Studi di settore: siamo pronti a dir loro addio?
13 Febbraio 2017
Premessa
L'art. 7-bis del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193 rubricato "Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili" sembrerebbe inaugurare un cambio di rotta: indici sintetici di affidabilità al posto di parametri e studi di settore. Non si conoscono nel dettaglio i contorni della novella, tuttavia è possibile reperire qualche indicazione nel dossier pubblicato dal Servizio studi di Camera e Senato. Certo è che si tratterà di una sostituzione progressiva e non di un passaggio tout court. Ne è prova il fatto che pochi giorni fa sono stati pubblicati nei supplementi straordinari della Gazzetta Ufficiale i decreti del Ministero dell'economia e delle finanze del 22 dicembre 2016 di approvazione dei nuovi studi di settore, relativi ad attività professionali, ad attività economiche nel comparto delle manifatture, del commercio e dei servizi.
In attesa di riparlare degli indici con calma, se ne tratteggiano qui di seguito i caratteri annunciati non senza aver prima affrontato alcune problematiche ancora attuali dei “vecchi studi”.
Lo strumento degli studi di settore nasce negli anni '90 con l'esigenza di perfezionare i metodi di determinazione presuntiva di ricavi e compensi e con lo spirito di creare un'unità di misura standardizzata quanto più possibile vicina al contribuente. Il fine viene perseguito in fase di progettazione attraverso la condivisione dei lavori con le Associazioni di Categoria ed Ordini Professionali e dalla previsione che sia il contribuente, attraverso la compilazione del modello relativo all'attività esercitata, a fornire i dati dai per la simulazione dei componenti positivi. Il risultato emergente dall'applicativo Gerico (il software dedicato all'elaborazione dei dati) prima di formare oggetto dell'avviso di accertamento è necessariamente oggetto di contraddittorio tra Amministrazione e contribuente. Importanti modifiche nella disciplina si registrano a cavallo del biennio 2011-2012, nel quale vengono:
Va detto che l'ultima previsione, oltre a non essere stata accolta con favore da chi ne metteva in luce la natura sanzionatoria, non ha avuto concreta applicazione a causa di un difetto sistemico. L'amministrazione che avesse voluto procedere con il metodo induttivo avrebbe dovuto, infatti, rilevare l'infedele compilazione del modello degli studi di settore e i dati omessi o infedeli; recuperare i dati “fedeli”; ricalcolare gli studi al solo fine di verificare che l'importo accertabile fosse superiore del 15% del dichiarato, o a 50.000 €. Solo dopo questo primo ed ingombrante step, avrebbe potuto procedere all'accertamento vero e proprio.
Altro profilo critico: il legislatore era intervenuto solo ai fini delle imposte dirette, senza nulla dire circa l'imposta sul valore aggiunto. Di conseguenza, a causa di tale carenza normativa espressa, sarebbe stato impossibile ricorrere all'induttivo per accertare l'IVA dovuta, restando solo salva la possibilità di valutare case by case la portata induttiva delle circostanze evidenziate, così come ribadito dall'Agenzia delle Entrate nella Circolare 5 agosto 2011, n. 41/E.
Oltre agli interventi legislativi appena ricordati, la giurisprudenza di legittimità ha inciso profondamente sulla valenza degli studi di settore, ridimensionandone con il tempo la portata, tanto che oggi sembrano essere valorizzati più come strumento di selezione che come prova di evasione. Da ricordare tra i tanti, l'intervento della Suprema Corte di fine 2009 (Cass. civ., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635, 26636, 26637 e 26638), che aveva stabilito che:
All'epoca, nonostante, da un lato, la Corte di cassazione avesse sancito in modo chiaro la natura di presunzione semplice, dall'altro, non aveva, tuttavia, in modo altrettanto univoco, esonerato il contribuente dalla necessità di fornire prova contraria (ex multis Cass. civ., sez. trib., 10 giugno 2011, n. 12786), riducendone in un certo senso le possibili difese. Va infatti detto che contro un accertamento fondato su una presunzione semplice il contribuente può invero (cumulativamente o alternativamente):
Oggi la centralità del contraddittorio non viene più messa in discussione e numerose sono le sentenze che ribadiscono come la gravità, precisione e concordanza del sistema di presunzioni semplici non sia determinata ex lege dalla sussistenza del mero scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard considerati, ma scaturisca solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell'accertamento stesso (da ultimo Cass. civ., sez. trib., 4 novembre 2016, n. 22431; Cass. civ., sez. trib., 28 ottobre 2016, n. 21822; Cass. civ., sez. trib., 30 settembre 2016, n. 19518).
Come prima accennato, ancora poco si conosce sul nuovo strumento avente il fine di “promuovere l'adempimento degli obblighi tributari e il rafforzamento della collaborazione tra l'Amministrazione finanziaria e i contribuenti” e destinato a sostituire gli studi di settore.
Nel sito del Senato è disponibile una scheda sintetica (https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DOSSIER/995882/index.html?part=dossier dossier1-sezione_sezione13-h6 h61) nella quale viene esposto quanto illustrato dalla Sose (Soluzioni per il Sistema Economico Spa) in una presentazione alle Associazioni di Categoria ed Ordini Professionali, che qui si fornisce in sintesi:
In conclusione
Grande attesa per questo cambio di rotta e molta curiosità soprattutto sulla declinazione degli indici: potranno avere un ruolo pregnante nell'attività di accertamento o verranno valorizzati esclusivamente come strumento di selezione? Il percorso che ha portato alla “svalutazione” degli studi è andato chiaramente nel secondo senso.
Proceduralmente non è ancora ben definito cosa sarà tenuto a fare il contribuente dopo il ricevimento della comunicazione di incoerenza determinata dagli indici. Il comma 2 dell'art. 7-bis annuncia l'eliminazione contestuale all'adozione degli indici delle “disposizioni relative agli studi di settore previste dall'articolo 62-bis del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla Legge 29 ottobre 1993, n. 427, e ai parametri previsti dall'art. 3, commi da 181 a 189, della Legge 28 dicembre 1995, n. 549”. Tuttavia, esse non sono le sole che hanno inciso nella materia, basti ricordare l'art. 10, L. n. 146/1998, rubricato Modalità di utilizzazione degli studi di settore in sede di accertamento nonché lo stesso art. 39 del d.P.R. n. 600/1973 di cui prima si è accennato.
Questi sono solo i nodi più evidenti da sciogliere. |