Il raddoppio dei termini di accertamento: parabola ed eclissi di un contrastato istituto

Raffaele Marenghi
10 Gennaio 2017

L'istituto, nato, prima, come favor per il fisco nel raddoppiare i termini di accertamento e, poi, cancellato dall'ordinamento, offre spunti di analisi nel coordinamento tra vecchia e nuova disciplina sulla cd. clausola di salvaguardia. Continuano infatti le sentenze della giurisprudenza di merito nell'affermare la legittimità degli avvisi di accertamento, notificati usufruendo del raddoppio dei termini, solamente se la denuncia penale sia stata presentata o trasmessa entro la scadenza dei termini e nel riconoscere l'implicita abrogazione della "clausola di salvaguardia", prevista per gli accertamenti ante 2016 dal decreto sulla certezza del diritto (D.Lgs,n. 128/2015).
Introduzione

Continuano le sentenze della giurisprudenza di merito nell'affermare la legittimità degli avvisi di accertamento, notificati usufruendo del raddoppio dei termini, solamente se la denuncia penale sia stata presentata o trasmessa entro la scadenza dei termini e nel riconoscere l'implicita abrogazione della "clausola di salvaguardia", prevista per gli accertamenti ante 2016 dal decreto sulla certezza del diritto (D.Lgs, n. 128/2015).

Da ultimo, la C.T.R. di Milano sentenza n. 5195/1/2016 dell'11/10/2016, nel solco delle precedenti pronunce (C.T.R. n. 386/5/16; C.T.R. n. 4261/30/16), la C.T.R. della Campania (sentenza n. 8149/9/16 del 13/7/2016) e la C.T.P. di Roma (sentenza n. 3991/16).

Ma andiamo per ordine.

Il primo impianto normativo

I termini per l'esercizio dell'attività impositiva da parte dell'A.F. sono fissati dall'art. 43 D.P.R. n. 600/73, in tema di imposte sui redditi, e dall'art. 57 D.P.R. n. 633/72, per l'imposta sul valore aggiunto.

Nell'ottica di tutelare il contribuente da una indefinita soggezione all'azione di accertamento del fisco, l'originario impianto normativo prevedeva che gli avvisi di accertamento dovessero essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui era stata presentata la dichiarazione, ovvero del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata, in caso di dichiarazione omessa o nulla.

Il cd. decreto Visco-Bersani (D.L. n. 223/2006 – art. 37 – co. 24 e 25 – in vigore dal 4/7/2006) aveva, poi, previsto una deroga agli ordinari termini decadenziali attraverso l'introduzione dell'istituto del raddoppio dei termini di accertamento, operante in presenza di una violazione fiscale che facesse scattare l'obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. per uno dei reati tributari previsti dal D.Lgs. n. 74/2000.

Nel caso di configurabilità di reati tributari, dunque, l'A.F. poteva notificare l'avviso di accertamento entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello in cui era stata presentata la dichiarazione, ovvero dal decimo anno successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere presentata la dichiarazione, in caso di dichiarazione omessa o nulla.

La ratio sottesa all'introduzione del raddoppio trovava il suo fondamento nella necessità di garantire all'A.F. la possibilità di utilizzare in ambito fiscale gli elementi istruttori emersi nel corso delle indagini condotte dall'Autorità giudiziaria per un periodo di tempo più ampio rispetto a quello previsto, a pena di decadenza, per l'accertamento.

La struttura normativa dell'istituto, all'apparenza trasparente, sin dalle prime battute si è invece dimostrata particolarmente insidiosa, prestando il fianco a numerosi dubbi interpretativi.

Presupposti normativi del raddoppio

Nel silenzio della norma, l'incertezza interpretativa della disciplina aveva, fin dall'inizio, prestato il fianco ad una prassi abbastanza diffusa dell'A.F., quella di trasmettere la notizia di reato solo una volta decaduta dai termini ordinari di accertamento al solo fine di essere "rimessa in termini", rivelando così un uso del tutto strumentale e distorto della “notitia criminis”.

Alle prime pronunce dei giudici tributari per impedire l'indefinita soggezione del contribuente all'azione del fisco, è seguita, in via dirimente, poi, la Corte Cost. (sentenza n. 247/11), specificamente adita sull'incostituzionalità dell'art. 57 – co. 3 – D.P.R. n. 633/72 e dell'art. 37 – co. 26 – D.L. n. 223/06 in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 97 Cost. (C.T.P. di Napoli ord. n. 226/2010), che ha inteso devolvere al giudice di merito il compito di “vigilare”, nel concreto, sulle condizioni legittimanti l'eventuale raddoppio dei termini di decadenza per l'azione accertatrice ed a “prevedere”, quale unica condizione, la sussistenza dell'obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorgesse e dal suo adempimento, con valutazione ora per allora, in sede di giudizio, se al momento della presentazione della denuncia vi erano i presupposti per l'obbligatorietà della stessa.

I successivi approdi giurisprudenziali, tuttavia, hanno continuato a manifestare interpretazioni non omogenee, ma intese ad un "raddoppio condizionato", subordinato al ricorrere congiunto di due presupposti: la contestazione della violazione penale entro i termini ordinari di accertamento (C.T.P. di Milano n. 9438/14; C.T.R. della Lombardia n. 382/14) e, in alcuni casi, la produzione in giudizio della denuncia di reato presentata (C.T.P. di Brescia n. 40/2012; C.T.P. di Milano n. 5389/15).

La Suprema Corte, infine, nel percorso interpretativo della normativa costituzionalmente orientato – a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 247/11 -, era pervenuta all'approdo della necessarietà sia dell'astratta configurabilità di un'ipotesi di reato, sia dell'inoltro della denuncia penale, sussistendo il dovere del giudice tributario di vagliare autonomamente (o su richiesta del contribuente) la presenza dell'obbligo di denuncia (Cass. n. 9725/16).

Il “decreto sulla certezza del diritto” e la “legge di Stabilità 2016”

Il legislatore del 2015, consapevole delle rilevanti ed irrisolte problematiche lasciate ancora aperte dall'istituto e dei possibili utilizzi impropri dello stesso, con il decreto n. 128/2015 – attuativo della delega fiscale n. 23/2014 -, ha proceduto ad una prima riforma “perimetrando” il suo ambito applicativo: con riferimento agli anni d'imposta accertati fino al 31 dicembre 2015, il raddoppio poteva operare solo in presenza di un fatto di pronta verificabilità – “l'effettivo invio della denuncia” – che doveva realizzarsi, però, in vigenza dei termini ordinari, cosicché se il predetto invio fosse avvenuto dopo la scadenza del termine “breve” di accertamento non si sarebbe determinato alcun raddoppio.

In tale ambito di delineazione aveva previsto, però, una "clausola di salvaguardia" con la quale si era inteso far salvi gli effetti degli avvisi di accertamento già notificati alla data di entrata in vigore del decreto (1° settembre 2015).

Con la legge di Stabilità 2016, poi, ha ridisciplinato – ex novo – la materia (art. 1 – co.130 – 131 e 132 – L. n. 208/2015 in vigore dall'1/1/2016), proprio al fine di dare certezza ai rapporti tra fisco e contribuenti, prevedendo che, anche per gli accertamenti già notificati alla data del 31/12/2015, sia requisito di legittimità necessario l'invio della denuncia penale entro i termini ordinari di accertamento.

La nuova legge sopprime la previsione del “raddoppio dei termini” in presenza di violazioni penali tributarie e, al contempo, allunga i termini di accertamento che passano, rispettivamente, da quattro a cinque anni successivi alla presentazione della dichiarazione e da cinque a sette anni, in caso di omessa dichiarazione, senza alcuna previsione di norme transitorie.

La giurisprudenza di merito, a seguito dell'accelerazione evolutiva impressa all'istituto, torna a pronunciarsi soprattutto in tema di applicabilità della cd. clausola di salvaguardia, prevista dall'art. 2 – comma 3 – D.Lgs. n. 128/2015.

Incostituzionalità della "clausola di salvaguardia" e abrogazione implicita della normativa

Nell'esaminare la portata normativa della novella, la C.T.P. di Torino (sent. n. 2019/15), tra l'altro, denunciando un'ingiustificata disparità di trattamento, nei confronti di contribuenti assoggettati a diversi termini di accertamento, solo in ragione del momento in cui sia stata formulata la notizia di reato e del momento in cui siano stati destinatari della notifica dell'avviso di accertamento, ha sollevato questione di costituzionalità della norma per gravi profili di contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost..

La C.T.R. della Lombarda e della Campania, poi, per le annualità ante 2016, oltre ad affermare la natura eccezionale e derogatoria del raddoppio e l'onere della presentazione della denuncia penale entro la scadenza dei termini ordinari, ritengono abrogata implicitamente la "clausola di salvaguardia" per effetto della legge di Stabilità 2016 e del regime transitorio dettato dal comma 132, che disciplina la sorte degli avvisi di accertamento precedenti al periodo d'imposta 2016, senza riproporre la salvezza per gli atti già notificati.

Infatti, la legge di Stabilità, regolando ex novo l'intera materia sul “raddoppio dei termini” dell'accertamento, anche sotto il profilo della disciplina transitoria applicabile agli atti impositivi emessi ante 2016, riterrebbe applicabile il descritto criterio cronologico senza che sia individuabile un rapporto di specialità.

In altri termini, l'evocata giurisprudenza afferma che la norma sopravvenuta (comma 132 cit.) travolge la norma preesistente (art. 2 – co. 3 – cit.), con la conseguenza che, agli atti notificati entro il 31/12/2015, sia applica il regime transitorio previsto dalla legge di Stabilità 2016 e non quello previsto dal “decreto sulla certezza del diritto”, in quanto (implicitamente) abrogato.

La soluzione adottata dai giudici di merito è stata individuata nell'applicazione dei principi generali che regolano l'autonomia tra norme (criterio cronologico, gerarchico, competenza e specialità), con prevalenza della norma successiva, che produce l'effetto dell'abrogazione implicita della norma precedente, non potendo coesistere due leggi che disciplinino, integralmente, la medesima materia e regolando la nuova legge l'intera materia già regolata dalla legge anteriore.

Vero è che il comma 3 dell'art. 2 D.Lgs. n.128/15 prevedeva un'espressa disciplina transitoria del regime dei termini di accertamento – già modificati dallo stesso art. 2 -, ma quella norma non cambiava completamente il sistema.

La legge n. 208/15 ha superato, invece, il sistema del raddoppio dei termini ed allungato tutti gli ordinari termini di accertamento.

E, quindi, non c'era bisogno di alcuna "clausola di salvaguardia" laddove le norme strettamente procedimentali (in primis in tema di termini) sono di per sé regolate da principio del tempus regit actum.

Resta, invece, immutato, anche dopo la legge di stabilità, il principio che il "raddoppio dei termini" non presuppone un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato perché se così fosse verrebbe violato il regime del cd. doppio binario tra giudizio penale e giudizio tributario.

Nonostante la giurisprudenza di merito prevalente si stia orientando nel senso sopra rappresentato, ricorre anche una diversa interpretazione, al momento minoritaria, che non ritiene abrogata la "clausola di salvaguardia" del “decreto sulla certezza del diritto”.

Infatti, nella sentenza n. 861 del 17/2/2016, la C.T.R. della Lombardia – diversamente dalle richiamate pronunce della stessa Commissione – afferma che, nonostante il comma 132 della legge di Stabilità 2016, l'anzidetta "clausola di salvaguardia" debba ancora applicarsi rispetto agli atti impositivi emessi prima del 2016. Ciò, in quanto “il legislatore di dicembre 2015 non si è posto in alcun modo il problema di salvaguardare attività la cui disciplina transitoria era stata in precedenza compiutamente chiusa con le disposizioni del D.Lgs. n. 128/2015”.

In sostanza, la leggi di Stabilità 2016 non si sarebbe occupata di disciplinare gli accertamenti già portati a termine, compatibilmente con il precedente regime transitorio che “aveva fatto salvi tali accertamenti”, esaurendo così la propria funzione. A sostegno di tale assunto, la pronuncia in esame richiama l'esigenza di salvaguardare l'efficacia della “dispendiosa” attività già effettuata dall'A.F., nonché il rispetto del principio tempus regit actum e del divieto di irretroattività sancito dall'art. 11 disp. prel. cod. civ. e dall'art. 3 dello Statuto dei diritti del contribuente.

La natura procedimentale della norma in esame potrebbe comportare, infatti, che si applichi il principio che impone di tener presente la situazione di fatto e di diritto vigente al momento dell'emissione del provvedimento, determinando l'indifferenza dell'atto, emanato in base a norme procedimentali in quel momento vigenti, alle successive modifiche normative che riguardino la stessa norma procedimentale.

In conclusione

La riforma dei termini di accertamento, operata con la legge di Stabilità 2016, si pone in armonia con la politica di ridefinizione dei rapporti tra la normativa tributaria e quella penale, iniziata con il D.Lgs. n. 158/2015 (sulla riforma del sistema sanzionatorio). E' evidente, infatti, che l'abrogazione dell'istituto in esame consente di superare numerose criticità connesse al regime del cd. doppio binario tra processo penale e procedimento tributario, come la “querelle” sull'operatività del raddoppio in caso di archiviazione o proscioglimento del reo/contribuente o di intervenuta prescrizione del reato oppure di denuncia riferita ad un soggetto diverso dal contribuente (es. amministratore di società di persone e soci). Problemi, questi, oggetto di un vivace dibattito giurisprudenziale, in quanto mai espressamene disciplinati dal legislatore, ma per il futuro risolti dall'abrogazione dello stesso istituto del “raddoppio”.

Inoltre, nel tentativo di porre fine ad una serie di altri problemi interpretativi irrisolti, relativi anche alla previsione di “ultrattività” della previgente disciplina, l'ultima riforma è sembrata muoversi per risolvere, tramite l'abrogazione del raddoppio e una diversa disciplina transitoria, le criticità legate all'operatività di tale istituto.

Tuttavia tale finalità rischia di rimanere frustrata per il difficile coordinamento tra il regime transitorio del “decreto sulla certezza del diritto” e quello contenuto nel comma 132, art. 1, della legge n. 208/2015.

Allora, a meno che non si voglia ritenere superabile tale coordinamento, come auspicato da una parte della dottrina mediante un ulteriore intervento legislativo, non può che augurarsi una sollecita pronuncia della Corte di legittimità.

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