Dirigenti illegittimi e onere della prova a carico dell’Amministrazione finanziaria

04 Giugno 2015

In caso di contestazione, il Fisco ha l'onere di provare che il dirigente che ha firmato l'atto impugnato sia stato nominato previo esperimento di un pubblico concorso. In caso contrario, va dichiarata l'illegittimità dell'atto, in linea con quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 37 depositata il 17 marzo 2015. Tanto è stato affermato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, sezione seconda, con le sentenze gemelle nn. 1789 e 1790 depositate il 21 maggio 2015.
La nota sentenza della Consulta n. 35/2015

La Corte Costituzionale, con la sentenza del 17 marzo 2015, n. 37 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale:

  1. dell'art. 8, comma 24, del D.L. n. 16 del 02 marzo 2012 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e di potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della Legge n. 44 del 26 aprile 2012;
  2. dell'art. 1, comma 14, del D.L. n. 150 del 30 dicembre 2013 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della Legge n. 15 del 27 febbraio 2014;
  3. dell'art. 1, comma 8, del D.L. n. 192 del 31 dicembre 2014 (Proroghe di termini previsti da disposizioni legislative).

Tutte le suddette norme, che consentivano all'Agenzia delle Entrate di coprire le posizioni dirigenziali vacanti mediante il ricorso a contratti individuali di lavoro a termine con funzionari interni, sono state, dunque, dichiarate incostituzionali in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.

Nello specifico, la controversia trae origine da un ricorso proposto dinanzi al TAR Lazio dall'organizzazione sindacale Dirpubblica: il giudice amministrativo, con la sentenza del 1° agosto 2011, n. 6884, aveva accolto il ricorso e a seguito dell'appello dell'Agenzia delle Entrate, il caso è passato al vaglio del Consiglio di Stato. Nelle more del procedimento di appello è, per l'appunto, entrato in vigore l'art. 8, comma 24, del D.L. 2 marzo 2012, n. 16.

Il Consiglio di Stato ha bloccato la sua decisione e, con ordinanza separata ha rimesso alla Corte costituzionale la questione.

Orbene, la sentenza n. 37 del 2015 ha stabilito che «il conferimento di incarichi dirigenziali nell'ambito di una amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio». Inoltre, la Corte Costituzionale, in linea con precedenti giurisprudenziali (sentenze Corte Costituzionale n. 194 del 2002, n. 293 del 2009, n. 150 del 2010, n. 7 del 2011 e n. 217 del 2012) ha evidenziato come «anche il passaggio a una fascia funzionale superiore comporti l'accesso a un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso».

L'Agenzia delle Entrate, per colmare le carenze nell'organico dei propri dirigenti, negli anni ha fatto ampio uso dell'istituto previsto dall'art. 24 del proprio Regolamento di amministrazione che consente la copertura provvisoria delle eventuali vacanze nelle posizioni dirigenziali previa valutazione di idoneità degli aspiranti, pensato, però, per situazioni peculiari, e non quale metodo ordinario, come è accaduto con le diverse proroghe succedutesi nel tempo.

Pertanto, per la Consulta se è vero che la possibilità di ricorrere all'istituto della delega anche a funzionari, per l'adozione di atti a competenza dirigenziale, consente di garantire la funzionalità delle Agenzie, a prescindere dalla validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla disposizione censurata, è anche vero che, venendo meno quella validità, viene messa in discussione la legittimità stessa degli atti sottoscritti ovvero la cui sottoscrizione è stata delegata da impiegati incaricati illegittimamente di funzioni dirigenziali.

Alla luce di tanto, se i dirigenti sono stati nominati in base alle specifiche leggi dichiarate incostituzionali, gli avvisi di accertamento che hanno sottoscritto o le deleghe che hanno conferito sono totalmente illegittimi, in base alla Legge 7 agosto 1990, n. 241, espressamente richiamata dall'art. 1, comma 2, del Regolamento di amministrazione dell'Agenzia dell'Entrate (approvato con delibera del Comitato direttivo n. 4 del 30 novembre 2000 - pubblicato nella G.U. n. 36 del 13 febbraio 2001 - ed aggiornato fino alla delibera del Comitato di gestione n. 57 del 27 dicembre 2012).

A tale riguardo va ricordato che l'art. 21 septies della Legge n. 241/1990 testualmente dispone:

«È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge».

In conclusione, alla luce della suddetta sentenza, se chi ha sottoscritto l'atto non è dirigente perché la sua nomina era illegittima anche l'atto lo sarà e questo vizio di nullità, tassativamente previsto dalla legge, ha effetti meccanici sulla validità degli atti.

Con riferimento, infine, all'onere della prova, nella individuazione del soggetto legittimato a sottoscrivere l'avviso di accertamento, in forza dell'art. 42 D.P.R. n. 600/73 citato, incombe sempre all'Agenzia delle Entrate l'onere di dimostrare il corretto esercizio del potere e la presenza di eventuale delega, legittimamente conferita.

Sentenze gemelle della C.T.P. di Lecce nn. 1789 e 1790 depositate il 21 maggio 2015

A distanza di poco più di due mesi dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 37/2015, è possibile tracciare un orientamento favorevole al contribuente (cfr. sentenze C.T.P. Milano n. 3222/25/15, C.T.P. Brescia n. 277/1/15, C.T.P. Frosinone n. 414/02/15, C.T.R. Milano n. 2148/13/15) sulla vicenda oggetto di analisi del presente contributo.

L'ultima importante conferma si è avuta con le due sentenze gemelle emesse dalla sezione seconda della Commissione Tributaria Provinciale nn. 1789 e 1790 del 21 maggio 2015.

Nello specifico, la controversia concerne un contenzioso originato dall'impugnazione, da parte di una società contribuente, di avvisi di accertamento sottoscritti da un funzionario dell'Agenzia delle Entrate, su delega del Direttore Provinciale.

La difesa di parte ricorrente tra i motivi di ricorso ha eccepito tra l'altro anche la carenza del requisito dirigenziale in capo al Direttore a seguito della sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale laddove l'Ufficio si limitava ad affermare come “notorio” il fatto che il Direttore fosse un regolare dirigente, vincitore di concorso.

Ebbene, la Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, con le due sentenze nn. 1789 e 1790 del 21 maggio 2015 ha affermato che «in ogni caso, quando il contribuente eccepisce la violazione del più volte citato art. 42, l'onere della prova spetta sempre all'Agenzia delle Entrate, che deve contrastare le eccezioni di parte con prove documentali valide ed appropriate (Cassazione, sent. n. 17400/12, n. 14626/00, n. 14195/00, n. 14942 del 21/12/2012 depositata in cancelleria il 14 giugno 2013). A fronte del mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte del soggetto onerato, il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d'ufficio le prove, in forza dei poteri istruttori attribuitigli dall'art. 7 D. Lgs. n. 546/92, perché tali poteri sono meramente integrativi e non esonerativi dell'onere probatorio principale (Cassazione, sentenza n. 10513/2008)».

La carica dirigenziale deve, dunque, essere dimostrata con la produzione di apposita documentazione laddove il giudice adito non può prendere in considerazione una mera affermazione di parte.

Nel caso di specie, essendo stata riscontrata la carenza di carica dirigenziale in capo al Direttore, l'Ufficio non ha neppure provato in sede contenziosa che il funzionario delegato alla firma era, a sua volta, dirigente per concorso pubblico o funzionario della nona qualifica direttiva, ai sensi dell'art. 42, primo comma, del D.P.R. n. 600/1973.

Pertanto, il collegio pugliese, in applicazione dei principi sopra esposti, rilevando l'assenza di prova documentale e certificata che il titolare della Direzione Provinciale di Lecce fosse un “legittimo dirigente a seguito di regolare concorso pubblico”, ha annullato gli avvisi di accertamento impugnati, per inosservanza dell'art. 42, primo e terzo comma, del D.P.R. n. 600/1973, perché atti discrezionali e non vincolati.

Le sentenze in commento ribadiscono, non solo la piena rilevanza della sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015 ai fini della validità degli atti e dell'onere della prova a carico dell'Agenzia in ordine alla legittimità della nomina dirigenziale, ma confermano anche l'assenza di qualsiasi preclusione processuale al rilievo del vizio di nullità assoluta, sollevabile in ogni stato e grado del giudizio, oltre che d'ufficio, anche nella memoria illustrativa, in appello o, persino, in sede di discussione di merito.

Riferimenti

Normativi:

Art. 1, comma 8, D.L. 31 dicembre 2014, n. 192

Art. 1, comma 14, D.L. 30 dicembre 2013, n. 150

Art. 8, comma 24, D.L. 2 marzo 2012, n. 16

Legge 07 agosto 1990, n. 241

Art. 42, primo comma, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600

Giurisprudenza:

Corte Cost., sent. 17 marzo 2015, n. 37

T.A.R. Lazio, sent. 1 agosto 2011, n. 6884

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