La "revisione" delle sanzioni amministrative/penali, un intervento dall'ambito incerto

Nicola Forte
09 Luglio 2015

Il Governo ha approvato recentemente, allo scadere del termine previsto per l'attuazione della Delega fiscale, lo schema di D.Lgs. avente ad oggetto la “revisione” delle sanzioni penali tributarie. In particolare, le sanzioni penali applicabili al delitto delle indebite compensazioni sono state differenziate. In base alla formulazione iniziale del testo normativo, a seguito di compensazione con crediti non spettanti, le sanzioni penali applicabili avrebbero dovuto essere quelle già previste in passato. In questo caso la sanzione penale è rappresentata dalla reclusione da sei mesi a due anni. Invece per le indebite compensazioni con crediti inesistenti lo schema di decreto legislativo prevede un inasprimento della sanzione da diciotto mesi a sei anni. Non è chiara, invece, l'applicazione del principio del favor rei.
Lo schema di decreto

La materia delle indebite compensazioni è disciplinata dall'art. 10 quater del D.Lgs n. 74/2000. La disposizione prevede che chiunque non versi le somme dovute al Fisco, per un ammontare superiore a 50.000,00 euro per ciascun periodo d'imposta, utilizzando in compensazione, ai sensi dell'art. 17 del D.Lgs. n. 241/97, crediti non spettanti o inesistenti incorre nel reato di indebita compensazione. Tale norma è stata inserita nell'ordinamento penale tributario dall'art. 35, comma 7, del D.L. n. 223/2006, con l'esigenza di rafforzare la tutela della riscossione, inizialmente considerata dalla sola fattispecie della sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

Dal punto di vista amministrativo l'art. 27, comma 18 del D.L. 185 del 2008 ha previsto che “l'utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è punito con la sanzione dal 100 al 200 per cento della misura dei crediti stessi”. La previsione, nella sostanza, è intervenuta sull'entità della sanzione che, prima della modifica, era del 30 per cento. Invece la sanzione amministrativa applicabile all'indebita compensazione con crediti non spettanti continua ad essere irrogabile nella misura del 30 per cento.

La distinzione è sicuramente condivisibile in quanto le due fattispecie, cioè le compensazioni con crediti inesistenti o non spettanti sono oggettivamente diverse e sotto questo profilo è corretto prevederne un trattamento, per ciò che riguarda sia le sanzioni penali che amministrative differenziato.

Lo schema di decreto legislativo approvato dal Governo ha previsto la medesima distinzione anche dal punto di vista penale con la specifica introduzione di una causa di non punibilità. In particolare, è stata introdotta una causa di non punibilità per i reati di omesso versamento delle ritenute, dell'IVA e per indebita compensazione di crediti non spettanti a prescindere dalla formale conoscenza da parte del contribuente di un controllo fiscale nei suoi confronti o di un procedimento penale. Tuttavia, al fine di beneficiare della nuova causa di non punibilità è necessario procedere al versamento delle somme a suo tempo omesse, oltre agli interessi e alle sanzioni.

Il versamento deve essere eseguito prima dell'apertura del dibattimento di primo grado. Un'analoga causa di non punibilità è stata prevista anche per l'ipotesi di dichiarazione infedele ed omessa. In questo caso il pagamento delle imposte dovute deve essere effettuato dal contribuente prima dell'attività di controllo del Fisco. In pratica il contribuente non deve aver avuto formale conoscenza dell'avvio dell'attività di controllo amministrativa o di un procedimento penale.

La “revisione” del sistema delle sanzioni penali nell'ambito tributario torna a rendere attuale ancora una volta la distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti. Infatti, come già ricordato, nell'ipotesi di indebita compensazione la causa di non punibilità e la conseguente estinzione del reato troverà applicazione esclusivamente per le compensazioni con crediti non spettanti.

Il credito inesistente è quello che risulta tale sin dall'origine. Ad esempio se il contribuente, alterando i contenuti nella dichiarazione, fa risultare un credito dal quadro RX, tale credito sia considera inesistente. Per crediti inesistenti si devono intendere con certezza gli importi artificiosamente rappresentati in sede contabile o dichiarativa, ossia quelli di natura dolosa. Il Legislatore ha così voluto essere particolarmente rigoroso, sia sul piano delle sanzioni amministrative, sia per ciò che riguarda le sanzioni penali nei confronti dei contribuenti che utilizzano in compensazione un credito ben sapendo che lo stesso non esiste nemmeno in parte.

Il credito non spettante è invece quello che esiste effettivamente ma che, ad esempio, non può essere fruito in compensazione. Ad esempio si considera tale il credito utilizzato dal contribuente in compensazione nonostante il “blocco” dovuto all'iscrizione a ruolo di somme superiori a 1.500 euro.

Un'analisi a parte merita il caso in cui il contribuente ha correttamente indicato il credito esistente nel quadro RX del Modello Unico dello scorso anno, lo ha utilizzato in compensazione nel modello F24 e per un errore materiale ha omesso di indicare l'utilizzo del credito nella dichiarazione dei redditi dell'anno successivo. In questo caso a seguito di un errore materiale il contribuente ha utilizzato per errore lo stesso credito due volte.

Si tratta di un'irregolarità facilmente individuabile in base all'attività di controllo formale con la conseguente emissione di apposito preavviso di irregolarità nei confronti del contribuente. Nel caso di specie il credito iniziale era sicuramente esistente e non rappresentato sulla base di semplici artifizi. Il problema è nato in relazione al fatto che il contribuente lo ha utilizzato ed ha omesso di indicare la compensazione avvenuta all'interno del modello F24 all'interno della dichiarazione dei redditi. A seguito dell'omissione si è verificata la duplicazione dell'utilizzo del credito.

In base ai chiarimenti forniti dall'Agenzia delle Entrate, tale fattispecie deve essere ricondotta nell'ambito delle indebite compensazioni con crediti non spettanti. Conseguentemente il contribuente potrà beneficiare della nuova causa di non punibilità qualora, anche dopo aver ricevuto il preavviso di irregolarità, provveda al versamento dell'imposta, delle sanzioni e degli interessi. Infatti, il versamento delle predette somme entro la data di apertura del dibattimento di primo grado rappresenta una condizione essenziale al fine di applicare la nuova causa di non punibilità.

La conferma in tal senso si desume dalla Circolare dell'Agenzia delle Entrate 10 maggio 2011, n. 18/E. Secondo l'Amministrazione finanziaria “Da una lettura sistematica delle disposizioni normative sopra citate o richiamate si evince che l'unica sanzione applicabile alle violazioni rilevate in sede di controllo automatizzato delle dichiarazioni effettuato ai sensi degli articoli 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 – ancorché riferibili all'utilizzo in compensazione di crediti per un ammontare superiore a quanto dichiarato – è quella prevista dall'art. 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997 per i ritardati od omessi versamenti diretti. In buona sostanza si applicherebbe, secondo le indicazioni fornite dal documento di prassi, la sanzione del 30 per cento prevista per le indebite compensazioni di crediti non spettanti e non quella variabile tra il 100 ed il 200 per cento, prevista per le indebite compensazioni con crediti inesistenti.".
Il chiarimento conferma, in questo caso, la possibilità per i contribuenti di invocare l'applicazione della nuova causa di non punibilità.

Il favor rei

La “revisione” delle sanzioni penali/tributarie, ma anche amministrative è a tempo. In pratica le disposizione contenute nello schema di decreto legislativo approvato dal Governo troveranno applicazione fino al 31 dicembre 2017. Dopo tale data, se non interverranno ulteriori modifiche normative, si potrebbe tornare al “sistema” previgente.

L'interprete non può che rimanere sconcertato di fronte ad una simile tecnica legislativa che si pone in evidente contrasto con le necessarie esigenze di certezza del diritto e di semplificazione del sistema.

Dalla lettura della relazione tecnica sembra che la durata temporanea delle nuove disposizioni in tema di sanzioni sia dovuta esclusivamente ai vincoli posti dalla Ragioneria generale dello Stato e quindi dalle esigenze di copertura. In pratica la copertura del costo per le casse dello Stato conseguente all'attenuazione delle sanzioni amministrative è stata stimata nella misura di 40 milioni l'anno ed è garantita solo per il 2016 ed il 2017. Ne è conseguita una revisione delle sanzioni a tempo cioè per i soli anni 2016 ed il 2017. La disposizione di riferimento è rappresentata dall'art. 31 dello schema di decreto legislativo il quale prevede che “Le disposizioni recate dal presente decreto si applicano dal 1° gennaio 2016 e fino al 31 dicembre 2017”. Occorre dunque domandarsi cosa succederà dal 1 gennaio 2018 ai contribuenti che nel 2017, cioè nel periodo di imposta durante il quale è applicabile la nuova norma, non hanno versato l'imposta sul valore aggiunto, ad esempio, per 120.000 euro.

L'art. 8 del D.Lgs n. 74/2000 prevede che “È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo, l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro cinquantamila per ciascun periodo d'imposta”.

Dal 1° gennaio 2016 tale limite viene elevato a 250.000 euro. Pertanto se nel 2017 l'omesso versamento ammonta a 120.000 euro l'omissione non configura alcuna ipotesi di reato, ma non è chiaro cosa succederà dal 1° gennaio 2018, quando il limite potrebbe tornare a ridursi a 50.000 euro.

Si pone poi il dubbio dell'applicazione del principio del favor rei, cioè se, ad esempio, l'omesso versamento dell'IVA avvenuto nel 2015 per un importo pari a 60.000 euro (superiore al precedente limite di 50.000 euro), configuri un'ipotesi di reato. I dubbi nascono proprio da un'interpretazione letterale dell'art. 31 il quale prevede, come ricordato, che le nuove disposizioni sono applicabili dal 1 gennaio 2016. Sembrerebbe, quindi, che per il passato debbano trovare applicazione le “vecchie” soglie con la conseguenza che l'omissione descritta nell'esempio dovrebbe configurare un'ipotesi di reato. Tuttavia questa interpretazione sembra essere troppo rigorosa e non è condivisibile.

Si tratta, in pratica, di valutare l'applicazione del principio in base al quale nessuno può essere assoggettato ad una sanzione per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce più una violazione punibile.

Se, invece, la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo. Tale principio, in vigore da sempre nella materia penale, in materia tributaria è stato introdotto nel 1997.

Nell'analisi della successione di leggi penali e nello scrutinio dei diversi commi dell'art. 2 del codice penale devono essere esaminati gli ultimi due capoversi. Il quarto comma dell'art. 2 sottrae alla disciplina sulle successioni delle leggi quelle eccezionali o temporanee: la ratio sottesa è quella di evitare che nell'esercizio del favor rei trovino spazio disposizioni giustificate solo da una situazione particolare e temporalmente circoscritta, della cui eventuale mitezza sanzionatoria non sarebbe giusto fruire al di fuori dei tempi considerati.

Le ragioni che hanno indotto il Legislatore delegato a modificare (in aumento) temporaneamente le soglie di punibilità non sono certamente dovute all'intenzione di prevedere un sistema sanzionatorio eccessivamente mite e per tale ragione non applicabile al passato. In altre parole la temporaneità sembra dovuta esclusivamente a ragioni di gettito ed al fine di ottenere la bollinatura della Ragioneria generale dello Stato. Al di fuori di questa ipotesi, in mancanza di problematiche legate alla copertura del minor gettito, il Legislatore avrebbe sicuramente sottoposto ad una revisione il sistema sanzionatorio senza alcun limite temporale. In questo caso non sarebbe sorta alcuna incertezza circa l'applicabilità del favor rei.

In conclusione

Alla luce dell'attuale formulazione normativa, anche in considerazione della sentenza del 17 settembre 2009 della Corte europea dei diritti dell'uomo, sussiste il concreto rischio che l'entrata in vigore a termine delle disposizioni in commento sia considerato costituzionalmente illegittimo. Conseguentemente in tale ipotesi non potrà non trovare applicazione il principio del favor rei, cioè il principio della retroattività della legge penale meno severa. In pratica se la legge penale in vigore al momento della commissione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronuncia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare le disposizioni più favorevoli all'imputato.

È auspicabile che, a seguito dei pareri espressi dalle Commissioni parlamentari, il problema venga definitivamente risolto.

Riferimenti

Normativi:

Art. 27, comma 18, D.L. 29 novembre 2008, n. 185

Art. 35, comma 7, D.L. 04 luglio 2006, n. 223

D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74

Art. 13, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471

D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600

D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633

Prassi:

Agenzia delle Entrate, Circolare 10 maggio 2011, n. 18/E

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