La "novella" del contenzioso tributario
19 Novembre 2015
Inquadramento
Nei tempi più recenti il Legislatore fiscale, in attuazione dell'art. 10, comma 1, lettere a) e b), della L. 11 marzo 2014, n. 23, è intervenuto, con il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, sulla disciplina del processo tributario.
L'intervento operato tuttavia non assume le fattezze di una “riforma” strutturale, venendo più che altro a configurarsi come un primo e “timido” passo nella direzione di un ammodernamento e attualizzazione del testo normativo, in una prospettiva di corroboramento della tutela giurisdizionale del contribuente e in una logica complessiva di deflazione del contenzioso tributario. In buona sostanza il decreto in parola, disattese le aspettative di innovazione che la lettera della legge delega lasciava presagire, ha interessato soltanto alcune materie e taluni istituti del processo tributario, fungendo in buona parte da collettore di orientamenti ormai consolidati in dottrina e giurisprudenza.
Il decreto muove su più linee direttrici, recando da un latola rinnovata disciplina degli interpelli e dall'altro la revisione del decreto sul contenzioso tributario, con riguardo, da ultimo, alla normativa sulla giustizia tributaria. Con precipuo riferimento al testo del D.Lgs. n. 546 del 1992, il Legislatore delegato è intervenuto su molteplici istituti processuali, modificando talune disposizioni preesistenti, ovvero introducendone delle nuove, anche in un'ottica di ampliamento delle forme di tutela a favore del contribuente e di riequilibrio e allineamento delle posizioni occupate dalle parti involte nel gioco processuale. Tra le novità di maggior pregio figurano certamente l'introduzione, nell'ambito del processo tributario, di un principio generale di immediata esecutività delle sentenze emesse dalle Commissioni Tributarie (Provinciali e Regionali) e del correlato riconoscimento, in capo al contribuente, della possibilità di adire al giudice dell'ottemperanza (ex art. 70 del D.Lgs. n. 546 cit.) per ottenere l'esecuzione di pronunce ad esso favorevoli, anche nei casi in cui pendano ancora i termini per la relativa impugnazione.
La nuova disciplina non appare tuttavia convincente sotto diversi punti prospettici. In primo luogo, infatti, non si comprende la scelta (in deroga peraltro alla voluntas legis espressa nella delega) di circoscrivere il riconoscimento della provvisoria esecutività alle sole sentenze in tema di atti impositivi e di rimborso, con la conseguente esclusione di altre pronunce, quali, ad esempio, quelle di annullamento dei provvedimenti di cancellazione dall'albo delle ONLUS. Non paiono inoltre condivisibili le ragioni che hanno indotto il Legislatore delegato a ridurre il novero degli strumenti processuali a disposizione del contribuente per ottenere l'esecuzione delle sentenze ad esso favorevoli. Non sembra, infatti, compatibile con le direttive recate dalla legge delega (che prevedeva, testualmente, un “rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente”) l'eliminazione della possibilità di accedere all'esecuzione forzata della sentenza di condanna dell'Amministrazione, costituente titolo esecutivo per ottenere la ripetizione delle imposte e delle sanzioni versate ovvero il recupero delle spese sostenute. Il fatto che gli istituti attinti dal processo civile possano essere meno efficaci dell'ottemperanza non costituisce, invero, un'argomentazione idonea a giustificare una siffatta riduzione di tutela. Ugualmente criticabile appare poi la scelta di subordinare il pagamento delle somme oggetto di rimborso, in caso di importi superiori a €10.000, alla prestazione di idonea garanzia. Tale limitazione, infatti, secondo le prime stime, comporterà una significativa delimitazione delle fattispecie in cui risulterà conveniente, per il contribuente, adire il giudice dell'ottemperanza.
Profili di criticità si rilevano, inoltre, in relazione alle modifiche apportate all'istituto della sospensione cautelare, il cui perimetro di operatività, originariamente contenuto negli argini del primo grado di giudizio, è stato esteso, formalmente, alle fasi successive. In sostanza, è stata attuata una codificazione delle posizioni consolidate nell'ambito giurisprudenza costituzionale (cfr., Corte Cost., 17 giugno 2010, n. 217; 26 aprile 2012, n. 109; ord. 15 novembre 2012, n. 254; ord. 13 febbraio 2014, n. 25) e della Corte di Cassazione (che in particolare aveva già precisato, claris verbis, l'applicabilità dell'istituto in parola anche dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale; cfr. 24 febbraio 2012, n. 2845; sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053) che, facendo rinvio a norme ed istituti di matrice civilistica (i.e., artt. 283 e 373 c.p.c.), hanno da tempo riconosciuto, pur in assenza di espresse previsioni normative, la tutela cautelare in tutte le fasi del processo tributario. Dando seguito a dette posizioni il Legislatore delegato, tramite la modifica degli art. 52 e 65 e l'introduzione del nuovo art. 62-bis, ha espressamente riconosciuto al contribuente la possibilità di richiedere la sospensione dell'esecutività della sentenza ad esso sfavorevole ovvero dell'esecuzione dell'atto impugnato, anche in pendenza di giudizio dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale, ovvero dinanzi al giudice di legittimità o della revocazione. Il testo approvato definitivamente ha ammesso, peraltro, la possibilità per la parte pubblica di chiedere la sospensione dell'esecuzione della sentenza di condanna, in tema di rimborso delle imposte già pagate dal contribuente.
Nonostante il pregevole sforzo compiuto, tuttavia, permangono questioni aperte. In primo luogo occorre svolgere alcune riflessioni in ordine alla distinzione operata tra sospensione dell'atto e sospensione della sentenza e agli effetti che possono discendere dall'opzione per l'una ovvero per l'altra istanza. Gli effetti, infatti, potrebbero presentarsi diversi:
Alla stregua di siffatta impostazione, è evidente che per il contribuente si presenterebbe sconveniente chiedere al giudice la sola sospensione della sentenza, comportando, detta scelta, un duplice onere dimostrativo ed un minor vantaggio. Inoltre, aderendo a questa interpretazione, potrebbero crearsi problemi di coordinamento tra la nuova disciplina e le istanze cautelari interposte prima della sua entrata in vigore, considerato infatti che le nuove disposizioni troveranno applicazione, a partire dal 1° gennaio 2016, anche per i giudizi in corso. Sembrerebbe poi prestare il fianco a questioni di incostituzionalità la possibilità, per il contribuente, di subire una condanna alle spese nella fase endoprocedimentale della trattazione dell'istanza cautelare, in considerazione dell'impossibilità, in presenza di un'ordinanza non impugnabile, che decide anche sulle spese, di esperire autonomi rimedi. Le norme dirette a deflazionare il contenzioso tributario
Accanto alle innovazioni anzi menzionate, apportate in renforcement delle tutele apprestate alla posizione processuale del contribuente, si ravvisano all'interno del decreto alcune norme rilevanti sotto il profilo della deflazione del contenzioso. Tra le novità di maggiore rilievo, figura sicuramente la revisione dell'istituto della conciliazione giudiziale, esperibile fino all'udienza di trattazione dell'appello e non più delimitato al solo giudizio di primo grado. Il perfezionamento della conciliazione, peraltro, non sarà più subordinato al pagamento, bensì alla sottoscrizione dell'accordo (“conciliazione fuori udienza”) o alla redazione del processo verbale (nel caso di “conciliazione in udienza”). Inoltre, nel caso di rifiuto, senza giustificato motivo, della proposta conciliativa formulata da una delle parti, è prevista la condanna della parte soccombente al pagamento delle spese processuali, qualora il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta medesima.
Al dischiarato scopo di disincentivare il contenzioso e l'abuso del ricorso a misure cautelari, è stato poi rivisto, in via generale, l'istituto della soccombenza processuale, tramite la previsione della compensazione delle spese solo in caso di soccombenza reciproca o in presenza di gravi ed eccezionali ragioni e l'introduzione espressa della responsabilità aggravata per lite temeraria, di cui all'art. 96 c.p.c.
Sempre con tale finalità, è stato vieppiù introdotto il ricorso per saltum ed è stato altresì allargato l'ambito di operatività dell'istituto della mediazione tributaria, applicabile (dal prossimo anno) alle controversie di valore non superiore a €20.000, e con riferimento a tutti gli atti impositivi (e.g., accertamento ai fini IMU o ICI, cartella di pagamento o diniego rimborso) e a prescindere dal soggetto emittente (con la sola esclusione degli atti di valore indeterminabile e degli atti di recupero di aiuti di Stato di cui all'art. 47-bis). In caso di perfezionamento della mediazione troverà applicazione una sanzione ridotta nella misura del 35% del minimo edittale (in luogo della sanzione attualmente fissata al 40%). Le modifiche apportate, sotto questo profilo, all'art. 17-bis in tema di mediazione tributaria, non risultano però soddisfacenti, in quanto più che di fronte ad un potenziamento dell'istituto, ci si trova dinanzi ad un mero allargamento della sua operatività. Peraltro, benché la mediazione sia stata affidata ad “apposite strutture diverse ed autonome” da quelle che curano l'istruttoria degli atti reclamabili, le valutazioni rimangono pur sempre in capo all'Agenzia delle entrate e non già ad un organo super partes, come avviene, invero, nel processo civile, in cui il mediatore non è mai una delle parti coinvolte nel gioco processuale o una loro propaggine. Ciò in evidente discrasia con i principi recati dalla nostra Carta Costituzionale. In conclusione
Come accennato in premessa, il decreto n. 156 del 2015, in attuazione della delega nella parte relativa al contenzioso tributario, è intervenuto, sotto forma di “novella”, a modifica ed integrazione degli articoli vigenti del D.Lgs. n. 546 del 1992, abrogando disposizioni ormai prive di utilità (o annullate a seguito di sentenze della Corte Costituzionale) e modificando o introducendone delle nuove, anche allo scopo di conferire dignità normativa alle soluzioni da tempo individuate dalla dottrina e dalla giurisprudenza più avvedute. Non può trascurarsi, infatti, che molti degli strumenti di tutela recati nel decreto fossero di fatto già a disposizione dei contribuenti, grazie all'apprezzabile intervento, quasi suppletivo, che la giurisprudenza ha saputo svolgere negli ultimi anni (si pensi alla possibilità di attivare forme di tutela cautelare anche per i gravami successivi al primo). Di particolare interesse, però, è la previsione, questa realmente innovativa, della esecutività immediata delle sentenze di favorevoli al contribuente. E ciò, fermo rimanendo la rilevata parzialità dell'intervento.
Il decreto in commento si pone poi in continuità con gli ulteriori interventi riformatori che hanno interessato, nei tempi più recenti, il panorama normativo italiano, perseguendo, nel complesso, una finalità di deflazione del contenzioso tributario, concepito, in una logica di sistema, come l'extrema ratio cui accedere in casi limitati. Da un lato, infatti, sono state introdotte disposizioni volte a disincentivare l'esercizio pretestuoso all'azione dinanzi al giudice tributario (e.g., importazione, nel processo tributario, della condanna per “responsabilità processuale aggravata”), dall'altro, sono stati messi a disposizione delle parti processuali strumenti idonei a consentire una composizione della controversia, anche in una fase più avanzata della vicenda processuale (i.e., conciliazione giudiziale).
Alla luce di quanto riportato, nel complesso, l'intervento operato può quindi essere guardato con favore. Nonostante sia evidente che il decreto attuativo non abbian realizzato, in concreto, una vera e propria riforma del processo tributario (e della giustizia tributaria), non può negarsi, comunque, che le novità recate contribuiscano alla creazione di un ordinamento fiscale (ancora in divenire) certamente più equo e, si spera, caratterizzato da un minor numero di liti, nonché da più chiarezza ed equità. |