Le perplessità dettate dall'attuale normativa sull'imposta unica sulle scommesse

08 Giugno 2017

Il presente contributo, dopo un rapido inquadramento della normativa di riferimento nonché uno sguardo alla Legge di Stabilità del 2011 che ha ampliato il novero dei soggetti passivi dell'imposta unica sulle scommesse, si propone di evidenziare alcune delle criticità sorte in tale ambito, dando atto delle pronunce altalenanti che la giurisprudenza di merito ha fornito sul punto, con particolare focus sulle questioni sottoposte alla cognizione della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia.
Premessa

L'art. 1, comma 66 lett. d) della Legge n. 220/2010 (Legge di Stabilità 2011), in un'ottica di rafforzamento delle potestà di controllo e di accertamento dell'Amministrazione finanziaria, finalizzate al contrasto dell'elusione e dell'evasione fiscale, ha ampliato il novero dei soggetti passivi dell'imposta unica sulle scommesse, specificando che tale imposta è comunque dovuta ancorchè la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero inefficacia della concessione rilasciata dall'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato (art. 1 del D.Lgs. n. 504/1998) e che per soggetto passivo si intende chiunque, ancorchè in assenza o inefficacia della concessione, gestisca con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all'estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere (art. 3 del D.Lgs. n. 504/1998). Ne è derivata una normativa discutibile e sospetta di incostituzionalità, per contrasto con i principi di uguaglianza e di capacità contributiva, nella misura in cui l'obbligo del versamento del tributo viene richiesto solidalmente al bookmaker estero e all'intermediario italiano, nonché per contrasto con i principi di legittimo affidamento, non discriminazione e parità di trattamento, nella misura in cui tale norma viene considerata applicabile in via retroattiva anche a fatti precedenti alla entrata in vigore della legge di Stabilità.

Il quadro normativo di riferimento

La normativa di riferimento è rappresentata dal D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504 il cui art. 1, statuisce che “la tassa … assume la denominazione di imposta unica sui concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all'estero nel rispetto delle disposizioni contenute nell'articolo 24, comma 27, della Legge 27 dicembre 1997, numero 449, e nell'articolo 88 TULPS”.

Ai sensi dell'art. 3 del D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504 i soggetti passivi dell'imposta unica vengono individuati in “coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse”.

In questo quadro normativo si è inserito l'art. 1 comma 66 lett. a), della L. 13 dicembre 2010, n. 220 (Legge di Stabilità 2011) che, con l'esplicito intento di rafforzare le disposizioni di contrasto al gioco gestito e praticato in maniera illegale e di tutelare i consumatori, specialmente i minori, nonché di recuperare base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale, con una norma dichiaratamente interpretativa, ha ampliato la sfera dei soggetti passivi di imposta stabilendo che:

a) l'art. 1 del D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504 si interpreta nel senso che l'imposta unica sulle scommesse è comunque dovuta ancorchè la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell'economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato;

b) l'art. 3 del D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504 si interpreta nel senso che soggetto passivo di imposta si intende chiunque, ancorchè in assenza o in caso di inefficacia della concessione … gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all'estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l'attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l'attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell'imposta e delle relative sanzioni”.

In definitiva, mentre prima dell'intervento operato dalla Legge di Stabilità erano tenuti al pagamento del tributo solo i soggetti abilitati, adesso sarebbero assoggettati al tributo anche gli operatori non abilitati e i meri intermediari.

Competenti ad accertare le violazioni riguardanti la sottrazione di base imponibile o l'omesso versamento del tributo sono la Guardia di Finanza e l'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato.

La Legge di Stabilità 2010 precisa inoltre all'art. 1 comma 67 che la base imponibile accertata ai fini dell'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse è posta a base delle rettifiche e degli accertamenti ai fini delle imposte sui redditi, dell'imposta sul valore aggiunto e dell'imposta regionale sulle attività produttive. All'Agenzia delle Entrate è dunque consentito di porre a base delle rettifiche di sua competenza le maggiori basi imponibili accertate agli effetti dell'imposta sulle scommesse. Secondo l'opinione consolidata, trattasi di presunzione legale relativa, superabile dalla prova contraria fornita dal soggetto passivo.

Il soggetto passivo dell'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse e la corretta qualificazione del “gestore del rischio”.

Come chiarito, l'intervento operato sull'art. 3 del D. Lgs. n. 504/1998 da parte della Legge di Stabilità 2011 è stato quello di estendere la soggettività passiva del tributo, fino ad allora limitata solo ai bookmaker esteri, anche alle agenzie di scommesse italiane affiliate agli stessi bookmaker (in gergo, CTD), annoverando questi ultimi nella categoria dei “gestori di scommesse in conto terzi”.

Ne sono derivati una serie di accertamenti “a pioggia” nei confronti dei titolari dei centri scommesse italiani, a quali viene richiesto il pagamento dell'imposta unica in via solidale con il bookmaker estero.

Il punto focale della questione è chiarire se sia corretto o meno l'inserimento dei CTD nell'ambito dei soggetti passivi di imposta. Tale questione non può prescindere da un'indagine costituzionalmente orientata sul concetto di gestione della scommessa. Indipendentemente da quelle che possano essere state le reali intenzioni del legislatore del 2010, è evidente che la “gestione dei concorsi e delle scommesse” e la “gestione per conto terzi” siano due concetti differenti e difficilmente assimilabili, sicchè riunificarli sotto un medesimo cappello impositivo non può che far sorgere seri dubbi di legittimità costituzionale della normativa.

In un'ottica costituzionalmente orientata, infatti, non può che convenirsi che il gestore della scommessa è unicamente il bookmaker estero, e ciò in quanto il concetto di “gestione della scommessa” implica un rapporto sinallagmatico tra l'organizzatore esercente le scommesse e la comunità degli scommettitori, che assumono reciprocamente il rischio della perdita economica connessa alla vincita della controparte. Il contratto di gioco viene infatti stipulato tra lo scommettitore privato e il bookmaker estero che predetermina le scommesse, il contenuto e le modalità delle giocate, nonché l'incasso delle vincite.

La gestione delle scommesse è, dunque, sussumibile nella gestione del rischio, dimodochè soggetto passivo di imposta è il bookmaker che di fatto gestisce l'alea del gioco e di riflesso subisce l'eventuale decurtazione patrimoniale conseguente all'attribuzione di una possibilità di guadagno concessa agli scommettitori.

Di converso, il CTD svolge una mera attività di intermediazione, mettendo a disposizione i computer per permettere ai potenziali giocatori di collegarsi ai siti di scommesse on line e di effettuare le giocate unilateralmente predisposte dai bookmaker esteri.

In sostanza, l'attività svolta CTD è meramente strumentale alle attività od operazioni svolte dall'operatore di gioco e costituisce il necessario contorno all'attività principale di gestione del rischio delle scommesse.

La differenza sostanziale dell'attività svolta dai bookmaker esteri rispetto ai CTD emerge anche dai contratti di stabilimento che vengono stipulati tra i CTD e gli allibratori esteri. Tali contratti, infatti, riguardano “servizi di trasmissione ed elaborazione via internet di dati contenenti proposte di scommessa formulate dai clienti del CED” e di “ricezione via internet dei dati contenenti l'accettazione delle proposte di scommessa” effettuate dai bookmaker esteri. Sovente, in tali contratti l'organizzazione e la gestione della scommesse è posta in tutti i suoi aspetti a carico solo del bookmaker estero, il quale gestisce tale attività in assoluta autonomia e rischio autonomo, mentre il CTD si limita a fornire un supporto logistico esterno, mettendo in contatto i giocatori con il bookmaker, trasmettendo le rispettive volontà contrattuali e, in definitiva, eseguendo tutte le direttive ed istruzioni ricevute dal bookmaker. Va da sé, dunque, che, parificare l'attività dei CTD a quella dei bookmaker esteri, al fine di considerarli entrambi soggetti passivi di imposta, significherebbe accomunare tra loro situazioni oggettivamente differenti, con ovvie ripercussioni costituzionali in tema di violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.

Ma non solo. La normativa, così come interpretata dalla Legge di Stabilità del 2011 sarebbe sospetta di illegittimità costituzionale anche sotto il profilo di capacità contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione, atteso che verrebbero vessati in ugual maniera due soggetti che ricevono dalla scommessa delle utilità differenti.

Dalla perdita dello scommettitore privato sulla scommessa, infatti, il bookmaker estero e il CTD si avvantaggerebbero in maniera totalmente differente. Mentre, infatti, il ricavo del bookmaker è costituito dal valore delle scommesse stipulate, quello della ricevitoria è dato dalla provvigione che il bookmaker gli riconosce. Attribuire al CTD l'onere dell'imposta unica sulle scommesse equivarrebbe dunque a colpire un soggetto privo di quella capacità contributiva individuata dal Legislatore quale fatto generatore del tributo (consumo di ricchezza nelle scommesse) e che, al contempo, non ha alcuna possibilità di traslare l'onere su chi la possiede (lo scommettitore).

L'imposta sulle scommesse è, infatti, un'imposta indiretta sul consumo, che grava sullo scommettitore. Di conseguenza, la capacità contributiva su cui è commisurata l'imposta unica è quella dello scommettitore privato. Come tipico delle imposte indirette, l'onere relativo dovrebbe essere trasferito sul consumatore, ossia sul giocatore. Tuttavia in nessun modo la ricevitoria potrebbe traslare sullo scommettitore l'onere dell'imposta, in quanto non vi è infatti alcuna norma che consenta o imponga al CTD di rivalersi sullo scommettitore o di effettuare la ritenuta sulle puntate ricevute o sulle vincite versate. La ricevitoria, inoltre, non potrebbe effettuare una tale traslazione neanche in via indiretta, ossia modificando le quote di scommesse, poichè le quote, come le percentuali di vincita, vengono stabilite direttamente dal bookmaker, verso cui il CTD ha un semplice obbligo di rendicontazione.

Queste considerazioni sono state tra l'altro avanzate dalla Commissione Tributaria Provinciale di Rieti la quale, con l'ordinanza 17 dicembre 2015, n. 430, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 3 del D.Lgs. n. 504/1998 e art. 1, comma 66 lett. b) L. n. 220/2010 per contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzionenella parte in cui vengono interpretati come applicabili ai centri di raccolta dati, facendo di questi ultimi soggetti passivi dell'imposta unica sulle scommesse”.

Come correttamente evidenziato dai giudici rietini, “assumendo che anche il centro di raccolta dati è soggetto passivo dell'imposta ne conseguono inevitabili effetti incostituzionali, discendenti proprio dall'avere ricompreso le ricevitorie tra i soggetti tenuti al pagamento del tributo. L'unica alternativa possibile è ritenere le norme suddette non applicabili alle ricevitorie, di talchè rispetto alla interpretazione che ne dà il diritto vivente si solleva la questione di legittimità costituzionale”.

La giurisprudenza di merito sulla tassazione dei CTD

La giurisprudenza, se in un primo momento sembrava nettamente orientata a considerare i CTD quali soggetti passivi di imposta, privilegiando un'interpretazione puramente letterale della normativa, successivamente si è mostrata più sensibile nei confronti dell'argomento e, ponendosi in termini critici e in un'ottica costituzionalmente orientata, in più occasioni ha escluso la soggettività passiva dei CTD.

Non può negarsi che la Cassazione era già intervenuta sull'argomento ancor prima della novella dettata dalla Legge di Stabilità 2011 chiarendo che esercita attività di gestione del gioco “anche chi, pur non gestendo in prima persona a livello imprenditoriale l'attività, collabori tuttavia ad essa, fornendo servizi di vario genere, ad esempio rappresentando i bookmakers stranieri, o anche solo fornendo informazioni sulle quote, sui moduli necessari per trasmettere le scommesse all'estero” (Cass. civ., 15 febbraio 2004, n. 5914).

Della questione tuttavia si è occupata principalmente la giurisprudenza di merito, che si è pronunciata sovente in termini contrastanti. Se infatti in un primo momento le Commissioni tendevano a ritenere legittima l'imposizione in capo al soggetto intermediario residente in Italia (cfr. CTP Cagliari, 19 luglio 2013; CTP Bergamo, 24 settembre 2013, n. 166; CTP Como, 29 maggio 2013; CTP Brescia, 20 settembre 2013, n. 75; CTP Sondrio, 31 marzo 2015), vigendo una sostanziale equiparazione tra i soggetti, abilitati e non, che pongono in essere l'attività di raccolta (CTR Milano, 09 luglio 2015; CTR Napoli, 15 settembre 2016), si è parallelamente sviluppato un orientamento più garantista nei confronti dei CTD, tendente ad evidenziare la sostanziale differenza tra le attività svolte e le utilità percepite dagli allibratori esteri e dagli intermediari italiani.

In particolare, questo filone giurisprudenziale pone l'accento sulla circostanza che “la materiale raccolta delle scommesse presso i vari punti vendita di gioco rappresenta unicamente una fase, che non può da sola riassumere la gestione dei giochi e delle scommesse”. Infatti “il tratto essenziale dell'attività di gioco e delle scommesse è costituito dalla reciproca assunzione del rischio del gioco, ragion per cui, qualsiasi attività che non comporti l'assunzione dell'alea propria del fenomeno ludico non può considerarsi quale attività di gioco e di scommesse, concretizzandosi dette attività nel fornire il personale, i locali e le attrezzature necessarie per la raccolta delle scommesse” (CTP Brindisi,15 giugno 2016, n. 2633; CTP Mantova, 22 gennaio 2014, n. 43). Ancora, è stato specificato che l'attività del CTD “è di pura intermediazione per la quale è contrattualmente concordato solo il pagamento di provvigioni e il reddito prodotto dall'attività appartiene alla società con la quale viene stabilito il rapporto di collaborazione con il CED” (CTP Brindisi, 30 dicembre 2015, n. 1170; CTP Lecce, 10 giugno 2016, n. 3138; CTP Roma, 6 marzo 2015, n. 5077; CTP Livorno, 26 giugno 2014, n. 352; CTP Caserta, 16 novembre 2015, n. 9).

Critiche alla retroattività degli artt. 1 e 3 del D.Lgs. n. 504/1998, come interpretati dalla L. 220/2010

Ulteriore profilo di criticità della normativa è dato dal fatto che, secondo quanto chiarito dall'AAMS in una comunicazione emanata il 7 luglio 2012, “le disposizioni introdotte dalla Legge n. 220/2010, avendo evidente natura interpretativa (“…si interpreta nel senso che…”) chiariscono con efficacia ex tunc la sfera applicativa e la portata della norma di cui viene fornita interpretazione e, quindi si rendono applicabili anche con riguardo a periodi di imposta anteriori a quelli di entrata in vigore della legge di Stabilità.

La Corte Costituzionale ha tuttavia chiarito in più occasioni che il legislatore può adottare norme di interpretazione autentica solo in presenza di incertezze sull'applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali (ex plurimis, Corte Cost. n. 15/2012, 271 e 257/2011, n. 209/2010, n. 24/2009).

Inoltre, secondo la Corte di Giustizia Europea, l'applicabilità di una norma in via retroattiva sarebbe possibile solo ove tale applicabilità risulti chiaramente dallo scopo e dallo spirito della norma (Meiko-Konservenfabrik e/Repubblica federale di Germania, C – 224/82; Bavaria NVC7 Bayerischer Brauerbund, C-128/08).

Resta il fatto, tuttavia, che la norma in esame, nell'assoggettare al tributo anche i soggetti non abilitati e i meri intermediari, non stabilisce in maniera chiara ed inequivoca la propria retroattività nei confronti di tali soggetti con l'ovvia conseguenza che ritenerli obbligati al versamento dell'imposta unica anche con riferimento ad annualità antecedenti al 2011 in assenza di specifica previsione, contrasterebbe con i principi comunitari di certezza del diritto e tutela del legittimo affidamento.

Come chiarito dalla Corte di Giustizia, infatti, le disposizioni normative possono interpretarsi “come applicabili a situazioni createsi anteriormente alla loro entrata in vigore soltanto qualora dalla lettera, dallo scopo o dallo spirito di tali norme risulti chiaramente che dev'essere loro attribuita tale efficacia” (sentenze 14 febbraio 2012, Toshiba Corporation, C-17/10, punto 51; 24 marzo 2011, ISD Polska e a./commissione, C-369/09, punto 98).

La lesione del principio del legittimo affidamento nel caso di specie sarebbe palese laddove si obbligherebbe, ora per allora, al pagamento dell'imposta e delle relative sanzioni soggetti che in precedenza non vi erano tenuti, assoggettando gli stessi ad oneri economici assai consistenti e non preventivati. Tali considerazioni sono state fatte proprie dalla CTR Lombardia che, con ordinanza 14 ottobre 2015, n. 1449, ha operato un rinvio alla Corte di Giustizia Europea al fine di verificare pregiudizialmente “se gli artt. 52 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea, in materia di servizi di gioco e scommesse, quella in materia di discriminazione fiscale, e i principi di diritto del'Unione, circa parità di trattamento, non discriminazione e legittimo affidamento, ostino ad una normativa nazionale del tipo di quella italiana, che prevede l'assoggettamento, anche in via retroattiva, all'imposta unica sulle scommesse e i concorsi pronostici di cui agli artt. 1-3 del D.Lgs. n. 504/1998”.

Conclusione

La questione appare ancora oggi fortemente dibattuta e l'altalenarsi delle sentenze di merito in senso favorevole o contrario all'imposizione sui CTD ne è il riflesso.

La delicatezza della problematica emerge proprio dal fatto che la questione è stata sottoposta al vaglio di legittimità della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia e plauso va riconosciuto a quelle Commissioni tributarie che, con coraggio, hanno sospeso i procedimenti pendenti rimettendo gli atti. L'auspicio è che a breve venga eliminata una normativa poco conforme con i supremi principi costituzionali e comunitari, dettata per lo più da esigenze di recupero erariale di massa.

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