Il contrasto fra prassi e giurisprudenza sulla natura del contributo repertoriale

La Redazione
12 Febbraio 2016

Nel tentativo di qualificare correttamente la natura del contributo repertoriale dovuto alla Cassa Nazionale del Notariato occorre evidenziare un forte contrasto tra prassi e giurisprudenza di legittimità.

Nel tentativo di qualificare correttamente la natura del contributo repertoriale dovuto alla Cassa Nazionale del Notariato occorre evidenziare un forte contrasto tra prassi e giurisprudenza di legittimità.

Da un lato la tesi erariale tende ad inquadrare il contributo repertoriale quale onere deducibile ai sensi dell'art. 10 TUIR; dall'altro la giurisprudenza prevalente lo annovera fra i componenti negativi deducibili dal reddito professionale ex art. 54 TUIR. Secondo quest'ultima ricostruzione, ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo, tra le spese deducibili rientrerebbero non solo quelle necessarie alla produzione del reddito, ma anche quelle che sono un'immediata derivazione del reddito prodotto (in tal senso Cass. civ., ord. n. 1939/2009).

A ben vedere l'onere è posto dalla legge direttamente a carico del professionista e non del cliente: ne discende che esso va corrisposto comunque e solo dal notaio indipendentemente dall'effettiva riscossione del corrispettivo della prestazione nei confronti del cliente, ovvero dalla gratuità della prestazione. Simile struttura evidenzia la stretta correlazione tra l'esercizio della professione e l'obbligo nascente per il sol fatto di aver iscritto l'atto a repertorio, con conseguente annotazione nelle scritture contabili ex art. 19, D.P.R. 600/1973.

Per questo motivo è da condividere l'orientamento giurisprudenziale prevalente, per il sol fatto che l'art. 54 cit. rimanda al principio dell'inerenza da seguire nell'individuazione dei costi da poter dedurre ai fini della determinazione del reddito professionale imponibile.

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