Sequestro preventivo inevitabile nei casi di autoriciclaggio

La Redazione
14 Aprile 2017

Con la sentenza n. 18308/2017, la Corte di Cassazione ha affermato che per l'accertamento del reato di riciclaggio basta che venga raggiunta la prova logica della provenienza illecita delle utilità oggetto delle operazioni compiute.

Il sequestro preventivo si rende inevitabile nei casi di autoriciclaggio. È il caso esaminato dai giudici della Corte di Cassazione con la sentenza dell'11 aprile 2017, n. 18308, con la quale la Suprema Corte ha respinto il ricorso di una contribuente che aveva impugnato l'ordinanza di sequestro preventivo su alcune somme di denaro che il Fisco sospettava essere profitto di autoriciclaggio.

In breve: nel 2016 la contribuente aveva acquisito alcune somme di denaro per effetto di sottofatturazioni, successivamente aveva effettuato trasferimenti negli Emirati Arabi. Il denaro era poi rientrato in Italia in modo sospetto, mediante degli intermediari che trasportavano dentro dei trolley 500mila euro in contanti. In merito a ciò, non era stata fornita alcuna valida giustificazione del rientro in Italia di una simile somma.

Secondo la Corte di Cassazione il ricorso della donna era infondato: il tribunale aveva ben evidenziato la presenza del fumus commissi delicti, e ciò consisteva nell'apertura del conto negli Emirati, oltre che le somme rientrate in Italia tramite «modalità occulte» erano «del tutto sproporzionate rispetto ai redditi dichiarati». Va anche evidenziato che in tema di misure cautelari l'accertamento del reato di riciclaggio non richiede l'individuazione dell'esatta tipologia del delitto presupposto, né la precisa indicazione delle persone offese, essendo sufficiente che venga raggiunta la prova logica della provenienza illecita delle utilità oggetto delle operazioni compiute».

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