Plusvalenze concordatarie in super-franchigia d'imposta

21 Aprile 2015

Era ancora il 2004 quando per la prima volta l'Agenzia delle Entrate, con la risposta ad un interpello proposto da una società in concordato preventivo (risoluzione n. 29 del 1 marzo 2004 - Dir. normativa e contenzioso), interveniva sul controverso problema della tassabilità delle plusvalenze derivanti dalle cessioni eseguite nell'ambito dei concordati preventivi liquidatori.

Era ancora il 2004 quando per la prima volta l'Agenzia delle Entrate, con la risposta ad un interpello proposto da una società in concordato preventivo (Risoluzione 1 marzo 2004, n. 29 - Dir. normativa e contenzioso), interveniva sul controverso problema della tassabilità delle plusvalenze derivanti dalle cessioni eseguite nell'ambito dei concordati preventivi liquidatori.
Il tema è noto e la criticità origina dalla metrica infelice dell'art. 86, comma 5, Testo Unico delle Imposte Dirette, che non esenta esplicitamente da tassazione i plusvalori rivenienti dalla liquidazione concordataria dei beni, ma solo quelli derivanti dalla “cessione dei beni ai creditori”.

Ora, dottrina e giurisprudenza sono concordi nell'affermare che, nell'ambito della procedura concordataria, nessuna cessione traslativa di beni interviene fra la società debitrice ed i suoi creditori, realizzandosi solo, per effetto della sentenza di omologazione, il trasferimento della facoltà di disporne dal debitore alla massa dei creditori (al fine di attuare, attraverso il liquidatore giudiziale, la successiva cessione traslativa a terzi).
E allora, riprendendo il tema, l'unica plusvalenza esclusa da imposizione non potrà che essere quella originata dalla cessione dei beni ai terzi e non mai “ai creditori”. E per rendere inequivoco il testo basterebbe, appunto, sottrarvi le parole “ai creditori” per correttamente leggerlo “la cessione dei beni in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze…”.
Ed è proprio aderendo a questo modello interpretativo che - intervenuta sul problema con la nota sentenza n. 5112 del giugno 1996 - la Suprema Corte concludeva osservando testualmente che “…la cessione dei beni ai creditori non comporta la realizzazione di plusvalenze tassabili. Invero, tale operazione, quale particolare modo di attuazione del concordato preventivo…non determina il trasferimento della proprietà dei beni ceduti, ma soltanto l'attribuzione, in favore degli organi della procedura concordataria, della legittimazione a disporre dei beni ceduti ed a provvedere alla loro liquidazione al fine di realizzare il soddisfacimento dei creditori nella misura indicata dalla proposta omologata”.

La tutela degli interessi erariali induceva però inizialmente l'Amministrazione finanziaria a non condividere questo approccio, fino all'apprezzabile revisione del proprio orientamento operata solo con l'interpello del 2004, ove l'iter logico-motivazionale della Cassazione viene largamente, e a tratti esplicitamente, ripreso.
Ma il salto dell'amministrazione finanziaria é sembrato, e ancora sembra, un po' troppo lungo e sconta il mancato coordinamento fra le norme impositive che regolano il fallimento, ben strutturate in un ambito proprio che disciplina l'intero procedimento, e quelle sul concordato preventivo, viceversa attuate, anche per la diversa natura giuridica e processuale di quest'ultimo, attraverso limitati interventi “laterali”.
Infatti, l'esenzione da fiscalità diretta che il legislatore ha riservato a entrambe le procedure - cui é sottesa la volontà di non sottoporre ad imposizione valori la cui destinazione è finalizzata a regolare coattivamente creditori insoddisfatti - sconta nel fallimento, a differenza che nel concordato, il preciso limite costituito dalla differenza fra il residuo attivo (il surplus eccedente il pagamento integrale di tutti i creditori concorrenti) ed il patrimonio netto iniziale (pari a zero, se negativo).

In conclusione

In sostanza, mentre al fallimento è stata accordata una sorta di no tax area che ha come limite il passivo fallimentare, valicato il quale necessariamente rivive l'obbligazione tributaria, così non accade al concordato preventivo, dove l'assetto impositivo non include alcuna norma di salvaguardia, cosicché l'intero perimetro concordatario - così come delineato sia dalla Suprema Corte sia dall'amministrazione finanziaria - risulta assolutamente privo di confini fiscalmente rilevanti.
Il principio di irrilevanza tributaria delle plusvalenze da cessione potrà quindi essere invocato anche per quelle fra esse che concorrono al superamento del deficit concordatario, il cui controvalore, dopo la cessazione del procedimento, andrà così riassegnato alla società debitrice in totale esenzione d'imposta; ciò che, in taluni casi, potrebbe addirittura orientarne l'avvio ai soli fini di utilizzo dell'asimmetria fiscale.

Riferimenti

Normativi:

Art. 86, comma 5, D.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917

Prassi:

Agenzia delle Entrate, Risoluzione 1 marzo 2004, n. 29

Giurisprudenza:

Cass. civ., sez. I, 04 giugno 1996, n. 5112

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