La crisi di liquidità del debitore rileva ai fini dell'esclusione della colpevolezza

La Redazione
12 Ottobre 2015

I Giudici della Corte di Cassazione hanno deciso di assolvere l'imprenditore che, messo di fronte alla scelta di versare l'IVA o di rinnovare l'impiantistica antinfortunistica, ha optato per la seconda soluzione rischiando altrimenti la chiusura.

Se la mancanza di liquidità non deriva da operazioni deficitarie commesse dal manager, non può essere condannato l'imprenditore che sceglie di adeguare l'azienda alle norme antinfortunistiche e di non pagare l'IVA. A dirlo sono i giudici della Corte di Cassazione, nella sentenza dell'8 ottobre scorso, n. 40352, che hanno esaminato il caso di un contribuente rappresentate legale di una società che non aveva versato l'imposta sul valore aggiunto. Per i Giudici di appello, il mancato versamento dell'IVA era un fattore rilevante, e a nulla valeva il fatto che le somme erano state destinate all'adeguamento dell'azienda.

La crisi di liquidità dell'azienda non era imputabile al manager, ma ai committenti. Il mancato versamento dell'imposta, in una situazione di crisi, era quindi un tentativo di salvare l'azienda, scegliendo di adeguare gli impianti alle norme. Così, i Giudici hanno potuto ricordare come “in tema di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, la giurisprudenza di legittimità ha ormai affermato il principio che la crisi di liquidità del debitore […] può essere rilevante per escludere la colpevolezza, se venga dimostrato che il soggetto tenuto al pagamento aveva adottato tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo”. Insomma, si ripete l'affermazione più volte rimarcata dai giudici, ossia che il debitore dimostri di aver posto in essere ogni possibile azione per evitare il mancato versamento dell'imposta, anche intervenendo sfavorevolmente sul proprio patrimonio personale.

Ora, la situazione nella quale si era trovato il contribuente era compresa tra due opposte criticità: da una parte, rinnovare l'impiantistica per poter continuare l'attività aziendale e non pagare l'imposta; dall'altra, effettuare il versamento e rischiare la chiusura dell'azienda. La via scelta dal contribuente era già parsa obbligata ai giudici di primo grado, che avevano provveduto alla sua assoluzione. Differentemente aveva agito la CTR, ma si era limitata a ribaltare il giudizio assolutorio “affermando la vincolatività e la rilevanza dell'obbligo di accantonamento delle somme”, senza chiarire le ragioni che l'avevano portata a ritenere tali adempimenti possibili ed esigibili, nel contesto della situazione aziendale di profonda crisi. Ecco perché il ricorso del contribuente è stato accolto, e la sentenza di appello cassata.

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