IVA, le scelte di politica imprenditoriale non ne giustificano il mancato versamento
21 Gennaio 2016
La crisi non è una buona scusa per non versare l'IVA, soprattutto se la mancanza di liquidità deriva da scelte di politica imprenditoriale e non ascrivibili a cause di forza maggiore. Lo dicono i giudici della Cassazione con la sentenza depositata il 18 gennaio 2016, n. 1623. Adeguandosi a quanto già affermato in recenti sentenze, come quella del 12 ottobre 2015, n. 40766, i giudici hanno rigettato uno dei due motivi del ricorso presentato da un imprenditore (il secondo, invece, è stato accolto).
L'imprenditore sosteneva di essersi trovato in uno stato di difficoltà, che lo aveva costretto a sottoscrivere un piano di risanamento, ma la situazione era andata via via aggravandosi. Avendo deciso di pagare i dipendenti prima che i debitori, per evitare licenziamenti, l'imprenditore, secondo la difesa, non aveva “la coscienza e la volontà” di evadere l'imposta, ma i pagamenti gli erano impossibili, in virtù del mancato accantonamento delle somme necessarie.
La situazione di evidente difficoltà nella quale versava l'imprenditore non è però bastata affinché i Sommi Giudici accogliessero il suo appello. Infatti, la Corte si è allineata alla pronuncia della CTR, la quale aveva considerato ininfluente la giustificazione fornita dal ricorrente: l'accordo di risanamento era infatti di natura privatistica, e non poteva coinvolgere il pagamento dei tributi. Inoltre, i giudici hanno riaffermato il principio secondo cui “la colpevolezza del soggetto tenuto ad assolvere l'obbligazione tributaria non è esclusa dalla crisi di liquidità intervenuta al momento della scadenza del termine utile per il versamento, a meno che l'imputato non dimostri che le difficoltà finanziarie non siano a lui imputabili e che le stesse, inoltre, non possano essere altrimenti fronteggiate con idonee misure, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale”.
Ciò detto, per i Giudici della Corte la mancanza della provvista necessaria all'adempimento dell'obbligazione tributaria, per effetto di una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare la crisi di liquidità (quale, ad esempio, la scelta di ricorrere ad un piano di risanamento) non può essere ascrivibile ad una causa di forza maggiore: “l'istituto – secondo i giudici – non rientra in un procedimento giudiziale o soggetto ad omologa da parte del giudice, come invece avviene per il concordato preventivo, ma si risolve in un atto stragiudiziale non soggetto al controllo del giudice né nella fase di preparazione, né nella fase di esecuzione, consistendo in un atto unilaterale dell'imprenditore e quindi risolvendosi in una operazione strettamente ed interamente privatistica”.
Riassumendo efficacemente il concetto, i giudici hanno stabilito che per quanto concerne l'omesso versamento dell'imposta IVA, l'inadempimento può essere attribuito a forza maggiore “solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico”. |