Dichiarazione infedele: nessun sequestro dei beni se le somme si rivelino retrocessioni di prestiti

La Redazione
05 Maggio 2017

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21268/2017, ha confermato che non è previsto il sequestro preventivo dei beni del manager qualora le somme sospette si rivelino delle retrocessioni di prestiti.

Dichiarazione infedele, niente sequestro preventivo qualora le somme sospette si rivelino delle retrocessioni di prestiti. È l'esito della sentenza della III Sezione Penale della Cassazione, del 4 maggio 2017, n. 21268.

Dalle indagini della Guardia di Finanza era emerso che l'indagato aveva presentato delle dichiarazioni infedeli nelle quali aveva indicato elementi attivi inferiori di quelli effettivi; la GdF aveva agito dopo la segnalazione delle banche che avevano evidenziato alcune operazioni sospette; eppure, per il manager si trattava, in pratica, di «retrocessioni di prestiti senza interessi erogati in favore di operatori commerciali» stranieri.

Secondo le Entrate, il Tribunale non aveva considerato la versione del contribuente; spiegazione che, secondo quanto esposto, «troverebbe riscontro negli stessi prospetti di tali flussi riportati nella comunicazione di notizia di reato». Esaminando i flussi finanziari emergeva infatti una sostanziale uguaglianza tra entrate ed uscite: ciò avrebbe dimostrato che le somme erano restituzioni di anticipazioni. In sostanza, «il Tribunale, nonostante l'articolata illustrazione della genesi di tali flussi finanziari, la spiegazione della loro ragione, l'indicazione della corrispondenza tra le somme in entrata e quelle in uscita sui conti correnti del ricorrente, ha omesso di considerarla, limitandosi ad affermarne la scarsa plausibilità senza, tuttavia, considerare il dato costituito dalla corrispondenza dei flussi finanziari in entrata e in uscita».

La Suprema Corte ha quindi annullato la sentenza impugnata rinviandola a nuovo giudizio.

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