Dirigenti illegittimi: dalla Cassazione la svolta definitiva
10 Novembre 2015
Con le sentenze nn. 22800, 22803 e 22810, depositate in data 9 novembre 2015, la Cassazione ha l'occasione di ritornare sulla nota questione degli effetti degli atti tributari sottoscritti dai c.d. dirigenti dichiarati “decaduti” con la sentenza della Corte Cost., n. 37/2015. Mediante la combinata lettura dei principi che emergono dalle pronunce in commento è forse possibile ricomporre in maniera definitiva il complesso mosaico formatosi in merito alla tematica, in cui sono confluite fattispecie differenti e talora forzatamente assimilabili, nonché orientamenti di merito difformi e talora persino contrastanti.
Con la prima sentenza (n. 22800, che verrà poi meglio argomentata nella sentenza n. 22810), la Cassazione ribadisce (cfr. Dirigenti illegittimi: la Cassazione giunge ad un altro approdo) che, in base al principio di tassatività delle cause di nullità degli atti tributari, non occorre, ai meri fini della validità dell'atto, che i funzionari deleganti e delegati possiedano la qualifica di dirigente. Nell'ambito della delega per l'emanazione degli avvisi di accertamento, l'espressione “impiegato della carriera direttiva” di cui all'art. 42, D.P.R. 600/1973 corrisponde oggi al funzionario della terza area (quid minus rispetto al dirigente). Non rileva qui la tematica dei dirigenti illegittimi, giacché la declaratoria di illegittimità di cui alla sentenza della Consulta citata riguarda altra vicenda, e cioè l'attribuzione di funzioni dirigenziali attraverso le procedure contemplate dagli articoli di legge abrogati per incostituzionalità.
Nel caso di cui alla pronuncia n. 22803, risulta contestata soltanto la mancanza di valida delega rilasciata dal capo dell'Ufficio al funzionario firmatario: nessun rilievo invece rispetto alla carenza di poteri del dirigente delegato (la società ricorrente non ha allegato né riportato il capo del ricorso introduttivo del primo grado di giudizio in cui era eccepito tale rilievo). Secondo la Suprema Corte, si tratterebbe di eccezione nuova non rilevabile d'ufficio nel giudizio di legittimità, in virtù della specialità del diritto tributario rispetto al diritto amministrativo (rapporto species ad genus): in materia tributaria, infatti, la scelta operata dal Legislatore è di “ricomprendere nella categoria unitaria della nullità tributaria indifferentemente tutti i vizi ritenuti tali da inficiare la validità dell'atto tributario, riconducendoli indipendentemente dalla peculiare natura di ciascuno nello schema della invalidità-annullabilità, dovendo essere gli stessi tempestivamente fatti valere dal contribuente mediante impugnazione [...] entro il termine di decadenza di cui all'art. 21, D.Lgs. 546/92”. Si esclude pertanto la rilevabilità d'ufficio. E' altresì inammissibile il ricorso con il quale il contribuente eccepisce i profili anzidetti per la prima volta in sede di legittimità (cfr. in proposito CAVALLARO M., Dirigenti illegittimi: la Cassazione si avvicina alla decisione definitiva). Con l'occasione, in riferimento alla validità della delega, i Giudici affermano la non rilevanza della modalità di attribuzione (conferimento con atto proprio ovvero con ordine di servizio), purché venga indicato, unitamente alle ragioni della delega, il termine di validità e il nominativo del soggetto delegato: devono così ritenersi illegittime le deleghe impersonali, disposte per relationem nei confronti di soggetti incerti.
Ma è forse l'ultima pronuncia (n. 22810) a destare maggiore interesse, giacché al di là delle contestazioni di parte ricorrente la Corte ritiene di esprimere ex art. 363 c.p.c. il principio di diritto applicabile alla tematica controversa. Le questioni circa l'esistenza del potere di firma del soggetto preposto e/o dell'esistenza della validità della delega conferita all'eventuale soggetto sottoposto possono certamente essere contestate e verificate in sede giurisdizionale tributaria, implicando l'indagine sulla legittimità dell'esercizio della funzione amministrativa. Tuttavia l'assunto in base al quale è necessaria, ai fini della valida sottoscrizione di un atto impositivo, la qualifica dirigenziale in capo al delegante o al delegato non è giustificato dal dato normativo, ed è dunque errato. L'art. 42 D.p.R. 600/1973 contempla infatti la figura del “capo dell'ufficio” ovvero dell' “altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”, senza menzionare la qualifica dirigenziale. E' il capo dell'Ufficio, quindi, "l'agente capace di manifestare la volontà dell'amministrazione finanziaria negli atti a rilevanza esterna” . Tanto premesso, la nullità degli atti impositivi di cui all'art. 42 cit. è soltanto quella circoscritta dai confini del dettato normativo stesso, rispetto al quale non assume rilievo l'eventuale illegittimità del conferimento d'incarico al capo dell'Ufficio. Simile ricostruzione costituisce del resto un necessario corollario del principio di stabilità e continuità che presidia l'attività amministrativa di accertamento fiscale: la stessa ratio dell'art. 42 cit. appare intesa a circoscrivere per quanto possibile “le fasi di interruzione dell'azione amministrativa di accertamento, coincidenti per esempio con la durata di espletamento di concorsi per l'attribuzione di qualifiche dirigenziali”. Diverso è dunque l'oggetto della pronuncia di incostituzionalità, ossia la modalità di attribuzione di incarichi dirigenziali. E i due piani non sono confondibili, non essendo previsto che gli avvisi di accertamento promanino da soggetti aventi qualifiche dirigenziali, ma essendo sufficiente che promanino da funzionari di area terza (di cui al contratto del comparto agenzie fiscali fissato per il quadriennio 2002-2005) che svolgano funzione di capo dell'ufficio ovvero che siano dallo stesso validamente delegati. |