Uno studio di 40 metri quadri è, da solo, indice di sottoposizione all’IRAP?

La Redazione
20 Febbraio 2017

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 3685/2017, ribadisce il filone interpretativo da adottare ai fini dell'imposizione ad IRAP, sostenendo che il commercialista che lavora in uno studio di 40 metri quadri non paga l'IRAP laddove operi in assenza di collaboratori e con beni strumentali minimi.

Se il professionista non dispone di beni strumentali, personale dipendente o di collaboratori, non è comprensibile il motivo che induce il Fisco alla sottoposizione dei controlli. Ed infatti la Cassazione, confermando il verdetto dei due precedenti gradi di giudizio, ha rigettato il ricorso delle Entrate.

Secondo l'Agenzia, che ricorreva alla Corte di Cassazione contro la sentenza della CTR, i giudici di merito avevano ritenuto dimostrata l'assenza di autonoma organizzazione basandosi sulle sole dichiarazioni allegate dal contribuente, trascurando di dare rilievo al fatto che il contribuente – nella fattispecie, un commercialista – era anche sindaco di una società e curatore fallimentare, senza contare che lavorava in uno studio associato nel quale svolgeva la propria attività professionale. In pratica, secondo il Fisco il professionista svolgeva «attività similari e contigue in un'associazione di dottori commercialisti i cui mezzi presumibilmente erano stati utilizzati anche per lo svolgimento dell'attività di sindaco e curatore».

Ma «il fatto allegato – si legge nell'ordinanza della Suprema Corte, VI Sezione Civile, depositata il 13 febbraio 2017, n. 3685 non risulta di per sé solo rilevante, avendo in ogni caso la Commissione accertato, con sufficiente e compiuta motivazione, che il contribuente non si avvaleva per l'esercizio della libera professione di beni strumentali superiori al minimo indispensabile, di personale dipendente o di collaboratori». In breve, il ricorso del Fisco non è stato accolto.

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