L’istituto del reclamo e della mediazione alla luce della riforma del contenzioso

Giammarco Galdieri
15 Febbraio 2016

Al fine di ridurre il contenzioso tributario, dal 1° aprile 2012, per le controversie di valore non superiore a 20 mila euro, il contribuente che intende contestare un atto, prima di adire il giudice tributario, deve incardinare un procedimento amministrativo nel quale, in sintonia con le forme e con le regole proprie del processo tributario, anticipare i motivi di impugnazione ed, eventualmente, formulare una proposta di mediazione nei confronti dell'Amministrazione che ha emesso l'atto notificato. Il presente contributo, partendo dalle recenti novità apportate all'istituto dal D.Lgs. n. 156/2015 (c.d. Riforma del contenzioso tributario), fornisce una panoramica delle disposizioni contenute nell'art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992 concernenti il reclamo e la mediazione, approfondendo alcuni temi, tra cui la determinazione del valore della controversia, gli effetti del reclamo e il rapporto tra mediazione e accertamento con adesione.
Premessa

L'istituto del reclamo e mediazione, dalla sua introduzione nell'art. 17-bis del D.Lgs n. 546/1992, vuole permettere all'Amministrazione e al contribuente di riesaminare i fatti e le vicende oggetto di una controversia, per evitare l'insorgere di liti di modesto valore che, tuttavia, rappresentano in termini numerici, più della metà dell'attuale contenzioso tributario.

La mediazione è stata al centro di un vivo dibattito dottrinale e giurisprudenziale, sfociato, poi, in interventi normativi riformatori dell'istituto. Da ultimo, il D.Lgs. del 24 settembre 2015, n. 156, attuativo della legge di delega fiscale, ha inteso potenziare l'operatività dell'istituto, prevedendo, tra l'altro: un ampliamento dell'ambito di applicazione della mediazione; l'aumento degli sconti sanzionatori in caso di effettivo perfezionamento della procedura e la possibilità di accedere alla conciliazione giudiziale. Tuttavia, anche in esito all'ultimo intervento normativo, il legislatore ha confermato l'assenza di un “organo terzo” deputato a decidere sui contenuti del reclamo (come accade, per esempio, per la mediazione civile), limitandosi a prevedere (rectius, confermare) che le doglianze del contribuente (e la proposta di mediazione) siano valutate da strutture diverse e autonome da quelle che curano l'istruttoria degli atti reclamabili. Sul punto, invero, la Corte Costituzionale, con la nota Ordinanza del 16 aprile 2014, n. 98, aveva già ribadito che la mediazione si pone quale forma di composizione pre-giurisdizionale delle controversie, in una fase in cui, le parti, agiscono su un piano di parità e, quindi, la mancanza di terzietà dell'organo mediatore non determina alcuna violazione dei principi costituzionali. Sulla stessa linea, nella relazione al decreto legislativo delegato, l'istituto contenuto nell'art. 17-bis citato, viene descritto come “espressione dell'esercizio di un potere di autotutela dello stesso ente impositore, che va stimolato e incoraggiato”.

Le novità introdotte dalla riforma

L'art. 12, comma 1, del decreto n. 156/2015 prevede che le nuove disposizioni sul processo tributario si applicano, in via generale, a decorrere dal 1° gennaio 2016, ossia, come chiarito dalla relazione illustrativa al medesimo decreto, si applicano ai giudizi pendenti a tale data. Pertanto, le nuove disposizioni inerenti la possibilità di conciliare, ovvero le riduzioni sanzionatorie o le modalità di pagamento, sono da subito applicabili ai procedimenti ancora in corso. All'opposto nessuna previsione del nuovo art. 17-bis può rendersi applicabile alle mediazioni già perfezionate e ai procedimenti ormai definiti.

Inoltre, come chiarito dalla Circolare n. 38/E del 29 dicembre 2015 (di commento alle novità del decreto n. 156/2015), per quanto concerne gli atti prima esclusi dalla disciplina del reclamo/mediazione (ad esempio, gli atti di accertamento catastale o gli atti di altri enti impositori), si deve ritenere che la nuova disciplina trovi applicazione con riferimento ai ricorsi notificati dal contribuente a decorrere dal 1° gennaio 2016.

Gli atti soggetti a reclamo: il nuovo ambito applicativo dell'istituto

Il contribuente può impugnare l'atto, in qualità di parte ricorrente, direttamente o a mezzo del rappresentante legale, valendosi, come procuratore, per le controversie di valore superiore ai 3.000 euro, di un difensore abilitato.

Gli atti soggetti al reclamo ex art. 17-bis, a prescindere dall'ente emittente, sono tutti quelli impugnabili ai sensi dell'art. 19, D.Lgs n. 546/1992, purché di valore inferiore ai 20.000 euro. Tra gli atti reclamabili rientrano anche: il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni, interessi o altri accessori; il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari; gli atti di irrogazione delle sanzioni relative alla omessa o tardiva trasmissione telematica della dichiarazione da parte dell'intermediario incaricato; gli atti che contestano omessi o tardivi versamenti a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione ex art. 36-bis, del D.P.R. n. 600/1973, nel caso in cui, come specificato dall'Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 33/E del 2012, in assenza di pagamento da parte del contribuente delle somme richieste con l'«avviso bonario», l'Ufficio proceda a iscrizione a ruolo (invero, anche con una recentissima sentenza (cfr. sentenza n. 15957 del 28 luglio 2015) la Suprema Corte ha affermato che, seppur l'elencazione degli atti impugnabili contenuta nell' art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 sia tassativa, ciò non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ivi non menzionati, qualora con gli stessi l'Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche. Con specifico riferimento all' impugnabilità dei controlli ex art. 36-bis, poi, la stessa Corte si è espressa in senso favorevole, da ultimo, con la sentenza n. 25297/2014).

Per effetto delle novità normative del D.Lgs. n. 156/2015, aderenti al consolidato orientamento giurisprudenziale (ex multiis, Cass. civ., ss.uu., 25 luglio 2007, n. 16412), sono reclamabili gli atti emessi dai concessionari della riscossione e quindi le cartelle di pagamento solo per i vizi propri dell'atto (visto che, ovviamente, l'Agente della Riscossione non ha disponibilità del tributo e della sua determinazione, ma solo, appunto, degli atti emessi per la riscossione dei crediti erariali); i fermi di beni mobili registrati di cui all'art. 86 del D.P.R. n. 602/1973 e le iscrizioni sugli immobili ai sensi dell'art. 77 del medesimo decreto n. 602.

Inoltre, dal 1° gennaio 2016, sono reclamabili anche gli atti notificati dall'Agenzia delle Dogane, dei Monopoli e dagli Enti locali.

Infine, la mediazione è stata espressamente estesa anche alle cause catastali, come quelle per l'attribuzione e il classamento delle rendite, la ruralità dei fabbricati e quant'altro, anche se cause (per definizione) di valore indeterminabile.

Restano esclusi dall'ambito di applicazione dell'istituto tutti le controversie di valore superiore a 20.000 euro e quelli (eccezion fatta per i catastali) di valore indeterminabile, come, ad esempio, gli atti di irrogazione di sanzioni accessorie, il provvedimento disconoscimento dello stato di Onlus, o la revoca della partita IVA. Allo stesso modo, per espressa previsione normativa non sono soggetti a reclamo gli atti di cui all'art. 47-bis del D.Lgs. n. 546/1992 relativi al recupero degli aiuti di Stato ritenuti illegittimi.

Il valore della controversia

Posto che non rileva l'ente emittente, l'unico criterio per valutare l'assoggettabilità degli atti al reclamo è il valore della controversia che, determinato ai sensi dell'art. 12, comma 2, primo periodo del D.Lgs n. 546/1992, non deve superare i 20.000 euro. Per tale valore deve intendersi l'ammontare del tributo, al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato, invece, in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma delle stesse.

Quando la controversia si genera per effetto di un rifiuto, espresso o tacito, alla restituzione di tributi, il valore della lite è determinabile facendo riferimento all'importo del tributo richiesto a rimborso, senza tener conto degli accessori. Se un atto comprende più tributi, il valore della lite si calcola con riferimento al totale delle imposte pretese, ma nel caso di più accertamenti impugnati con un unico ricorso, secondo le indicazioni dell'Agenzia delle Entrate (Circolare del 19 marzo 2012, n. 9/E del 2012), per determinare il valore di lite, è necessario far riferimento al tributo, o ai tributi, richiesti con il singolo atto.

Infine, nei casi di atti che riducono le perdite, bisogna far riferimento alla c.d. imposta virtuale, che si calcola applicando le aliquote vigenti nell'anno accertato sulla differenza tra la perdita dichiarata e quella accertata. Più nello specifico, in presenza di un accertamento che riduce solo la perdita, il valore della controversia è quantificato mediante la predetta imposta virtuale; all'opposto, se dall'atto impositivo, oltre al disconoscimento della perdita, emerge anche un maggior reddito imponibile, il valore di lite è dato dalla somma dell'imposta virtuale e della maggiore imposta accertata (cfr. Circolare n. 9/E del 2012). Esemplificando, si osservino i seguenti due casi:

Caso n. 1:

La società Alfa srl dichiara una perdita di 50.000 euro. L'Agenzia delle Entrate, con avviso di accertamento, rettifica la perdita, compensandola con un maggior reddito imponibile di 20.000 euro. Ne deriva che, per effetto della rettifica, le perdite realizzate dalla Alfa srl, da 50.000 passano a 30.000 euro. In questo caso, considerata l'aliquota di imposta del 27,5%, l'imposta virtuale (e il valore di lite) è pari a 0,275*(50.000 - 30.000), ossia a 5.500 euro. Il ricorso avverso l'avviso di accertamento che riduce le perdite della Alfa srl, dunque, produrrà anche gli effetti del reclamo e seguirà la disciplina dell'art. 17-bis, D.Lgs. n. 546/1992.

Caso n. 2:

La società Beta srl dichiara una perdita di 15.000 euro. L'Agenzia delle Entrate, con avviso di accertamento, rileva un maggior reddito imponibile per 75.000 e, quindi, non solo le perdite della Beta vengono azzerate, ma è dovuta una maggiore I.Re.S per 16.500 euro. A tale valore deve essere aggiunto quello dell'imposta virtuale, ossia 4.125 euro (cioè 0,275*(15.000 - 0)). Ne deriva che, in questo caso, il valore di lite è pari a 20.625 euro, cioè: 16.500 (maggiore imposta accertata) più 4.125 (imposta virtuale, calcolata sul disconoscimento della perdita). In questo caso, dunque, il ricorso avverso l'avviso di accertamento non produce gli effetti del reclamo e non rientra nella disciplina dell'art. 17-bis, D.Lgs. n. 546/1992.

In evidenza: valore della controversia e valore della domanda
Soprattutto ai fini di una strategia processuale in sede di impugnazione, è opportuno osservare che l'art. 17-bis in parola fa riferimento al “valore della controversia” e non al “valore dell'atto”. La distinzione è fondamentale. In base all'art. 17-bis il valore della controversia deve essere determinato secondo il citato art. 12 che, come norma speciale, deve essere coordinato con l'art. 10 del codice di procedura civile. Tale disposizioni, in effetti, prevede che il valore della controversia si determina sulla base della domanda (e non sul valore dell'atto). Ne deriva che, anche se le maggiori imposte accertate superano la soglia dei 20.000 euro, se il contribuente accetta taluni rilievi, ma chiede l'annullamento di altri, diventa dirimente la somma dei tributi collegati ai rilievi di cui si chiede l'annullamento che, dunque, se è sotto soglia, il ricorso segue l'iter procedurale amministrativo-giudiziale dell'art. 17 del D.Lgs n. 546/1992. Tale aspetto deve senz'altro essere valutato nella gestione degli avvisi di accertamento anche, e soprattutto, alla luce di quanto si dirà nel prosieguo in relazione alla dilazione del contenzioso e della riscossione in caso di reclamo e mediazione.

Modalità ed effetti della presentazione del reclamo

L'impugnazione degli atti reclamabili avviene con un ricorso, redatto secondo i dettami dell'art. 18 del D.Lgs n. 546/1992, nonché notificato e depositato nelle forme previste dal medesimo decreto legislativo. Ne deriva che, nel ricorso devono essere espressi gli elementi essenziali per l'ammissibilità (i.e., Commissione Tributaria adita, dati del contribuente, ufficio resistente, estremi dell'atto impugnato, petitum, causa petendi e sottoscrizione) e gli altri elementi la cui assenza configura mera causa di irregolarità (sanzionabile).

Anche nell'impugnazione degli atti reclamabili, la domanda del ricorso/reclamo è l'annullamento totale/parziale dell'atto contestato. Tuttavia, quando il ricorso produce anche gli effetti del reclamo, lo stesso può contenere una proposta di mediazione nella quale il contribuente può proporre una mera rideterminazione dell'ammontare della pretesa.

Anche nell'ambito della procedura di reclamo, restano invariati i termini e i modi per la proposizione del ricorso che, dunque, deve essere notificato all'ente emittente dell'atto nelle forme (i.e., tramite ufficiale giudiziario, consegna diretta o spedizione postale) e nei termini di legge (sessanta giorni dalla notifica dell'atto impugnato, salve le ipotesi di sospensione). A differenza del normale iter giurisdizionale del ricorso, in caso di reclamo, i termini per la costituzione in giudizio sono sospesi, sia per il contribuente che per l'Ufficio resistente, per novanta giorni. A tale termine, per espressa previsione normativa (art. 17-bis, comma 2), si applica anche la sospensione feriale dei termini. Sul punto, si osservi che la sospensione dei termini durante il mese di agosto riguarda solo la costituzione in giudizio e non anche la scadenza, amministrativa, per la formulazione/perfezionamento della mediazione. Ne deriva che se, per esempio, un ricorso è stato notificato il 14 maggio, il termine entro il quale concludere la procedura di mediazione sarà il 13 agosto (14 maggio + 90 giorni); mentre il termine per la costituzione in giudizio spirerà il 13 ottobre (14 maggio + 30 giorni per la costituzione in giudizio + 90 giorni sospensione art. 17-bis + 31 giorni sospensione feriale).

Durante la pendenza del procedimento di mediazione, il ricorso non è procedibile né possono essere riscosse le somme richieste al contribuente con l'atto contestato. La sospensione ex lege della riscossione, in base al nuovo art. 17-bis, opera anche per i casi di improcedibilità del ricorso a seguito di prematura costituzione in giudizio del ricorrente. In questi casi, infatti, il deposito “frettoloso” è corretto dalla stessa Commissione Tributaria che, rilevato che la costituzione in giudizio è avvenuta prima dello scadere dei novanta giorni, rinvia la trattazione della causa per consentire l'esame del reclamo.

Come precisato dalla Circolare dell'Agenzia delle Entrate, n. 38/2015, gli effetti del reclamo si producono esclusivamente nel caso di rituale instaurazione delle controversie alle quali è applicabile il citato art. 17-bis. Ciò significa che qualora il ricorso sia inammissibile (perché, ad esempio, presentato tardivamente) oppure sia proposto avverso un atto non rientrante nell'ambito di applicazione del reclamo/mediazione, i termini per la costituzione in giudizio del ricorrente decorrono dalla notifica del ricorso stesso e, inoltre, non opera la sospensione legale della riscossione.

Perfezionamento della mediazione e regime sanzionatorio

Una volta presentato il ricorso/reclamo, dunque, l'Ufficio e il contribuente hanno a disposizione novanta giorni (più eventuali sospensioni) per giungere a un accordo e definire la lite, senza sottoporre la questione al giudice tributario. L'iter per la mediazione, resta lo stesso già previsto prima del citato D.Lgs. n. 156/2015 per cui, in assenza di un organo “terzo”, è lo stesso Ufficio (sebbene con una struttura diversa da quella che ha emesso l'atto) a dover valutare la proposta di mediazione e, se non intende accogliere quella del contribuente, formularne una propria, seguendo specifici criteri (già previsti per nella precedente normativa) della “eventuale incertezza delle questioni controverse”, del “grado di sostenibilità della pretesa” e del “principio di economicità dell'azione amministrativa”.

In esito all'intervenuto accordo di mediazione, il contribuente ha diritto all'applicazione ridotta delle sanzioni nella misura del “trentacinque per cento del minimo previsto dalla legge” (Tale la percentuale è stata ridotta, dal quaranta al trentacinque per cento, dal D.Lgs. n. 156/2015) e, per effetto delle ultime modifiche normative all'art. 12 del D.Lgs. n. 472/1997, si rendono applicabili le disposizioni concernenti il concorso di violazioni e la continuazione.

Il momento di perfezionamento della procedura dipende dalla tipologia dell'atto contestato. Se la controversia ha ad oggetto un atto impositivo o di riscossione, il procedimento di mediazione si perfeziona con il pagamento, entro venti giorni dalla data di sottoscrizione dell'accordo, dell'importo dovuto per la mediazione o, in caso di pagamento rateale, della prima rata. A tal proposito, dal 1° gennaio 2016, è ammessa la possibilità di pagamento rateale delle somme in un massimo di otto o sedici rate trimestrali di pari importo, secondo quanto previsto dall'articolo 8, co. 2, del D.Lgs. n. 218/1997. In caso d'inadempimento nei pagamenti rateali, la disciplina va mutuata da quella prevista dall'articolo 15-ter, comma 2, del D.P.R. n. 602/1973, ai sensi del quale si decade dal beneficio della rateazione qualora si ometta di versare una delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, salvo l'applicazione delle nuove disposizioni relative al “lieve inadempimento” (tardivo versamento della prima rata, fino a sette giorni; versamento insufficiente della rata per una frazione non superiore al 3 per cento e, comunque, a diecimila euro).

Se la controversia oggetto di mediazione ha a oggetto il rifiuto espresso o tacito alla richiesta di restituzione di somme, la procedura si conclude con la sottoscrizione dell'accorso stesso. In tal caso l'accordo, come chiaramente previsto dal co. 6 dell'art. 17-bis in commento, ha valore di “titolo per il pagamento delle somme dovute al contribuente” che consente, qualora non venga data esecuzione al pagamento concordato, l'azione esecutiva davanti al giudice ordinario. Infine, anche per le controversie aventi a oggetto operazioni catastali, il perfezionamento della mediazione avviene con la sottoscrizione dell'accordo e tale atto è idoneo per l'aggiornamento dei dati catastali.

In evidenza: sentenza n. 348/2015 - Inammissibilità del ricorso dopo l'accoglimento del reclamo.
La CTP di Reggio Emilia ha emesso una declaratoria di inammissibilità e condannato il contribuente alle spese di lite (con le maggiorazioni di cui al comma 10 del vecchio art. 17-bis), in quanto lo stesso, non considerando la regolare notifica via PEC di accoglimento del reclamo e annullamento dell'atto impositivo, aveva comunque azionato il contenzioso presso il giudice tributario competente

Infine, se la mediazione non va a buon fine, le doglianze del contribuente saranno decise dalla Commissione Tributaria Provinciale competente.

Mediazione e accertamento con adesione: possibili effetti dila(ta)tori del contenzioso e della riscossione

L'istituto del reclamo/mediazione, benché abbia una natura sostanzialmente giurisdizionale, è caratterizzato da una fase prettamente amministrativa. In questo suo ultimo aspetto, il procedimento contenuto nell'art. 17-bis, presenta molte affinità con l'istituto dell'accertamento con adesione, anche esso, finalizzato alla deflazione del contezioso, previo accordo con l'Ufficio. Tuttavia, come evidenziato anche da una recente giurisprudenza di merito (cfr. sentenza n. 101, dell'11 giugno 2015, CTP di Asti), nonostante la finalità comune dei due istituti, gli stessi hanno una natura processuale completamente diversa. A tal proposito, dunque, si ritiene che non ci sia un'alternatività tra le due procedure, ossia che sia ben esperibile la richiesta di accesso alla procedura di adesione e, in caso di fallimento, la proposizione del reclamo (contenente, appunto una proposta di mediazione).

In effetti, anche se potrebbe sembrare che le due procedure conducano solo al raddoppio del contraddittorio, così non è, in quanto, di fatto, mentre l'istanza di accertamento con adesione è indirizzata e discussa con il funzionario che ha emesso l'atto, il ricorso/reclamo e la proposta di mediazione sono valutati da una struttura che, per espressa previsione normativa, deve essere diversa ed autonoma da quella che ha istruito la pratica ed emesso l'atto reclamabile e che, quindi, dovrebbe avere una visione (ancora) più terza e imparziale dei motivi di doglianza del contribuente. Ne deriva che, inevitabilmente, il contradittorio assume forme diverse nei due casi: nel procedimento di adesione, in genere, si tende a confrontarsi, senza particolari formalità procedimentali, sulle questioni riconducibili, per esempio, ad asimmetrie informative, ovvero documentali, tra contribuente e Ufficio e che, in ogni caso, riguardano la correzione dell'atto emesso. L'oggetto della mediazione, invece, è la valutazione delle contestazioni, anche su vizi formali dell'atto, proposte dal contribuente con un ricorso/reclamo che, dopo l'eventuale parere negativo dell'Ufficio, sarà sottoposto direttamente (senza alcuna modifica) al giudice tributario.

A ben vedere, la cumulabilità dei due istituti potrebbe avere degli affetti dilatori sul contenzioso e sulla riscossione, laddove, si andrebbero a sommare, sia la sospensione dei termini per proporre ricorso, prevista dall'art. 6, del D.Lgs. del 19 giugno 1997, n. 218 (accertamento con adesione), sia la sospensione dei termini per la costituzione in giudizio di cui all'art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992, nonché, in base ai casi, la sospensione feriale dei termini processuali. Su tale ultimo aspetto, tuttavia, deve essere prestata particolare attenzione a quanto espresso con l'ordinanza n. 11632 del 5 giugno 2015, nella quale la Corte di Cassazione ha affermato che è inapplicabile la sospensione feriale dei termini ai procedimenti non giurisdizionali e, quindi, essa non si cumula con la sospensione di novanta giorni per l'impugnazione dell'atto prevista dalla data di presentazione dell'istanza di accertamento con adesione.

In ogni caso, non si può non osservare che, laddove si riuscissero a sommare tutte le sospensioni, si potrebbe arrivare al punto che la costituzione in giudizio avvenga dopo circa trecento giorni dalla notifica dell'atto contestato. Allo stesso modo, ai fini dela riscossione, sia l'art. 6 che l'art. 17-bis prevedono che nel corso delle sospensioni dei termini, sia sospesa anche la riscossione delle somme contenute negli atti oggetto del contendere.

In conclusione

I ricorsi avverso le liti di valore inferiore ai 20.000 euro, a prescindere dall'ente emittente, possono contenere una proposta di mediazione e, una volta notificati, sono improcedibili per novanta giorni. Nel corso di detto periodo, sospese tutte le attività di riscossione, l'Ufficio deve valutare la proposta di mediazione formulata dal contribuente, ovvero, formularne una propria per consentire la definizione dell'atto emesso. In caso di successo della mediazione, il contribuente può beneficiare delle sanzioni ridotte nella misura del trentacinque per cento del minimo edittale; in caso di fallimento del tentativo di accordo, invece, il ricorso cessa gli effetti del reclamo e produce quelli propri del ricorso giurisdizionale. Per i procedimenti ancora pendenti alla data del 1° gennaio 2016, inoltre, sarà possibile accedere anche all'istituto della conciliazione.

Per le sue caratteristiche, l'istituto del reclamo e mediazione appare come uno strumento ibrido che, sebbene si avvii con un effettivo ricorso giurisdizionale, da redigere, notificare e depositare secondo le precise regole del D.Lgs. n. 546/1992 sul contenzioso tributario, di fatto, si esplica in una procedura amministrativa che coinvolge il contribuente e l'ente emittente dell'atto oggetto di contestazione. La finalità di tale commistione di procedure è quella di permettere al contribuente di definire le controversie di modesta entità nell'ambito di una procedura meno rigida, quale quella amministrativa, senza, tuttavia, far venire meno la tutela giurisdizionale che, in caso di fallimento della fase di mediazione, si attiva automaticamente. Allo stesso modo, nell'ottica di una proficua ed equa azione dell'Amministrazione finanziaria, si vuole consentire agli enti emittenti di poter correggere, prima di arrivare in giudizio, eventuali errori contenuti degli atti emessi.

La natura ibrida del procedimento, infine, non genera alcuna interferenza tra il reclamo e gli altri strumenti deflattivi del contenzioso, ivi compreso, il procedimento di accertamento con adesione. In particolare, la combinazione con tale ultimo istituto, potrebbe generare un notevole allungamento dei tempi di avvio del contezioso e della riscossione, poiché si sommano le (diverse) sospensioni dei termini previste dalle specifiche discipline dei due procedimenti.

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