Imposta di registro e la riqualificabilità degli atti

La Redazione
16 Maggio 2017

La Cassazione, con la sentenza n. 11873/2017, ribadisce un principio inerente la riqualificazione degli atti collegati ai fini dell'imposta di registro ricordando che l'art. 20 del d.P.R. n. 131/1986, pur non configurando una norma antielusiva, legittimerebbe la riqualificazione di più atti collegati, valorizzando gli “effetti reali” dell'operazione realizzata.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11873/2017, conferma l'orientamento già da tempo sostenuto dalla stessa Corte secondo il quale l'art. 20 del d.P.R. n. 131/1986, legittima la riqualificazione – ai fini dell'imposta di registro – di atti collegati tra loro che portano alla realizzazione in maniera "oggettiva" degli effetti dell'operazione realizzata, senza che questo configuri una norma antielusiva.

Il caso di specie vedeva la costituzione di una srl mediante conferimento di ramo d'azienda a copertura dell'intero capitale sociale; la società conferente ha poi ceduto come contropartita ad altra società la partecipazione totalitaria ricevuta in cambio.

La ricorrente – Agenzia delle Entrate – chiedeva l'imposizione dell'imposta di registro sull'atto di cessione di azienda, affermando la configurazione in concreto di una cessione d'azienda a favore del cessionario delle partecipazioni.

Ora la questione arriva all'attenzione della Cassazione, la quale nella sua disamina evidenzia alcuni aspetti importanti che hanno portato all'accoglimento della domanda pervenuta dalle Entrate.

Innanzitutto viene chiarito che la fattispecie regolata dall'art. 20 del d.P.R. n. 131/1986 non ha a che fare né con l'istituto dell'abuso del diritto (dunque l'Agenzia non deve dimostrare l'intento elusivo in capo ai contribuenti) né tantomeno della simulazione, in ragione del fatto che la riqualificazione in parola avviene anche se le parti hanno realmente voluto quel negozio o quel dato collegamento negoziale (quel che conta sono gli effetti oggettivamente prodotti).

Inoltre – continuano i giudici – la decisione presa in appello (dove veniva stabilito che l'art. 20 non avesse valenza di clausola antielusiva ma piuttosto un criterio ermeneutico che limitasse il perimetro d'indagine dell'Amministrazione ai soli effetti giuridici e non economici dell'atto presentato per la registrazione [...]) risulta errata perché la prevalenza che l'art. 20 del d.P.R. n. 131/1986 attribuisce alla "intrinseca natura ed agli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente", impone, nella relativa loro qualificazione, di considerare preminente la causa reale e la regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, non rivelandosi decisiva, in ipotesi di negozi collegati, la rispettiva differenza di oggetto.

Dunque, l'art. 20 citato privilegia la sostanza sulla forma nell'individuare il rapporto giuridico tributario da assoggettare ad imposta di registro. Perciò chi si trova dinnanzi può far prevalere il “dato reale”, la “causa concreta” sul dato formale, guardando anche al risultato ottenuto dai contribuenti frazionatamente con più atti separati.

Infatti, si legge in sentenza, “si dovrebbe dar maggior importanza alla causa reale ed alla effettiva regolamentazione degli interessi realmente perseguita dai contribuenti” portando alla legittimazione della riqualificazione dell'atto di conferimento d'azienda seguito dalla cessione quote in cessione di azienda.

In conclusione, nel caso preso in esame dai Supremi Giudici, il "conferimento del ramo d'azienda a copertura della sottoscrizione dell'intero capitale sociale della società costituita, non può essere valutato come operazione a sé stante, ma deve essere inserito nel contesto più ampio del rilevato collegamento negoziale" e nulla osta, quindi, a che l'operazione traslativa venga colpita da un prelievo fiscale proporzionale.

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