delle materie prime necessarie per risollevare le sorti dell'azienda. Lo stabilisce la Cassazione con la sentenza n. 33021/2015.

La Terza sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 33021 del 28 luglio 2015 ribadisce un principio analogo già contenuto in altre sentenze; ovvero che l'imprenditore che si giustifichi per il mancato pagamento dell'IVA, con l'impossibilità di adempiere a tale obbligo per mancanza di liquidità, utilizzata per risollevare l'azienda da uno stato di crisi incorre comunque nella responsabilità penale.

Infatti, l'eventuale esimente deve essere accompagnata da prove che dimostrino il reale stato di crisi di liquidità dell'impresa; che tale carenza non sia imputabile a responsabilità pregresse dell'imprenditore medesimo; e che la crisi potesse superarsi solamente non assolvendo al versamento dell'imposta.

Nel caso di specie, il Tribunale di Camerino dichiarava un imprenditore responsabile dell'omesso versamento di IVA risultante dalla Dichiarazione IVA 2006, per un importo superiore alle soglie di punibilità stabilite dall'art. 10-ter del D.Lgs. 74/2000, condannandolo a quattro mesi di reclusione.

A nulla è valso l'appello dell'imputato in Commissione Tributaria Regionale delle Marche dopo che la Commissione Tributaria Provinciale di Ancona aveva già confermato la sentenza del Tribunale.

Da qui il ricorso in Cassazione della difesa che rileva come l'imprenditore avrebbe commesso l'inadempimento per causa di forza maggiore, ovvero in conseguenza della crisi di liquidità dell'azienda determinata dal mancato incasso di una notevole massa di crediti commerciali.

Per la Suprema Corte il ricorso è invece da ritenersi inammissibile per mancanza di specificità nella censura; inoltre la disciplina tributaria, nei casi di omesso versamento IVA, non fa distinzione tra l'imprenditore che ha agito intenzionalmente da quello che ha operato per causa di forza maggiore.

Con la sentenza n. 27676 del 26 giugno 2014 la Cassazione aveva inoltre indicato i presupposti per i quali la violazione in oggetto non costituisce reato, ovvero quando vi è “… la dimostrazione della correttezza della gestione caratteristica dell'impresa e che questa sia stata negativamente condizionata da fattori non controllabili; e con la dimostrazione dell'inutilità del ricorso a misure alternative alla gestione caratteristica dell'impresa per fronteggiare la crisi di liquidità”.

Per la Cassazione, nel caso di specie è l'imprenditore ad aver causato lo stato di crisi di liquidità dell'impresa e pertanto piuttosto che la causa di forza maggiore, è più corretto parlare di “… inadempimento consapevole all'obbligo di corresponsione in favore dell'Erario” dato che è il suo comportamento che ha comportato la mancanza della provvista necessaria all'adempimento tributario.

La Suprema Corte dichiara pertanto inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre ad un'ammenda per Euro 1.000.

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