Omessa dichiarazione: i riflessi della ristretta base partecipativa sul termine di accertamento in capo al socio
13 Luglio 2017
Anche a seguito della riforma operata dalla Legge 28 dicembre 2015, n. 208, la quale, con riferimento agli anni d'imposta 2016 e successivi, porterà a sette gli anni entro i quali gli uffici finanziari, in caso di omessa dichiarazione, potranno notificare, a pena di decadenza, gli avvisi di accertamento, il legislatore fiscale continua a prevedere un lasso di tempo maggiore (cinque anni in luogo di quattro nello schema attuale, sette anni in luogo di cinque per il futuro) entro il quale, in queste ipotesi, l'Agenzia delle Entrate potrà esercitare la propria potestà accertativa. La ratio di tale previsione risiede nel maggior termine di cui, verosimilmente, necessitano gli uffici, che non dispongono, in questa ipotesi, del dato di partenza rappresentato, appunto, dalla dichiarazione annuale. L'ipotesi tradizionale, tuttavia, si connota di un aspetto particolare in presenza di accertamenti rivolti a soci di società a ristretta base partecipativa, come accade – nella generalità dei casi – in relazione alle società a responsabilità limitata di piccole dimensioni. Si tratta dell'ipotesi in cui gli uffici dell'Agenzia delle Entrate emettono, contestualmente all'accertamento societario, anche i relativi atti accertativi personali nei confronti dei soci, nel presupposto della percezione – pro quota – del maggior reddito presunto in capo alla s.r.l.
In disparte qualsivoglia considerazione in merito alla legittimità di tale modus operandi (che non forma oggetto del presente approfondimento), peraltro da sempre riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (anche se con qualche precisazione degli ultimi tempi, come si dirà meglio nel prosieguo), con riferimento al termine ultimo per la notifica appare lecito domandarsi se la presunzione di esistenza del maggior reddito di partecipazione in capo al socio, a sua volta oggetto di accertamento, possa, di per sé stessa, legittimare il ricorso al lasso di tempo più lungo previsto nel caso di omessa dichiarazione. In particolare, occorre chiedersi se il ricorso al termine più lungo sia consentito nell'ipotesi in cui quello di partecipazione nella società “a ristretta base” sia il solo reddito accertato, atteso che, in questo caso, l'utilizzo del termine di cinque (dal 2016 sette) anni poggia sull'unico presupposto che esista effettivamente il maggior reddito accertato in capo alla società; cosa che – tuttavia – in caso di contestazione resta sub iudice.
Occorre, innanzitutto, distinguere il profilo del merito dell'accertamento, che involge sia la legittimità che la fondatezza della presunzione operata in capo al socio, da quello – che interessa ai fini che qui occupano – del termine entro il quale la potestà accertativa debba essere esercitata, a pena di decadenza. Se è vero, infatti, che l'omissione della dichiarazione dei redditi integra, di per sè stessa, il presupposto per l'applicabilità del termine più ampio (che, infatti, non opera alcuna distinzione in base al motivo per il quale la omessa dichiarazione è stata contestata), è altrettanto vero che, nell'ipotesi di cui si discute, la mancata presentazione della dichiarazione costituisce, in sé per sé, un dato opinabile, in quanto è soggetto a valutazione. È evidente, infatti, che il presupposto della presentazione della dichiarazione è un dato non certo e non definitivo, atteso che l'esistenza del reddito personale, che teoricamente avrebbe dovuto essere dichiarato, dipende dall'esistenza del reddito in capo alla società “a ristretta base”; ciò che non accadrebbe nel caso in cui l'esistenza del reddito personale fosse un dato certo.
A riguardo, si pensi, a titolo di esempio, ad un accertamento d'ufficio, emesso ai sensi dell'art. 37 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, scaturito dall'esistenza di un reddito di locazione non dichiarato. In questo caso, nell'esercizio dei propri poteri di controllo l'Agenzia delle entrate rileverebbe agevolmente l'esistenza del contratto di locazione registrato e pertanto, in mancanza di dichiarazione da parte del locatore, provvederebbe, automaticamente, ad emettere il relativo avviso di accertamento.
Va da sé che, in questa ipotesi, non vi sarebbe alcun dubbio in merito alla omissione della dichiarazione, che rappresenterebbe una circostanza certa e incontestabile; pertanto, nulla questio, in questa ipotesi, rispetto all'utilizzo del termine più ampio per la notifica dell'avviso di accertamento. L'esempio appare, dunque, eloquente al fine di evidenziare la diversità, formale e sostanziale, con la fattispecie in argomento.
Infatti, a differenza dell'ipotesi della mancata dichiarazione del reddito di locazione, l'omissione relativa al reddito personale del socio “a ristretta base” è incerta e non definitiva, ogni qual volta la società abbia impugnato il proprio accertamento (e il socio il suo). Dal confronto tra le due diverse ipotesi, invero, emerge agevolmente come in quest'ultimo caso, a differenza del primo, il presupposto della mancata presentazione rappresenti un'eventualità; va da sè, infatti, che, nel caso in cui giudizialmente venisse annullato il maggior reddito in capo alla società, verrebbe meno anche quello personale accertato in capo al socio. Ma quel che più rileva, ai presenti fini, è che verrebbe meno il presupposto per poter usufruire del maggior termine per la notifica dell'atto, dato, invece, per scontato dall'Ufficio. Resta, a questo punto, da chiedersi se tutto questo possa, o meno, costituire un motivo di impugnazione ab origine dell'avviso di accertamento, in quanto emesso nel più ampio termine quinquennale (fino all'anno d'imposta 2015) nonostante non vi sia certezza del relativo presupposto, ossia l'omissione della dichiarazione; in questa ipotesi, pertanto, essendo l'Ufficio incorso nella decadenza.
In altri termini, ci si domanda se, richiamando il principio di certezza del diritto, di legalità, efficienza e buon andamento cui deve conformarsi l'operato della Pubblica Amministrazione ex art. 97 della Costituzione, non possa invocarsi la nullità dell'atto, stante l'utilizzo “improprio” della fattispecie di “omessa” dichiarazione e, conseguentemente, il decorso del termine ordinario.
La realtà è che la fattispecie della omessa dichiarazione non può, di certo, dipendere dall'esito, eventualmente favorevole all'Amministrazione finanziaria, del giudizio relativo al reddito societario e, pertanto, sovvenire in modo postumo, ma deve sussistere, fin dall'origine, già alla data di scadenza del termine originario per la presentazione della dichiarazione dei redditi del socio.
Se è vero, infatti, che, come evidenziato in precedenza, la fattispecie della omessa dichiarazione non distingue, al suo interno, la causa dell'omissione (dunque il motivo per il quale la dichiarazione non è stata presentata) e, per questo, a stretto rigore è sufficiente che essa venga contestata per consentire, automaticamente, l'utilizzo del maggior termine per l'accertamento; è altrettanto vero che non possono mettersi sullo stesso piano, ai fini che qui interessano, la violazione dovuta a una omissione certa (quale quella dell'esempio relativo al reddito di locazione) da quella basata su un presupposto di per sé opinabile, qual è il reddito di partecipazione nella società a ristretta base.
Pertanto, nell'ipotesi – come quella in esame – in cui non vi sia certezza in merito alla sussistenza dell'obbligo di presentazione della dichiarazione (dal momento che tale obbligo è subordinato all'esito del giudizio della società che, ove annullato, lo farebbe venir meno), l'utilizzo del maggior termine per la notifica (quinquennale, ovvero di sette anni a decorrere dal 2016) non appare incontestabile.
Invero, la fattispecie dell'omessa dichiarazione prevista, ratione temporis, dall'articolo 43 al fine dell'utilizzo del maggior termine quinquennale, può ragionevolmente, circoscriversi alle fattispecie (quale quella dell'esempio precedente, relativa al reddito di locazione non dichiarato) per cui vi è certezza circa l'omissione medesima; non potendo, di certo, farsi dipendere il termine previsto per la notifica dell'accertamento, posto a pena di decadenza, da un presupposto incerto e potenzialmente inesistente. Ebbene, l'accertamento del reddito societario prodromico, non soltanto resterebbe sub iudice (e, per questo, ben potrebbe essere dichiarato insussistente all'esito del relativo giudizio, con l'effetto di travolgere anche il reddito personale di che trattasi e, con esso, il ritenuto obbligo di presentazione della dichiarazione da parte del socio), ma è frutto esso stesso di una presunzione.
Peraltro, come chiarito dalla Suprema Corte, è onere dell'Amministrazione finanziaria procedente, non solo, quello di provare l'avvenuta percezione del maggior reddito societario da parte del socio della s.r.l., ma, anche e prima ancora, quello di provare la stessa natura ristretta della compagine societaria, mediante uno specifico e finalizzato accertamento in fatto: infatti, la Corte di Cassazione, superando il proprio precedente orientamento, ha stabilito che “perchè tale presunzione possa operare, occorre pur sempre che la "ristrettissima base sociale o familiare", cioè il "fatto noto" alla base della presunzione, abbia costituito oggetto di uno specifico accertamento probatorio” (Corte di Cassazione, 8 luglio 2015, n. 14176). In conclusione
Alla luce di quanto precede, appare evidente che il presupposto della omessa dichiarazione, nell'ipotesi di accertamenti emessi a carico di soci “a ristretta base” partecipativa, non costituisce affatto un presupposto certo sul quale poggiare l'utilizzo di tale maggior termine, ma è frutto – esso stesso – di una presunzione, assolutamente incerta e sub iudice. Invero, la circostanza della omessa presentazione della dichiarazione annuale, che legittima l'Ufficio (ancora fino all'anno d'imposta 2016) ad usufruire del più ampio termine quinquennale in luogo di quello ordinario quadriennale, dovrebbe possedere, come detto, fin dall'origine crisma di certezza e non può – di certo – avere natura eventuale e sopravvenuta.
Diversamente opinando, dovrebbe attendersi l'esito definitivo del giudizio in capo alla società non solo per conoscere la fondatezza, o meno, della presunzione operata "a monte" in capo alla società, ma anche – e soprattutto – per conoscere se di omessa dichiarazione debba effettivamente parlarsi e, conseguentemente, se risulti legittimo, o meno, l'utilizzo, da parte dell'Ufficio, del più ampio termine quinquennale – in luogo di quello quadriennale – per la notifica dell'accertamento impugnato. |