Il finanziamento a medio e lungo termine stipulato all'estero non è assoggettato all'imposta sostitutiva

Fabio Gallio
21 Luglio 2016

Con la sentenza n. 588 del primo febbraio 2016, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia si è occupata della problematica relativa all'applicazione dell'imposta sostitutiva sui finanziamenti a medio e lungo termine, nel caso in cui i relativi contratti siano stipulati all'estero.In particolare, è stato sancito che, per gli atti formati per iscritto al di fuori del territorio dello Stato, l'imposta non è applicabile, anche nel caso in cui la stipula definitiva sia stata preceduta da intese o accordi verbali, comunque non vincolanti, avvenuti in Italia, che ne abbiano eventualmente preceduto la conclusione in forma scritta.Tale pronuncia è di notevole interesse, in quanto contrasta con la tesi dell'Agenzia delle Entrate che, nella Circolare n. 20/E del 28 marzo 2013, aveva precisato che, se l'accordo stipulato all'estero ripropone quanto negoziato in Italia, si può configurare un abuso di diritto e, pertanto, l'imposta sostitutiva deve essere pagata.
Premessa

La CTR Lombardia, con la sentenza del primo febbraio 2016, n. 588, ha respinto l'appello dell'Agenzia delle Entrate presentato contro una sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Sondrio, che aveva accolto il ricorso di un istituto bancario, il quale aveva impugnato un avviso di liquidazione notificato per il versamento dell'imposta sostitutiva sui finanziamenti a medio e lungo termine ex art. 15 del d.P.R. n. 601/1973.

In particolare, il pagamento è stato ritenuto illegittimo dal contribuente, in quanto non si era verificato il presupposto della territorialità, essendo stato l'atto di finanziamento stipulato in Lussemburgo, con il coinvolgimento anche di soggetti stranieri.

La CTR lombarda, accogliendo la tesi del contribuente, ha stabilito che, essendo applicabili le norme previste per l'imposta di registro, l'imposta sostitutiva deve applicarsi solo per i finanziamenti stipulati in Italia, cosi come l'art. 2 del d.P.R. n. 131/1986 prevede che l'imposta di registro si applichi con riferimento agli atti formati per iscritto nel territorio dello Stato italiano. Prima, però, di procedere ad analizzare le condivisibili conclusioni dei giudici lombardi, è opportuno soffermarsi brevemente sulla normativa di riferimento.

La disciplina dell'imposta sostitutiva prevista dagli artt. 15 e ss. del d.P.R. n. 601/1973

Gli articoli da 15 a 20 (ora anche 20-bis) del d.P.R. n. 601/1973 delineano una peculiare disciplina volta ad agevolare, ai fini delle imposte indirette, erogazioni di credito aventi specifiche caratteristiche ed effettuate da determinati soggetti.

In sostanza, il legislatore prevede un'esenzione generalizzata dalle ordinarie imposte d'atto (in particolare, ai sensi dell'art. 15, primo comma, del Decreto, l'esenzione riguarda: l'imposta di registro, l'imposta di bollo, le imposte ipotecarie e catastali e le tasse sulle concessioni governative) per tutti gli atti, i provvedimenti, i documenti e le garanzie relativi a tali operazioni di finanziamento. In sostituzione dei prelievi «ordinari», è prescritto il versamento di un'imposta sostitutiva pari allo 0,25% delle risorse erogate in ciascun esercizio (si ricorda che, per l'acquisto di immobili di civile abitazione, l'aliquota è pari al 2% se non si tratta di “prima casa”. cfr Circolare dell'Agenzia delle Entrate 19/e del 9 maggio 2005, paragrafo 2).

Per quanto riguarda il sistema bancario, l'operatività del regime sostitutivo è subordinata alla sussistenza di tre presupposti:

  1. soggettivo: vale a dire che il finanziamento deve essere necessariamente concesso da una banca;
  2. oggettivo: deve trattarsi di una operazione di finanziamento “a medio e lungo termine”, intendendo con tale locuzione, ai sensi dell'art. 15, terzo comma, del Decreto, che l'erogazione deve avere una durata contrattuale superiore a diciotto mesi (la circolare dell'Agenzia del Territorio del 27 dicembre 2002, n. 12/T, ha precisato che la durata del finanziamento deve essere calcolata “dal momento in cui l'Istituto di credito adempie all'obbligo di tenere a disposizione la somma accreditata, a prescindere dalle circostanze concrete che possono incidere sulla sua effettiva utilizzazione da parte del beneficiario”. La risoluzione del Ministero delle Finanze, Dir. Gen. Tasse e Imposte indirette sugli affari del 2 giugno 1980, n. 250220, ha, invece, precisato che l'ultimo comma dell'art. 15 del d.P.R. n. 601/1973 fa riferimento alla durata del finanziamento contrattualmente pattuita e non alla durata effettiva dello stesso). Circa la nozione di «finanziamento» rilevante ai fini della disciplina in esame, in assenza di indicazioni del legislatore, si ritiene che l'espressione abbracci qualsiasi tipologia di negozio giuridico che consenta al soggetto finanziato di beneficiare di una somma di denaro, indipendentemente dalla forma contrattuale adottata (di questo avviso, tra gli altri, Dus S., Imposta sostitutiva, agevolazione casuale e concreto utilizzo del finanziamento, in Dialoghi tributari, 2008, 6);
  3. territoriale: Tale ulteriore condizione si evince dal richiamo, effettuato dall'art. 20, quinto comma, del Decreto, alle disposizioni emanate in materia di imposta di registro per ciò che concerne la rettifica dell'imponibile, l'accertamento d'ufficio dei cespiti omessi, le sanzioni relative alla omissione o infedeltà della dichiarazione, la riscossione, il contenzioso e quanto altro riguarda l'applicazione dell'imposta sostitutiva (Art. 20, comma 5, del d.P.R. n. 131/1986: “Per la rettifica dell'imponibile, per l'accertamento d'ufficio dei cespiti omessi, per le sanzioni relative alla omissione o infedeltà della dichiarazione, per la riscossione, per il contenzioso e per quanto altro riguarda l'applicazione dell'imposta sostitutiva valgono le norme sull'imposta di registro”).

Occorre osservare, infatti, che, ai sensi dell'art. 2, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 131/1986, sono soggetti a registrazione (e, conseguentemente, ad imposizione) entro 60 giorni dalla data di stipulazione “gli atti formati all'estero, compresi quelli dei consoli italiani, che comportano trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di altri diritti reali, anche di garanzia, su beni immobili o aziende esistenti nel territorio dello Stato e quelli che hanno per oggetto la locazione o l'affitto di tali beni”. A mente dell'art. 11 della Tariffa, parte II, allegata al decreto, gli altri atti formati all'estero diversi da quelli appena identificati sono soggetti a registrazione solo in caso d'uso (secondo l'art. 6 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, “Si ha caso d'uso quando un atto si deposita, per essere acquisito agli atti, presso le cancellerie giudiziarie nell'esplicazione di attività amministrative o presso le amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici territoriali e i rispettivi organi di controllo, salvo che il deposito avvenga ai fini dell'adempimento di un'obbligazione delle suddette amministrazioni, enti o organi ovvero sia obbligatorio per legge o regolamento”).

Dall'analisi della disciplina delineata dagli articoli richiamati, è possibile affermare che gli atti stipulati all'estero, tra cui i contratti di finanziamento, che non rientrano nelle ipotesi previste dall'art. 2, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 131/1986, non devono essere registrati in termine fisso, cioè fin dall'origine, ma, esclusivamente, in caso d'uso, per difetto del presupposto territoriale (in senso conforme Pulcini M., Territorialità dell'imposta sostitutiva sui finanziamenti, in Bollettino Tributario, 2010, 6). All'atto della stipulazione di tali contratti, dunque, non è dovuto alcun importo a titolo di imposta sostitutiva.

Si noti come in tal senso, peraltro, si era espresso anche il Ministero delle Finanze (cfr. Ministero delle Finanze, Dip. Entrate, Dir. Centr. Affari giuridici e contenzioso tributario, Risoluzione n. 45/E /2000/79924 del 10 aprile 2000), il quale aveva a suo tempo affermato che “per la chiara connessione operata dal legislatore tra imposta sostitutiva e di registro ed in considerazione che quest'ultima colpisce gli atti formati nello Stato italiano, alle operazioni di finanziamento poste in essere dagli Istituti di credito italiani fuori dal territorio nazionale non torna applicabile il regime fiscale della imposta sostitutiva ma quello in vigore nello Stato estero interessato”.

A questo punto, si deve rilevare che il Titolo V, d.P.R. n. 601/1973 è stato oggetto di recenti interventi normativi che hanno sostanzialmente modificato la disciplina dell'imposta sostitutiva su determinate operazioni di finanziamento; in particolare, a seguito delle modifiche introdotte dal D.L. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 2014, n. 9, l'applicazione dell'imposta sostitutiva, in luogo degli ordinari tributi (imposta di registro, di bollo, ipocatastali,…), è diventata opzionale, ed è quindi rimessa ad una scelta ben precisa dei contraenti.

Inoltre, in forza dell'art. 22 del D.L. n. 91/2014, convertito con la Legge n. 116/2014, l'agevolazione è stata estesa anche alle imprese di assicurazione, alle società di cartolarizzazione e agli organismi di investimento collettivo (cfr Circolare Assonime n. 19 del 5 giugno 2015).

Invero, l'art. 17, comma 1, d.P.R. n. 601/1973, prevede ora espressamente che “gli enti che effettuano le operazioni indicate negli artt. 15 e 16, a seguito di specifica opzione, possono corrispondere, in luogo delle imposte di registro, di bollo, ipotecarie e catastali e delle tasse sulle cessioni governative, una imposta sostitutiva. L'opzione è esercitata per iscritto nell'atto di finanziamento”.

Quale conseguenza, per i contratti di finanziamento stipulati in Italia a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto modificativo (i.e. dal 24 dicembre 2013), i contribuenti hanno la possibilità di optare per (a) il regime agevolativo di cui al Titolo V del d.P.R. n. 601/1973 ovvero (b) il regime ordinario, corrispondendo le imposte eventualmente dovute (registro, bollo, ipocatastali). Per completezza, si precisa che in tale ultima circostanza (i.e. scelta del contribuente di avvalersi del regime ordinario), l'imposta di registro potrà essere applicata in misura fissa ovvero proporzionale secondo il noto principio di alternatività tra IVA ed imposta di registro, di cui all'art. 40, d.P.R. n. 131/1986.

È evidente come le modifiche normative citate, che rendono il regime sostitutivo opzionale, permetteranno di ridurre la convenienza per gli operatori italiani di stipulare i contratti di finanziamento all'estero. Il nuovo regime, però, come dimostra la causa decisa dalla sentenza della CTR in esame, non risolve le controversie sorte in merito al presupposto di territorialità del tributo durante la vigenza della precedente disciplina.

La tesi dell'Agenzia delle Entrate

Da quanto emerge dalla narrazione dello svolgimento del processo, l'Ufficio locale dell'Agenzia delle Entrate ha notificato l'avviso di liquidazione, in quanto ha ritenuto che il contratto di finanziamento si doveva considerare formato in Italia, malgrado la sottoscrizione definitiva fosse avvenuta in Lussemburgo.

In particolare, le motivazioni dell'atto di liquidazione si fondavano sul fatto che gli elementi essenziali del contratto erano stati trattati in Italia e, pertanto, si presumeva che il consenso negoziale si era formato nel territorio dello Stato. Inoltre, era stato eccepito che la sottoscrizione all'estero del contratto configurava un “escamotage” giustificabile solo ai fini elusivi per ottenere un trattamento tributario meno oneroso.

Le conclusioni a cui giunge l'Ufficio locale sono coerenti con quanto precisato dall'Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 20/E del 28 marzo 2013.

Infatti, in tale documento, l'Agenzia afferma che la stipulazione degli atti di finanziamento oltreconfine non configura alcun abuso di diritto, qualora il contratto sottoscritto all'estero non concretizzi una mera riproposizione dell'accordo preso dalle parti in Italia.

Al fine di accertare la suddetta condizione, vengono sollecitati i verificatori ad andare ad analizzare la documentazione, da cui non dovrà risultare che il consenso in ordine agli elementi essenziali del contratto di finanziamento riproposti nell'atto pubblico o nella scrittura privata autenticata si sia già formato nel territorio dello Stato italiano.

In caso contrario, dovrà essere richiesta l'imposta sostitutiva.

Tale tesi, però, è stata “sconfessata” dai giudici lombardi della CTR per i seguenti motivi.

La sentenza in commento

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ha respinto l'appello dell'Ufficio per due motivi principali.

In primo luogo, giudici lombardi hanno confermato quanto sancito dalla Commissione di Sondrio, stabilendo che i contratti di finanziamento, tassati con il contestato avviso di liquidazione, erano stati stipulati all'estero, e precisamente in Lussemburgo, come peraltro giustificato dal coinvolgimento nell'operazione di finanziamento di società (quali soggetti finanziati) e di istituti bancari (quali soggetti finanzianti) di diritto estero, oltre che di società e di banche italiane.

Tale principio era già stato sostenuto da parte della giurisprudenza ed, in particolare, dalla CTP Brescia, la quale, con sentenza n. 27 del 10 aprile del 2012, ha deciso di accogliere le censure proposte dal ricorrente e di condannare, altresì, l'Agenzia delle entrate al pagamento delle spese processuali. In tale sentenza, i giudici di prime cure hanno correttamente osservato che l'art. 11 della Tariffa, parte II, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (che, si ricorda, chiarisce che gli atti stipulati oltreconfine non devono essere registrati in termine fisso ma, esclusivamente, in caso d'uso) “non si presta, infatti, a interpretazione diversa da quella che si evince dalla sua lettera, che non esclude sotto alcun profilo che la stipula di contratti fra soggetti italiani sia effettuata al di fuori del territorio nazionale, ove si prospetti meno onerosa per i contribuenti senza che tale opzione, quale tipica espressione dell'autonomia privata, possa essere ritenuta strumento di elusione: la circostanza che la vicenda sia stata espressamente prevista dal Legislatore esclude, infatti, che la sua applicazione possa integrare l'abuso contestato ai ricorrenti”.

Ma la Commissione Regionale della Lombardia in commento ha sancito un'ulteriore principio. Infatti, per la verifica del presupposto territoriale dell'imposta in oggetto, non è sufficiente prendere in esame, come sostiene l'Agenzia delle Entrate, esclusivamente gli atti preparatori che si inseriscono nella fase pre-contrattuale, dal momento che l'oggetto del contratto di finanziamento bancario e la natura dei soggetti eroganti richiedono sempre delle trattative necessarie per mettere a punto gli elementi essenziali e accessori del contratto stesso. Al contrario, ai fini della mancata applicazione dell'imposta, è determinante stabilire se l'atto definitivo sia stato stipulato all'estero, rispetto al quale non possono certo considerarsi equivalenti, anche sotto il profilo della efficacia vincolante, eventuali intese od accordi verbali che ne abbiano eventualmente preceduto la conclusione in forma scritta, peraltro nella specie necessaria ai sensi dell'art. 117 TUB (D.Lgs. n. 385/1993).

Tali conclusioni dei giudici lombardi sono assolutamente condivisibili, dal momento che, se il presupposto territoriale dell'imposta sostitutiva coincide con quello relativo all'imposta di registro, vale a dire con il luogo di formazione dell'atto, deve convenirsi che l'imposta è dovuta per i finanziamenti erogati in base a contratti formati in Italia e non per quelli formati all'estero. In tale ottica, si deve sempre verificare il luogo in cui è stato formato l'atto conclusivo dal quale derivano le reciproche obbligazioni delle parti, idoneo cioè a vincolarle effettivamente sul piano giuridico, senza che possa tenersi in alcun conto del fatto che attività precontrattuali siano state svolte nel territorio di un diverso Stato (Così Assonime nella Circolare n. 17/2014).

Infatti, l'elemento fondamentale del contratto è l'accordo definitivo e, una volta raggiunto, già si può affermare che, in presenza degli altri requisiti previsti dall'art. 1325 del codice civile, il negozio si è perfezionato. Pertanto, il raggiungimento del consenso tra le parti in ordine ai soli elementi essenziali del contratto rimane pur sempre un consenso parziale, e non può essere considerato indice del perfezionamento della volontà delle parti. La negoziazione delle clausole contrattuali avviene infatti secondo un processo distinto in diverse fasi, il cui solo completamento potrà vincolare le parti all'adempimento delle obbligazioni concordate: è quindi esclusivamente la stipula di tale ultimo atto che rileva ai fini della territorialità e quindi dell'imposizione, e non già un atto intermedio ed incompleto (Così Assonime nella Circolare n. 13/2013.).

Del resto, non va dimenticato che anche trattative in fase avanzata, e finanché intese di massima già raggiunte, potrebbero non trovare sbocco in un vero e proprio accordo vincolante, restando così prive di effetti sul piano negoziale, ancorché a volte fonte di responsabilità per i contraenti secondo quanto previsto dall'art. 1337 del codice civile.

Per questi motivi, le motivazioni della sentenza in esame sono condivisibili e si auspica che gli uffici locali facciano venire meno le contestazioni simili a quelle avanzate nella controversia in esame.

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