Il trattamento fiscale dell'affidamento fiduciario quale strumento alternativo al trust
20 Aprile 2016
Premessa
Il trust è un rapporto giuridico che nasce da un atto dispositivo con cui il disponente (settlor) trasferisce tutti o parte dei suoi beni (assets) ad un trustee, il quale ha il compito di amministrarli e gestirli secondo quanto previsto nell'atto istitutivo e nell'interesse di uno o più beneficiari o al fine del raggiungimento di un determinato scopo (purpose). Come supervisore dell'operato del trustee, potrà essere nominato anche un guardiano (protector). In Italia, il trust ha avuto riconoscimento attraverso la ratifica della Convenzione dell'Aja del 1985, avvenuta con la Legge 16 ottobre 1989, n. 364, ma non è mai stato disciplinato specificatamente dal punto di vista civilistico (per gli aspetti fiscali si rinvia ai successivi paragrafi).
Come segnalato da autorevole dottrina (Consiglio Nazionale del Notariato, studio n. 305-2015, approvato nella seduta del 12-13 gennaio 2016), la perdurante assenza di una disciplina nazionale ha posto il problema della legittimità del c.d. trust “interno”, ovvero del trust in cui tutti gli elementi soggettivi e oggettivi siano legati ad un ordinamento, come quello italiano, che non qualifica lo specifico rapporto come trust.
Malgrado sembrava fosse risolta la questione in senso favorevole al riconoscimento del trust interno anche nell'ordinamento italiano, considerato che numerosi provvedimenti giurisdizionali ne avevano sancito la validità (ad esempio, con specifico riferimento al trust liquidatorio, si rinvia alla sentenza della Cass. civ., 9 maggio 2014, n. 10105), alcuni tribunali recentemente si sono espressi diversamente. Infatti, con Ordinanza del 13 ottobre 2015, il Tribunale di Monza 2015 ha dichiarato nullo un trust autodichiarato, dove il ruolo del disponente e quella del trustee coincidevano, in quanto non si sarebbe potuto applicare la Convenzione dell'Aja.
La stessa pronuncia, inoltre, ha stabilito che non è riconoscibile nell'ordinamento italiano il trust interno, dove l'unico elemento di internazionalità consiste nella legge applicabile; e questo in osservanza di quanto prevede l'articolo 13 della Convenzione dell'Aja, secondo il quale il trust, i cui elementi più importanti sono strettamente connessi con Stati che ignorano l'istituto, non può da questi venire riconosciuto. Pertanto, nel caso in cui tutti gli elementi del trust, diversi dalla legge applicabile, siano italiani (luogo dei beni conferiti e residenza/domicilio di tutti i soggetti coinvolti, quali, il disponente, il trustee ed i beneficiari), il trust non può trovare riconoscimento.
Tralasciando in questa sede le considerazioni sulla correttezza o meno di suddetta tesi, scopo di tale scritto è quello di esaminare il trattamento fiscale di un istituto alternativo al trust, che potrebbe essere utilizzato quale alternativa al fine di ridurre i rischi di cui sopra: l'affidamento fiduciario. L'affidamento fiduciario è un negozio attraverso il quale l'affidante trasferisce all'affidatario, che ne diviene fiduciariamente titolare, una o più posizioni giuridiche soggettive; queste entrano a far parte temporaneamente del patrimonio dell'affidatario, senza che questi possa trarne vantaggio, in quanto destinate a vantaggio di uno o più soggetti beneficiari in forza di un programma, la cui realizzazione è rimessa all'affidatario che a ciò si obbliga.
Si tratta di un contratto frutto di una recente elaborazione dottrinale e rappresenta una nuova tipologia contrattuale che si affianca agli istituti del trust e dell'atto di destinazione previsto dall'art. 2645-ter c.c., in grado di realizzare una figura di patrimonio separato di fonte negoziale. Un definizione di affidamento fiduciario, ad esempio, è contenuta nella Legge del 1° marzo 2010, n. 43, della Legge di San Marino. In breve, con tale contratto si da causa giuridica alla destinazione contemplata nel programma destinatorio, al trasferimento dei beni affidati in capo all'affidatario, alla separazione patrimoniale funzionale alla destinazione e all'opponibilità agli effetti destinatori.
In sintesi:
Come si nota da quanto appena esposto, numerose solo le similitudini con il trust. Per questo motivo, anche il relativo trattamento fiscale potrebbe essere considerato analogo. Disciplina tributaria
È necessario premettere che l'Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale della Liguria, che si è occupata di individuare il corretto regime fiscale, ha equiparato il regime delle imposte indirette e delle imposte dirette degli affidamenti fiduciari a quello del trust (così nelle risposte agli interpelli n. 903-31/2011 del 21 febbraio 2011 e n. 903-151/2012 del 3 luglio 2012). Pertanto, anche in questa sede si farà riferimento a tali chiarimenti. Per chiarezza di esposizione, si ritiene opportuno distinguere il trattamento fiscale ai fini delle imposte dirette da quello ai fini delle imposte indirette. Imposte dirette
Ai fini dell'imposizione dirette, l'istituto dell'affidamento fiduciario potrebbe essere assimilato, a seconda dell'attività svolta, ad un ente non commerciale o a un ente commerciale. In questo caso, il reddito complessivo potrebbe essere formato dalla somma di quelli determinati secondo le norme di ciascuna categoria reddituale (redditi fondiari, di capitale, redditi d'impresa, redditi diversi). Come il trust, l'affidamento può essere definito opaco o trasparente. Risulterebbe opaco quando i beneficiari non sono individuati o quando l'attribuzione di posizioni reddituali in loro favore è, in tutto o in parte, discrezionale. In questo caso, il reddito viene tassato in capo all'istituto, scontando la sola aliquota IRES (oggi 27,5% - dal 2017 24%). Quando, invece, l'affidamento viene definito trasparente, il reddito viene determinato in capo all'affidamento (quindi, con le regole valide per gli enti non commerciali) ed attribuito ai beneficiari individuati, secondo le disposizioni contenute nel programma destinatorio.
È stato precisato che la natura dei redditi attribuiti ai beneficiari individuati per trasparenza conserva la medesima natura della fonte del reddito, non avendo i beneficiari effettuato alcun impiego di capitale, o investimenti o attività nei beni affidati o nel programma di destinazione. Ciò si giustificherebbe anche per il fatto che l'art. 44, comma 1, lettera g-sexies, del TUIR, definisce come redditi di capitale esclusivamente quelli imputati al beneficiario del trust. In tale caso, eventuali corresponsioni di somme ai “beneficiari” non scontano alcuna imposta diretta in capo agli stessi. Ove venga esercitata un'attività commerciale, l'istituto verrebbe considerato soggetto passivo anche ai fini IRAP. Imposte indirette
Più complesso, invece, risulta essere il trattamento fiscale in relazione alle imposte indirette. Infatti, relativamente al trust, è discusso se, all'atto del conferimento dei beni da parte del disponente, siano dovute l'imposta di donazione e le altre imposte indirette in misura proporzionale (registro, ed ipotecarie e catastali, qualora vi siano beni immobili). Per quanto riguarda, l'imposta di donazione, secondo recenti pronunce giurisprudenziali, ogni fonte di costituzione di vincoli di destinazione è assoggettabile all'imposta di donazione (Cass. civ., 4 febbraio 2015, n. 3735/15, Cass. civ., 25 febbraio 2015, n. 3886, Cass. civ., 24 febbraio 2015, n. 3737).
La tesi dei giudici di legittimità sarebbe coerente con quanto stabilito dall'agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 3/E del 2008 (par. 5.4.2), la quale ha chiarito che la costituzione di beni in trust rileva, in ogni caso, ai fini dell'applicazione dell'imposta sulle successioni e donazioni, indipendentemente dal tipo di trust. Tale affermazione trarrebbe giustificato motivo dalla natura patrimoniale del conferimento in trust, nonché dall'effetto segregativo che esso produce sui beni conferiti indipendentemente dal trasferimento formale della proprietà e, da ultimo, dal complessivo trattamento fiscale del trust che escluderebbe dalla tassazione il trasferimento dei beni a favore dei beneficiari. La Cassazione, con le pronunce in commento, è giunta sostanzialmente alle medesime conclusioni, seppur attraverso un percorso ermeneutico differente. In particolare, avrebbe preso le mosse dall'art. 2, comma 47, della L. n. 262/2006, che ha introdotto “l'imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni” del D.Lgs. n. 346/1990 (vecchio testo unico dell'imposta sulle successioni e donazioni).
Pertanto, stante il dato normativo letterale poc'anzi riportato, il legislatore avrebbe introdotto, accanto all'imposta sulle successioni e donazioni, una nuova fattispecie impositiva sulla costituzione di vincoli di destinazione, che, peraltro, a differenza dell'imposta su successioni e donazioni, prima non esisteva nell'ordinamento e colpisce soltanto la costituzione del vincolo di destinazione, a prescindere dall'esistenza di qualsivoglia trasferimento.
Di diverso avviso, invece, è parte della giurisprudenza di merito (CTP Latina, 14 maggio 2015, n. 716), la quale ha stabilito che, contrariamente a quanto affermato dalla Suprema Corte con le pronunce sopracitate, l'imposta di donazione non è dovuta all'atto di passaggio dei beni dal disponente al trustee, così come le altre imposte indirette sono da applicare in misura fissa. Contra, invece, la CTR Lombardia, 9 dicembre 2015, n. 5278/7/15. È necessario a questo punto rilevare che la Corte di Cassazione, con sentenza successiva a quelle sopra citate (sentenza del 18 dicembre 2015, n. 25478), ha sancito l'inapplicabilità delle imposte sui trasferimenti in misura proporzionale (nel caso della causa, si trattava di quella di registro) al momento del conferimento dei beni in trust, in quanto, fino al momento del loro passaggio ai beneficiari, non si verificherebbe alcun arricchimento da sottoporre a tassazione. Pur occupandosi di una vicenda sorta precedentemente all'entrata in vigore della legge 262/2006, la stessa pronuncia potrebbe rappresentare un ripensamento da parte della Suprema Corte nel ritenere corretto di non applicare l'imposta di donazione al momento del trasferimento dei beni in trust. In ogni caso, al fine di stabilire l'aliquota e la franchigia dell'imposta di donazione, è necessario verificare il rapporto di parentela tra affidante e beneficiario. Si ricorda, però, che, in applicazione del comma 4-ter dell'art. 3, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, la costituzione del vincolo di destinazione in un trust disposto a favore dei discendenti del settlor non è soggetto all'imposta qualora abbia ad oggetto aziende o rami di esse, quote sociali o azioni, purché siano soddisfatte le condizioni prescritte dal predetto art. 3, comma 4-ter (cfr. Circolare 6 agosto 2007, n. 48). Per il trust è stato stabilito che non si applica l'imposta di donazione quando:
Tale agevolazione dovrebbe applicarsi anche all'affidamento fiduciario. In merito all'applicazione delle altre imposte indirette, si è espressa anche la giurisprudenza di merito (CT II° Bolzano n. 50/1/15 del 12 marzo 2015), la quale avrebbe stabilito che le imposte ipotecarie e catastali verrebbero applicate al momento del conferimento nel trust con l'aliquota, rispettivamente, del 2% e l'1% (complessivamente del 3%). Sulla mancata applicazione dell'imposte ipotecarie e catastali, invece, si è espressa altra parte della giurisprudenza (CTP Milano 20 luglio 2015, n. 6579/46/15), la quale avrebbe sancito che il conferimento di immobili in trust non va assoggettato a tali imposte, in quanto, al momento della costituzione del trust, non vi è alcun passaggio giuridico del bene e le stesse imposte dovranno essere corrisposte dal beneficiario solamente al termine della durata del trust. In merito, invece, all'imposta di registro in misura fissa, parte della giurisprudenza (CTP Lodi, 3 marzo 2015, n. 49/1/15), ha affermato che l'atto di costituzione di beni immobili in trust deve essere sottoposto all'imposta di registro in misura fissa in quanto non comporta il trasferimento della proprietà dei beni conferiti, né i beneficiari, per quanto individuati, hanno poteri decisionali o dispositivi sulla sorte dei beni segregati. Conclusioni
Salvo diverse interpretazioni da parte delle Autorità competenti, all'affidamento fiduciario si dovrebbero applicare le medesime disposizioni tributarie previste per il trust. Con tale contratto, si potrebbero, così, ovviare a quegli inconvenienti derivanti dall'utilizzo del suddetto istituto di origine anglosassone, applicando le norme proprie del diritto italiano e non quelle di qualche Paese straniero.
Inoltre, non essendoci limiti alla natura dei beni da conferire, verrebbero superati i limiti previsti da quanto stabilito dall'art. 2645-ter del codice civile, che non impone alcuna obbligazione fiduciaria a carico del gestore e prevede che possano essere oggetto del medesimo beni solo i beni espressamente menzionati (beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri). |