Patteggiamento nei reati tributari: dubbi di illegittimità a seguito della riforma
11 Maggio 2017
Con la pronuncia n. 102 di ieri la Corte Costituzionale ha rinviato al giudice del merito la questione inerente al "patteggiamento" nei reati tributari. La riforma del diritto penale tributario ha proposto nuove questioni di legittimità costituzionale; nel caso oggetto di disamina il Tribunale di Treviso ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 2-bis, del D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74 (convertito in legge n. 148/2011) in forza del quale, per i delitti di cui al medesimo D.Lgs., l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 del c.p.p. può essere chiesta dalle parti solo nel caso di estinzione mediante pagamento dei debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei predetti delitti – comprensivi delle sanzioni amministrative – prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.
Il delitto che veniva imputato al legale rappresentante della s.r.l. in questione è enunciato dall'art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000, omesso versamento dell'IVA. In sostanza il difensore chiedeva il patteggimento della pena, il p.m. aveva negato il consenso in ragione dell'inamissibilità dell'istanza ai sensi dell'art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000, non essendo intervenuto il pagamento del debito tributario.
Le questioni proposte alla Consulta riguardano "un'ingiustificata disparità di trattamento fra gli imputati dei reati tributari, in relazione sia alla loro capacità economica sia al loro ruolo all'interno della società rappresentata". Viene specificato che la maggiore o minore disponibilità economica dell'imputato, e la conseguente possibilità o impossibilità materiale di estinguere il debito tributario, finirebbero per incidere sulla misura della pena applicata e sul regime degli effetti penali del reato commesso, creando così una discriminazione tra soggetti abbienti e non abbienti.
Inoltre, viene specificato che, gli imputati verrebbero assoggettati a un trattamento irragionevolmente deteriore rispetto a quello riservato agli imputati di altri reati, anche di maggiore gravità e commessi in danno dello Stato o di altri enti pubblici, (un esempio potrebbe essere la truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche - art. 640-bis c.p., la malversazione a danno dello Stato - art. 316-bis c.p. ...).
Ora, le nuove disposizioni introdotte dagli artt. 13 e 13-bis del D.lgs. n. 74/2000 (aggiunte dall'art. 12 del DLgs. n. 158/2015) differiscono profondamente dalla vecchia disciplina, spetta, pertanto, al rimettente verificare se, e in quale misura, lo ius superveniens incida sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza delle questioni formulate.
La Corte Costituzionale rinvia dunque, al giudice a quo, i dubbi di illegittimità a seguito della riforma.
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