Mandato senza rappresentanza: ai fini IVA il mandatario è come se ricevesse o fornisse i servizi in nome proprio

La Redazione
09 Novembre 2016

Nel rapporto di mandato senza rappresentanza non è legittima alcuna differenza tra importo fatturato dal mandatario al terzo e dal mandante al mandatario e dalla singola impresa al consorzio e quello fatturato dal consorzio al terzo, fermo restando la rilevanza fiscale della provvigione (se pattuita e formalizzata). Così la Cassazione decide con la sentenza n. 22435/2016.

Nel rapporto di mandato senza rappresentanza non è legittima alcuna differenza tra importo fatturato dal mandatario al terzo e dal mandante al mandatario – e nel caso specifico oggetto di disamina – dalla singola impresa al consorzio e quello fatturato dal consorzio al terzo, fermo restando la rilevanza fiscale della provvigione (se pattuita e formalizzata). Questo quanto affermato dalla Corte con sentenza n. 22435/2016.

L'Agenzia delle Entrate irrogava sanzione alla società consorziata al consorzio poiché vi era una mancata fatturazione dei costi sostenuti dal consorzio stesso e da quest'ultimo ribaltati pro quota sulla consorziata senza l'emessione della relativa fattura, non aveva quindi regolarizzato l'operazione con autofattura così come prescritto dall'art. 6, comma 8 del D.Lgs. n. 471/1997.

Le medesime Entrate rilevavano, in particolare, che il consorzio (che agiva per scopo mutualistico), assumeva il ruolo di mandatario senza rappresentanza dei consorziati svolgenti attività oggetto delle commesse ed emettendo fatture al consorzio, il quale corrispondeva somme per l'attività svolta, emettendo poi, a sua volta, fatture ai committenti per le opere eseguite.

Ciò che solleva l'Ufficio è che il consorzio aveva operato un'indebita compensazione tra i ricavi che avrebbe dovuto trasferire alla consorziata ed il contributo che quest'ultima doveva al consorzio per il suo funzionamento, quindi, secondo l'Agenzia, il consorzio avrebbe dovuto fatturare i propri costi provvedendo pro quota.

La CTP annullava l'atto di contestazione impugnato dalla società, anche la CTR respingeva l'appello mosso dall'Amministrazione ritenenedo che l'addebito dei costi alle consorziate sia dovuto soltanto per l'importo eccedente la parte non coperta dalle differenze generate dalle fatture e che non vi è nessun obbligo di autofattura poiché l'attività è svolta in favore di committenti non consorziati.

Ora la questione passa ai Supremi Giudici che in prima analisi chiariscono subito – ricordando le sezioni unite nn. 12190, 12191, 12192 – che lo scopo mutualistico può coesistere con quello di lucro, anche ai fini fiscali.

La distinta soggettività fiscale e l'autonoma responsabilità, spiegano dalla Corte, delle obbligazioni tributarie connesse alle operazioni poste in essere da ciascuna consorziata, nonché dalla società consortile, comportano la necessaria distinzione tra le operazioni realizzate dalla società consortile in esecuzione del patto mutualistico, e quelle costituenti esercizio di un'autonoma attività commerciale della società consortile.

Sempre riprendendo l'analisi svolta dalle Sezioni Unite si legge che quest'ultime hanno individuato le seguenti ipotesi che giustifichino differenze tra quanto fatturato dal consorzio al terzo committente e quanto fatturato dal consorziato al consorzio, nello specifico:

  • differenza costituita dal costo delle spese di gestione generali ripartito tra i singoli consorziati e addebitato al consorzio in occasione della commissione dei lavori;
  • differenza costituita dal costo di specifici servizi forniti dal consorzio al consorziato in relazione ai lavori che questo è deputato a svolgere;
  • differenza costituita dalle provvigioni dovute dal consorziato (mandante) al consorzio (mandatario senza rappresentanza), escluse dall'imponibile IVA, in base all'art. 13 del d.P.R. n. 633/1972.

In sostanza restando nella cornice delle attività svolte dal consorzio va detto che il mandato senza rappresentanza riceve ai fini IVA una particolare disciplina: i rapporti tra mandante e mandatario perdono la loro neutralità, assurgendo ad autonomi presupposti per l'applicazione del tributo. Tale ricostruzione pare essere conforme all'interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, secondo cui, nel rapporto di mandato senza rappresentanza – ai fini IVA – il mandatario che agisce per conto del mandante è come se ricevesse o fornisse i servizi in nome proprio; perciò nel mandato alla vendita si trasferisce un servizio avente identica natura di quello che, per finzione giuridica, è stato acquisito dal mandatario (vedi Corte di Giustizia 14 luglio 2011, causa C-464/10).

Alla luce di siffatte considerazioni la Corte di Cassazione conclude sostenendo che non è legittima alcuna differenza tra l'importo fatturato dal mandatario al terzo e dal mandante al mandatario, accoglie così il ricorso delle Entrate.

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