La liquidazione dei beni nella nuova procedura di concordato: aspetti fiscali controversi ai fini delle imposte dirette
10 Febbraio 2015
Inquadramento
È dibattuto in dottrina se l'art. 86, comma 5, TUIR sia o meno applicabile a tutte le forme di concordato preventivo e non solo a quello con cessione di beni. Giova premettere in proposito - per inquadrare correttamente il problema – che l'ammissione di un'impresa alla procedura di concordato preventivo non comporta la perdita dei poteri gestionali e in genere operativi in capo all'imprenditore, il quale pertanto - e a maggior ragione - mantiene anche la legale rappresentanza. Il debitore in concordato, infatti, è pacificamente sottoposto a quello che viene definito uno “spossessamento attenuato”; conserva cioè, oltre alla proprietà, la disponibilità e l'amministrazione dei suoi beni, fatte salve limitazioni specifiche di legge previste per la procedura (per esempio, per le operazioni straordinarie). La traslazione di questi principi generali nell'area tributaria comporta che gli adempimenti fiscali restano posti a carico esclusivo dell'imprenditore, mentre nulla compete al commissario giudiziale o al liquidatore giudiziale. Ma dopo le varie modifiche apportate alla legge fallimentare - da ultima quella di cui al D.L. 83/2012 - l'applicazione della norma regolatrice, l'art. 86, comma 5, del TUIR, pone all'interprete più di un problema. L'art. 86, comma 5, del TUIR recita testualmente: “La cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze di beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore dell'avviamento”. Infatti, dopo un'iniziale interpretazione restrittiva, la Corte di Cassazione prima, con la sentenza n. 5112 del 4 giugno 1996, poi l'Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 29 del 1° marzo 2004, hanno chiarito l'ambito applicativo della norma, affermando che il precetto si riferisce sia alla cessione di cui all'istituto privatistico ex artt. 1977 e ss. c.c. (cessione come mezzo per attribuire agli organi della procedura la legittimazione a disporre dei beni ceduti), sia alle plusvalenze/minusvalenze realizzate in sede di vendita a terzi di quei beni, compresi rimanenze e avviamento, con ciò quindi assorbendo anche la cessione di azienda. Va allora sottolineato che la norma di cui al 5° comma dell'art. 86 TUIR non fa specifico riferimento al concordato con cessione dei beni, anche se parte della dottrina ne dà questa lettura (per tutti G. Andreani – A. Tubelli, Profili reddituali delle plusvalenze nel concordato preventivo, in Corriere Tributario n. 13/2013) o prospetta aspetti dubitativi . Né quest'interpretazione, né dubbi di sorta possono essere però condivisi. Con la sentenza sopra citata, la Suprema Corte afferma testualmente: “Dall'esame dei lavori preparatori (e, in particolare, dal parere della commissione dei trenta sullo schema del T.U. [art. 127]) si ricava che l'obiettivo che si intendeva raggiungere con la disposizione in esame [art. 54, comma 6, ora art. 86, comma 5 del TUIR] era proprio quello di ridurre l'onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concordataria …..”. Tale indicazione trova conferma nella sentenza della Suprema Corte n. 22168 del 16 ottobre 2006, che recita “…… l'art. 54, comma 6 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, il quale dispone che la cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze, deve essere inteso nel senso che il trasferimento a terzi dei beni ceduti, effettuato in esecuzione del concordato, non comporta la realizzazione di plusvalenze tassabili”. Sia la Cassazione, sia l'Agenzia delle Entrate sottolineano come la finalità del legislatore sia quella di ridurre l'onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concorsuale e, in particolare, che il trasferimento a terzi dei beni ceduti, effettuato in esecuzione del concordato, non determini la realizzazione di plusvalenze tassabili né di minusvalenze deducibili. Pertanto, tenuto conto del dato letterale della norma e alla luce delle indicazioni della prassi ufficiale e della giurisprudenza, può essere affermato che oggetto dell'agevolazione è certamente la cessione dei beni comunque attuata in sede di concordato. Di conseguenza, con riferimento alle fattispecie di concordato in precedenza indicate, si possono trarre le seguenti conclusioni. Ulteriore considerazione viene tratta dall'approfondimento riferito all'ultima parte del comma 5 dell'art. 86 TUIR, dove le plusvalenze non tassabili comprendono anche “quelle relative alle rimanenze e il valore dell'avviamento” con ciò implicitamente riconducendo nell'alveo del beneficio fiscale la cessione dell'azienda, tipologia che, ai sensi dell'art. 186-bis l. fall. rientra nel concordato in continuità, non come ipotesi tipica (continuità aziendale), ma come ipotesi alternativa (“la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il conferimento dell'azienda da ……”: art. 186-bis cit.).
In conclusione
A parere di chi scrive, per i concordati preventivi misti, per i quali “il piano può prevedere anche la liquidazione dei beni non funzionali all'esercizio dell'impresa”( Previsione contenuta nell'ultimo periodo del primo comma dell'art. 186-bis l. fall.), dovrebbe trovare applicazione il comma 5 dell'art. 86 TUIR per quanto attiene la liquidazione dei beni non strategici - se previsti come tali nella domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo e nel piano – o le ordinarie regole di tassazione del reddito di impresa per i redditi generati dalla gestione caratteristica. Infine, quanto ai tempi di accertamento degli eventi che determinano plusvalenze o minusvalenze, la conclusione necessitata non può che essere la seguente:
Riferimenti
Normativi: Art. 86, comma 5, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917
Giurisprudenza: Cass. civ., sez. trib., 21 gennaio 1993, n. 709 Cass. civ., sez. trib., 4 giugno 1996 n. 5112 Cass. civ., sez. trib., 16 ottobre 2006, n 22168 |