Proventi illeciti re-investiti: l'imprenditore accusato resta in carcere
08 Settembre 2017
Guai per l'imprenditore accusato di autoriciclaggio: anche se il provento illecito non è stato usato per proprio personale godimento, perché è stato investito, l'accusato resta in carcere. È l'esito della sentenza della Corte di Cassazione del 7 settembre 2017, n. 40890, con la quale i Giudici della Suprema Corte hanno rigettato il ricorso presentato da un imprenditore, accusato di aver destinato ai suoi collaboratori i ricavi delle quotazioni in borsa della società fallita, depatrimonializzando la società controllata a favore di quella controllante.
Già l'Appello aveva condannato l'uomo; così anche la Seconda Sezione Penale, chiamata a valutare l'accusa di investimento dei proventi delittuosi, in quanto tali somme erano finite sul conto corrente di un'altra società pure riconducibile all'imputato. A ciò si aggiunga che, durante un colloquio in carcere, l'uomo aveva tentato di passare ai familiari un foglietto con istruzioni per gestire le società.
Insomma, la condanna dell'uomo è stata confermata anche perché «si sta ormai confermando un indirizzo di legittimità secondo cui in tema di presupposti per l'applicazione delle misure cautelari personali, il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato […] non richiede la previsione id una specifica occasione per delinquere, ma una valutazione prognostica fondata su elementi concreti, idonei a dar conto dell'effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare». |