Contabilità in rosso, illegittimo l’avviso induttivo
05 Ottobre 2015
L'accertamento induttivo non può basarsi su quanto dichiarato da aziende simili in territori limitrofi, se la società in questione dimostrava conti profondamente in rosso, in seguito ai quali è poi fallita. È il “succo” della sentenza del 1° ottobre 2015, n. 19602, nella quale la Cassazione ha respinto il ricorso avanzato dall'Agenzia delle Entrate, ai danni di una S.r.l. Il ricorso dell'ufficio partiva dal presupposto che il deficit non potesse fermare l'atto impositivo: l'accertamento induttivo, infatti, vien fatto a prescindere dalla contabilità societaria. Non così per i giudici romani, per i quali la perdita e il fallimento dimostravano troppo palesemente l'infondatezza delle pretese dell'Erario: “il risultato cui perviene l'Ufficio in via induttiva – si legge infatti nella sentenza – appare assolutamente in contrasto con l'immediato successivo fallimento della società; […] la perdita […] con cui si era chiuso il bilancio di esercizio, costituisce dato contabile che, pur non essendo di per sé prova del reddito effettivo, è reso verosimile dal successivo fallimento, e ben può essere utilizzato dal giudice per affermare il contrasto dell'operato accertamento induttivo con il criterio della normalità”. In presenza di presunzioni definite “supersemplici”, dunque, il giudice dovrà accertare se i dati utilizzati come indizi sono compatibili con il criterio di normalità: e d'altronde, nel caso in esame, già la CTR aveva accertato l'illogicità delle pretese erariali, sempre in virtù del rosso che caratterizzava i conti societari. Insomma, non c'erano dubbi: il ricorso dell'Agenzia è stato rigettato. |