Le misure in materia di giurisdizione della "Manovra fiscale"Fonte: DL 24 aprile 2017 n. 50
04 Maggio 2017
Nonostante il dibattito in corso facesse sperare in un interessamento più incisivo del legislatore verso la giurisdizione tributaria, specie quella di merito che ha dimostrato in questi ultimi anni efficienza e prontezza nel definire le liti pendenti e che attendeva poche ma significative iniziative, nessuna delle quali ha visto la luce nelle disposizioni approvate nel decreto legge, la cosiddetta manovrina, il D.L. n. 50 del 24 aprile 2017, si è concentrata in questo campo nella già annunciata notevole estensione dell'area del c.d. “reclamo e mediazione”, già introdotta per il contenzioso fino a venti mila euro nell'art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992.
Si è scelta la via più semplice, dell'aumento dell'importo entro cui la procedura è condizione di procedibilità dell'ordinaria impugnazione giurisdizionale, nonostante la segnalata criticità dell'istituto. Resta immutata infatti l'evidenza di un procedimento che sostanzialmente è un riesame ad istanza di parte della precedente decisione officiosa, da parte di organi seppur distinti e “schermati” rispetto a quelli che hanno dato vita al provvedimento censurato. L'istituto meglio avrebbe trovato realizzazione, specie per l'importante aumento della soglia approvato, innanzi a mediatori, in forma collegiale o monocratica, selezionati sulla base di terzietà rispetto all'Amministrazione finanziaria e in genere al soggetto impositore.
L'unica altra novità introdotta riguarda l'estensione agli agenti della riscossione della clausola che limita al dolo la responsabilità nelle attività mediatorie, favor che già era stato applicato ai dipendenti del soggetto accertatore.
Interessante notare come la stessa relazione tecnica faccia rilevare come i nuovi procedimenti ipotizzabili oggetto di mediazione dovrebbero essere intorno ai 15.000 (sono 15.039 i processi fra i 20 mila e i 50 mila euro entrati nel 2016) con un possibile incasso di 72 milioni di euro (il ragionamento è che essendo il volume impositivo pari ad € 553,7 milioni, da aumentare del 30% per sanzioni ed accessori fino a 719,81 milioni, potrà avere effetti di definizione per un venti per cento, pari a 144 milioni, da ridurre a metà come incassi concreti realistici). Un risultato significativo ma, come del resto era stato previsto, non certo decisivo, anche in termini di deflazione numerica, circoscritta a poche migliaia di procedimenti in generale; peraltro, si tratta più che di nuove entrate vere, di anticipi su future entrate, dovendosi presumere che anche in caso di avvio di procedimenti giurisdizionali prima o poi le imposte giuste si devono pagare.
Peraltro, dovendosi applicare a tutti gli atti notificati a decorrere dall'1 gennaio 2018, non ci saranno effetti concreti per tutto l'anno 2017. Il prezzo che si paga è – come del resto sta accadendo da anni anche nelle altre giurisdizioni – la fuga dalla regolazione giurisdizionale dei conflitti, in cambio di ragioni di celerità e speditezza che non sempre in verità giustificano la rinuncia al ricorso ad un giudice terzo, dovendosi ritenere più in linea con la natura officiosa della giurisdizione nel nostro sistema istituzionale, basato sul giudice funzionario, che dovrebbe essere celere e professionale, l'eccezionalità e la residualità del ricorso a soluzioni di risoluzione alternativa delle controversie. La rottamazione delle controversie tributarie
Con orribile, ma ormai dilagante neologismo – almeno nella sua accezione di epurazione virtuosa – la norma introduce quello che viene presentato come un efficace rimedio, qualificato come amministrativo, per la deflazione delle cause tributarie. Si tratta di una prima enunciazione erronea, in quanto si tratta di un rimedio misto, fra l'amministrativo ed il giurisdizionale e la finalità deflattiva si congiunge inscindibilmente a quella dell'Erario di far cassa anche sul contenzioso pendente, altrimenti si sarebbe dovuta assumere l'unica misura seriamente in grado di provocare una deflazione incondizionata di massa dei procedimenti pendenti, attraverso l'istituto della perenzione generalizzata dopo un certo numero di anni e nella quale il pagamento delle somme eventualmente ancora dovute fosse solo una conseguenza della intervenuta perenzione del processo impugnatorio.
Infatti in molti casi le azioni giudiziarie restano in piedi (ed il fenomeno è stato ampiamente verificato in sede di giurisdizione amministrativa) senza che vi sia più un concreto interesse alla definizione, per vicende evolutive che il decorso del tempo rende spesso dirimenti. In tali casi, non vi è nessun interesse, tuttavia, al pagamento delle somme ancora dovute, escluse le sanzioni e gli interessi di mora (dovute al 40% se non direttamente legate alle violazioni tributarie) ed interessi in misura del tutto forfetaria e ridotta, che è una delle condizioni necessarie della “rottamazione” introdotta a beneficio dell'Erario, senza neppure alcuna previsione premiale, come la astratta incertezza sul diritto controverso avrebbe pure giustificato, magari ipotizzando un graduale beneficio a scalare a seconda del grado della controversia estinta.
Molto macchinoso anche il procedimento, che prevede un'apposita istanza, senza alcun automatismo nella sospensione del processo, che è facoltativa e ad istanza di parte. Che si tratti di una misura che poco attiene alla definizione anticipata delle controversie, ma piuttosto alla sistemazione del merito della pretesa tributaria è dimostrato anche dal fatto che essa si applica anche alle controversie cui è applicabile la definizione agevolata in corso dei carichi affidati all'agente della riscossione in applicazione del D.L. n. 193/2016, con la dichiarata finalità di consentire al contribuente di definire integralmente i rapporti tributari in contestazione, anche qualora gli importi oggetto di contenzioso non fossero stati integralmente affidati all'agente della riscossione per effetto delle disposizioni sulla riscossione in pendenza di giudizio. Il meccanismo di definizione anticipata è particolarmente farraginoso e suscita qualche dubbio, sia di correntezza ed efficacia sia di legittimità costituzionale.
In particolare, sebbene si tratti di controversie già pendenti, che dovrebbero ricadere nella diretta ed esclusiva signoria delle corti già officiate, in realtà sulla domanda decide l'ufficio, il quale addirittura ha tempo fino al 31 luglio 2018 per notificare (nelle forme degli atti processuali, e non si capisce perché, essendo un atto di merito esterno al processo) l'eventuale diniego della definizione. Ancor più singolare è che tale diniego possa essere impugnato entro sessanta giorni “dinanzi all'organo giurisdizionale presso il quale pende la lite”. Dovremmo dunque ritenere che si tratti di una sorta di procedimento incidentale del tutto erroneamente definito dalla norma come impugnatorio (in tale caso, avrebbe dovuto essere impugnato secondo le regole ordinarie innanzi alla commissione di primo grado ed avere poi adeguato sviluppo negli altri gradi di giudizio) e che addirittura potrebbe avere unico grado anche innanzi alla già oberatissima Suprema Corte di Cassazione, innanzi alla quale sono ammesse le istanze di definizione anticipata, con il paradossale risultato di ampliare e non diminuire il contenzioso.
Peraltro è noto che innanzi alla Corte Suprema molta parte del contenzioso è stata sollevata proprio dalla difesa erariale e pare alquanto improbabile che il contribuente, dopo due gradi di merito nei quali ha avuto accolte le sue tesi, si induca ad una definizione anticipata che prevede il pagamento integrale delle somme su cui si controverte. Il tutto, unito alla singolare affermazione che “gli effetti della definizione perfezionata prevalgono su quelli delle eventuali pronunce giurisdizionali non passate in giudicato prima dell'entrata in vigore del presente articolo”, che appare un formula alquanto sbrigativa per dichiarare inefficace una pronuncia giurisdizionale, o meglio dichiararne la subalternità ad un accordo sulla stessa imposta su cui il giudice si è pronunciato, lascia pensare ad un complesso sistema di attuazione della norma, che peraltro prevede anche ristretti termini per la soddisfazione della pretesa tributaria, con un numero esiguo di rate entro il 2018 e con una franchigia fino a 2.000 euro, da saldare senza rinvii.
Alquanto complesso anche il caso in cui la definizione della lite sia richiesta in pendenza del termine per impugnare e il diniego venga notificato prima che sia proposta impugnazione; in tali casi, recita la norma, la sentenza può essere impugnata unitamente al diniego entro sessanta giorni dalla sua notifica. Altra criticità, che rischia in nome della rottamazione di ritardare in realtà, almeno medio tempore, la trattazione dei giudizi è la doppia sospensione, ad istanza di parte fino al 10 ottobre 2017 e, se entro tale data il contribuente avrà depositato copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, fino al 31 dicembre 2018. Ancora dilatori, infine, gli effetti del comma 9 dell'art. 11, per cui per le controversie definibili saranno sospesi per sei mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione che scadono dalla data di entrata in vigore della norma fino al 30 settembre 2017. Il tutto, si ripete, con il dubbio che il pagamento integrale delle somme pretese dall'erario, con la sola esenzione di interessi di mora e sanzioni, abbia un interesse attuale per il contribuente ad anni di distanza dal dispiegarsi della pretesa impositiva, come proprio per i giudizi di Cassazione è inevitabile, specie in considerazione del fatto che almeno in parte le somme dovute saranno state oggetto di riscossione da parte dell'erario, per quanto possibile in pendenza dei procedimenti impugnatori e tenendo conto della effettiva solvibilità del contribuente, che è l'altra grande incognita di siffatti procedimenti.
Ciò senza dire che chi ha investito tempo e denaro in una impugnazione della pretesa tributaria se lo ha fatto per motivi dilatori difficilmente avrà di che provvedere alla sistemazione della pretesa e non vi avrà comunque interesse e se invece lo ha fatto convintamente difficilmente si farà indurre da una blanda premialità a definire la controversia.
In conclusione
Infine, circa la regolazione delle spese, che è quella della sostanziale compensazione, ogni parte processuale avrà a suo carico quanto già affrontato. Da notare che, con evidente profilo di incostituzionalità o almeno di dubbia opportunità sistematica, non è stata prevista l'applicazione dell'istituto, sebbene indirizzato all'estinzione dei processi e non alla riscossione di soli tributi erariali, a quelli che hanno per oggetto tributi applicati da soggetti diversi dall'Agenzia delle Entrate, compresi i rilevanti tributi locali, non citati nella norma che non può certo essere oggetto di interpretazione estensiva, mentre ragionevoli appaiono le esclusioni oggettive espresse (controversie aventi ad oggetto le risorse proprie tradizionali previste dall'art. 2, paragrafo 1, lettera a), delle Decisioni 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, l'imposta sul valore aggiunto riscossa all'importazione e le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato ai sensi dell'art. 16 del Regolamento (UE) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015).
La scarsa prevedibilità degli effetti di tale misura è dimostrata dalle stime della relazione tecnica, che ipotizza maggiori entrate per € 320 milioni per il 2017 e 80 per il 2018; è interessante notare, incidentalmente, che la previsione legislativa arriva a prevedere che le maggiori entrate siano utilizzabili anche per coprire eventuali minori incassi, rispetto al previsto, delle procedure di voluntary, segno che vi è già la percezione di uno scarso successo della reiterazione dell'istituto di beneficio, per la scarsa premialità e le difficoltà attuative che le norme in materia presentano.
Auspicabile che in sede di conversione vengano introdotte quelle misure (miglioramento della professionalità dei giudici tributari anche agendo sui nuovi reclutamenti e sulla composizione delle corti tributarie, redistribuzione territoriale delle corti tributarie, possibile diminuzione delle cause di impugnazione di legittimità o assegnazione della competenza in materia alle corti di secondo grado, al pari delle altre giurisdizioni speciali) con le quali si potranno dire totalmente raggiunti, con riforme a costo zero o addirittura a risparmio finale, quegli obbiettivi di efficienza che le corti tributarie di merito hanno già avviato, con uno saldo attivo cospicuo, di oltre trenta mila giudizi, fra le nuove iscrizioni del 2016 (260 mila fra primo e secondo grado) e le decisioni assunte nello stesso periodo (oltre 290 mila). |