Prelievo tributario incompatibile con la Direttiva europea: analisi dalle Sezioni Unite
18 Gennaio 2017
Il Consiglio di Stato rigettava l'appello proposto dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nei confronti della resistente avverso la sentenza del TAR con la quale l'AGCOM aveva inteso determinare e recuperare, ai sensi dell'art. 1 della L. 266/2005, i contributi dovuti per gli anni dal 2006 al 2011 da operatori dei mercati delle comunicazioni elettroniche in relazione alla gestione del regime di autorizzazione e alla concessione dei diritti d'uso per la telefonia mobile.
L'AGCOM aveva avanzato nei confronti di Vodafone Omnitel B.V. la pretesa di pagamento di somme a titolo di contribuzione, sulla base di due presupposti:
La compagnia telefonica aveva impugnato le delibere sulla base della sostenuta illegittimità di tale retroattiva estensione della base imponibile e dell'entità del prelievo. La questione è stata poi dirottata alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea per un'interpretazione dell'art. 12 della Direttiva 2002/20/CE del parlamento e del Consiglio del 7 marzo 2002, chiedendo se tale disciplina fosse in contrasto con la normativa italiana enunciata nell'art. 2 della L. n. 481/1995, nonché art. 6 della L. 249/1997 e art. 1 della L. 266/2005.
Viene specificato che il prelievo di cui ai "diritti amministrativi" integra una tassa di scopo parzialmente commutatuiva, diretta a finanziare il servizio reso agli operatori di quella sola frazione del settore afferente il mercato della telefonia vocale mobile con un "montante predefinito" e "non già una sovrimposta su ricavi iscritti a bilancio". Continuando nella disamina della Corte si evince inoltre che a fronte della pretesa dell'AGCOM di ampliare, con effetto retroattivo, la base imponibile e la platea dei contribuenti, doveva essere riconusciuta la necessità del rinvio pregiudiziale effettuato dal TAR alla CGUE, la quale aveva dichiarato legittimo il prelievo di cui alla suddetta normativa nazionale solo nel caso in cui fossero state rispettate le condizioni indicate dall'art. 12 della Direttiva autorizzazioni.
La questione risulta abbastanza complessa anche dal punto di vista della denunciata invasione della sfera giurisdizionale della CGUE nonché della competenza del legislatore italiano. Detto questo, alla luce della disamina effettuata, considerando che il Consiglio di Stato aveva ritenuto che il prelievo tributario previsto dalla normativa nazionale ed applicato dalle delibere impugnate davanti al giudice amministrativo risultasse essere incompatibile con la Direttiva autorizzazioni, la quale, invece, circoscrive il prelievo ai soli costi dell'attività di gestione, controllo e applicazione del regime di autorizzazione generale del mercato e dei diritti d'uso ed obblighi accessori, secondo modalità impositive doi proporzionalità, obiettività e trasparenza. Da qui, così come più volte affermato dalla Corte, il ricorso per Cassazione dinanzi alle Sezioni Unite avverso le pronunce del Consiglio di Stato è consentito solo per motivi inerenti alla giurisdizione. Mentre il ricorso in esame ha denunciato in realtà un cattivo esercizio da parte del CdS, e l'oggetto della causa non rientra nei "casi estremi" in cui un error in iudicando del CdS si risolve in un eccesso di giurisdizione. In conclusione, la sentenza impugnata ha solo provveduto a non applicare la normativa nazionale ritenuta incompatibile con l'ordinamento unionale, senza invadere la sfera di attribuzioni riservata alla Pubblica Amministrazione. Questo quanto affermato dai Supremi Giudici della Corte, con la sentenza n. 953/2017, provvedendo a ritenere inammissibile il ricorso della ricorrente AGCOM.
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