Contraddittorio e accertamenti a tavolino: la parola torna alla Corte Costituzionale

La Redazione
21 Gennaio 2016

La CTR di Firenze ha posto sull'art. 12 comma 7, dello Statuto del contribuente, questione di legittimità, manifestando una certa perplessità in merito alla recente decisione delle Sezioni Unite (sentenza n. 24823/2015) in virtù della quale non esisterebbe, nell'ordinamento nazionale, un principio generale che imponga all'Amministrazione finanziaria un obbligo di instaurazione del preventivo contraddittorio con il contribuente.

La CTR di Firenze con la sentenza n. 736/1/15 ha rimesso la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente dinnanzi alla Consulta, manifestando perplessità in merito alla recente decisione delle Sezioni Unite (sentenza n. 24823/2015), dove le stesse hanno sancito l'insussistenza, nell'ordinamento nazionale, di un principio generale che impone all'Amministrazione finanziaria un obbligo circa l'instaurazione del preventivo contraddittorio con il contribuente.

Al contribuente viene riconosciuto il diritto a ricevere copia del verbale di chiusura delle operazioni di accertamento e di disporre dei 60 giorni per eventuali controdeduzioni, nelle sole ipotesi in cui l'Amministrazione abbia "effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività" del contribuente. Infatti, il contraddittorio amministrativo appare strumentale a garantire il diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost., permettendo inoltre alle parti processuali di trovarsi su un piano di sostanziale parità.

Esaminando la questione i giudici della CTR di Firenze, in primo luogo, sottolineano che nel processo tributario non esiste una fase preventiva di raccolta delle prove con l'ausilio di un organo terzo e imparziale; così come non è prevista una fase istruttoria all'interno dello stesso contenzioso. Nel processo tributario è escluso che il giudice possa procedere ad un'attività di acquisizione diretta delle dichiarazioni di persone informate, dunque il giudice può conoscere le dichiarazioni solo attraverso i verbali degli accertamenti tributari. Alla luce di tale considerazione si deduce che molto spesso la pretesa fiscale è retta da meri indizi, facendo sfumare del tutto il confine tra indizio e prova, che diventa impercettibile: “l'esito sfavorevole al privato può essere determinato dal «più probabile e non» e non occorre certo il superamento, necessario invece nel processo penale, di «ogni ragionevole dubbio»”.

Alla luce di simili premesse il contraddittorio, anche nei casi di c.d. “indagine a tavolino”, risulterebbe imprescindibile. Il particolare regime delle operazioni di accertamento a seguito di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività del contribuente appare altrimenti irragionevolmente discriminatorio rispetto a quei contribuenti che non hanno subito accesso o verifica nei locali. Ne risulta la paradossale situazione per cui "se viene redatto un accertamento a carico di un soggetto in base a documenti di pertinenza di un altro imprenditore, reperiti in un accesso nella azienda di quest'ultimo, il primo contribuente nulla sa e si vede piovere addosso all'improvviso un accertamento esecutivo".

Sulla base di tali ragioni, è stata rimessa alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, co. 7 della L. 212/2000, nella parte in cui riconosce al contribuente il diritto a ricevere il verbale e a formulare preventive osservazioni solo nel caso di accessi presso il luogo ove si svolge l'attività del medesimo.

(Per la massima e il testo della pronuncia, cfr. la rubrica CASI E SENTENZE DI MERITO, Accertamenti ‘a tavolino' e contraddittorio: necessario il vaglio della Corte Costituzionale)

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