È onere del contribuente dimostrare l'estraneità ad operazioni fraudolente

La Redazione
05 Maggio 2016

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 8805/2016, ha confermato che in tema di operazioni soggettivamente inesistenti è onere del contribuente dimostrare l'inconsapevole partecipazione ad un'operazione fraudolenta.

Sul controverso tema delle operazioni soggettivamente inesistenti si è pronunciata la Suprema Corte con sentenza n. 8805/2016, affermando il consolidato principio secondo cui qualora ci sia contestazione della indebita detrazione di fatture ai fini IVA, in quanto ritenute collegate ad operazioni soggettivamente inesistenti, l'Amministrazione è tenuta ad offrire la prova che l'operazione non è mai stata posta in essere, o che essa non è intercorsa tra i soggetti indicati in fattura. Ricadrà poi sul contribuente l'onere di dimostrare la fonte legittima della detrazione e la sua mancanza di consapevolezza di partecipare ad un'operazione fraudolenta.

Nel caso in esame l'Agenzia delle Entrate notificava avviso di accertamento per il recupero dell'IVA attinente ad operazioni soggettivamente inesistenti (cd. frodi carosello); secondo l'Amministrazione la contribuente avrebbe assolto in rivalsa e poi detratto l'IVA non pagata dalle fornitrici ("cartiere"), acquisendo così un risparmio d'imposta che avrebbe consentito alla stessa di applicare ingenti sconti agli acquirenti finali.

In primo grado la società vedeva l'accoglimento del suo ricorso per aver fornito la prova dell'avvenuta corresponsione dell'imposta indicata in fattura, oltre che l'inerenza dell'operazione effettuata, a differenza dell'Ufficio che invece non aveva fornito la prova della cosciente partecipazione alla frode da parte della contribuente. Anche la CTR uniformandosi al giudizio dei giudici di prime cure, ha confermato integralmente la sentenza, respingendo così l'appello delle Entrate.

L'Agenzia propone ricorso in Cassazione ritenendo erronea l'applicazione degli artt. 19 e 21 del d.P.R. n. 633/1972, in quanto il giudice ha preteso la prova di una consapevolezza effettiva nel cessionario dell'esistenza della frode, se non della sua partecipazione dolosa alla stessa, essendo invece sufficiente ravvisare nel suo comportamento una negligenza negoziale.

Sul punto si sono espressi i Giudici della Corte di Cassazione a favore dell'Agenzia e quindi accogliendone il ricorso. Innanzitutto i giudici sottolineano l'entità della controversia, in quanto non è in dubbio la pacifica esistenza di un'operazione fraudolenta, bensì la consapevole partecipazione alla stessa della società cessionaria.

Ai fini del quadro probatorio che conduce ad avvalorare la tesi dell'Amministrazione circa la presumibile assenza di buona fede del cessionario o committente, è stata valorizzata – si legge in sentenza – la circostanza che la prestazione non poteva essere resa dal fatturante, in quanto sfornito della minima dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione. I giudici evidenziano, dunque, una serie di elementi fondamentali che avrebbero portato necessariamente il cessionario/committente a rendersi conto della irregolarità ovvero evasione. A fronte di ciò spetterà al contribuente provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione non era il fatturante, dovendosi negare il diritto alla detrazione dell'IVA versata. Sul punto, continuano i giudici, non si ha un'inversione dell'onere probatorio, ma piuttosto un normale svolgimento tra prova e controprova che presidia il corretto delinearsi di un rapporto tra parti processuali.

Continuando nella disamina, i giudici osservano poi che la CTR non ha tenuto conto dei superiori canoni di giudizio e dei criteri di ripartizione dell'onere probatorio; in quanto ha ritenuto:

  1. che una volta corrisposta la detraibilità dell'IVA questa può essere negata "solo quando risulti provato che la formazione della fattura è conseguente ad un accordo fraudolento con altro soggetto, accordo finalizzato ad evadere l'imposta da questi a sua volta dovuta";
  2. che "al contribuente non può porsi a carico altro se non di provare la effettività della transazione ed il pagamento dell'imposta giacché la prova che il dante causa è solvibile, cha ha una consistenza sul piano organizzativo, strutturale e commerciale e che non costituisce mera cartiera è prova che nessun avente causa può fornire ".

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.