Niente sequestro del patrimonio societario se l’indagato ammette che l’azienda era in crisi
16 Settembre 2015
Se il motivo per l'omesso versamento delle ritenute è quello della crisi di liquidità dell'azienda, la confisca per equivalente non può che riguardare il legale rappresentante, senza indagini ulteriori sul patrimonio societario. È il contenuto della recente sentenza del 14 settembre 2015, n. 36923 della Cassazione. Il Tribunale Regionale aveva rigettato l'istanza avanzata dal contribuente avverso il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente per il reato di omesso versamento di ritenute certificate. L'indagato, che era per l'appunto il rappresentante legale di una società, lamentava la mancanza dell'elemento psicologico del reato, in quanto il fatturato dell'azienda era stato dimezzato dalle avverse contingenze economiche. Anche l'individuazione del profitto del reato era stata contestata: il mancato versamento delle ritenute aveva portato un beneficio economico alla sola società, non certo al contribuente, che si era visto sequestrare i beni senza che si anteponesse la confisca delle disponibilità della persona giuridica che aveva giovato del reato. Entrambe le doglianze dell'amministratore si sono rivelate infondate. I Giudici della Cassazione hanno infatti osservato come non è stata dimostrata l'impossibilità di adempiere il debito di imposta, anche con l'attuazione di misure idonee per fronteggiare la mancanza di liquidità. Quanto alla confisca dei beni dell'indagato, per i Giudici è irrilevante che egli non ne abbia tratto profitto, appropriandosi del risparmio dell'azienda: se infatti bisognava prendere per buone le ragioni mosse dalla difesa a riguardo della mancanza di liquidità dell'impresa, il pubblico ministero non era tenuto ad indagare sul patrimonio societario “perché l'inesistenza di beni o denaro aggredibili in via diretta era oggetto di sostanziale ammissione da parte dello stesso indagato”. Ne è pertanto conseguito il rigetto del ricorso. |