Corretta interpretazione sull'imposta di registro in misura agevolata

La Redazione
16 Maggio 2016

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9582/2016, ha fornito un chiarimento riguardante il rapporto intercorrente tra l'art. 20 del d.P.R. n. 131/1986 e l'art. 10-bis della L. n. 212/2000.

Con sentenza n. 9582 depositata lo scorso 11 maggio, la Corte di Cassazione ha fornito un'interpretazione relativa all'art. 20 del d.P.R. n. 131/1986 ed in particolare al rapporto sussistente con l'art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente inerente l'abuso del diritto.

Nel caso di specie la CTR accoglieva il ricorso proposto dalle Entrate, confermando l'avviso di liquidazione (relativo all'imposta di registro) emesso a seguito della revoca del regime agevolato previsto dall'art. 1, d.P.R. n. 131/1986, concernente gli acquisti di fabbricati in regime di esenzione IVA. La società contribuente non aveva provveduto alla rivendita dell'immobile acquistato in regime agevolato entro il termine triennale, e a nulla – specificano i giudici – rilevava il trasferimento del ramo di aziende a favore di altra società, poichè non assimilabile alla rivendita a terzi richiesta dal citato art. 1.

D'altro canto la società contribuente ricorreva in Cassazione lamentando la mancata individuazione della norma antielusiva applicata dall'Agenzia.

Ora la Cassazione si trova a dover dare una giusta interpretazione del rapporto intercorrente tra l'art. 20 d.P.R. 131/1986 e l'art. 10-bis, L. 212/2000. Innanzitutto l'art. 20 non è più norma che definisce l'abuso del diritto nall'ambito dell'imposta di registro. In particolare l'art. 20 non fa nessun riferimento alla mancanza di una causa economica a cui invece l'art. 10-bis fa espresso riferimento. È utile poi precisare che l'art. 20 d.P.R. cit. nemmeno ha a che fare con l'istituto della simulazione, atteso che la riqualificazione in parola avviene anche se le parti hanno realmente voluto quel determinato negozio giuridico o quel "collegamento" negoziale.

La società ricorrente si difende sostenendo che il trasferimento, sia che avvenga tramite cessione o mediante altro tipo di atto traslativo del diritto di proprietà sull'immobile (es. conferimento), del tutto assimilabile ad una cessione, consenta di godere dell'agevolazione, purché il ritrasferimento avvenga entro tre anni. La Corte sul punto ritiene la censura infondata, e specifica: il conferimento in società non costituisce un atto di trasferimento idoneo ad evitare che si verifichi la condizione risolutiva dell'agevolazione. In sostanza la norma agevolativa favorisce la rivendita quale condizione posta per godere dell'agevolazione che non può essere riconosciuta come "una vera e propria riorganizzazione aziendale". Concludono i giudici che il beneficio dev'essere subordinato al trasferimento entro un termine preciso, entro il quale l'immobile dev'essere monetizzato, è da escludersi un termine incerto e futuro (come invece prospettato dal ricorrente che ipotizza una finalità speculativa futura ed eventuale).

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