Nessun beneficio a chi abita “di fatto” e non trasferisce la residenza entro i termini

La Redazione
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21 Settembre 2015

Nell'ordinanza n. 18187/2015, i Giudici della Cassazione hanno accolto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate: il ritardo di una settimana nel trasferimento della residenza non può essere letto alla luce della buona fede.

Il ritardo di sette giorni non è interpretabile alla luce della “buona fede”: resta tale, e se riguarda il beneficio prima casa, ne inficia l'ottenimento. Lo dicono i Giudici della Cassazione con l'ordinanza del 16 settembre 2015, n. 18187.

La CTR aveva accolto il ricorso presentato dalla contribuente, in tal modo annullando l'avviso di liquidazione e l'irrogazione di sanzioni relative ad imposta di registro, ipotecaria e catastale su una compravendita di un immobile, prima casa, poiché l'acquirente non aveva assunto la residenza nel comune nel quale è sito l'edificio entro i 18 mesi stabiliti. Invero, la Commissione Regionale aveva sottolineato come il ritardo fosse stato di soli sette giorni, e che l'esiguità di tale ritardo era prova della buona fede del contribuente. Secondo l'Agenzia, però, tali situazioni erano irrilevanti ai fini delle prescrizioni di legge.

Le ragioni dell'Agenzia hanno convinto i Giudici di piazza Cavour: infatti, a nulla è valso sottolineare che la contribuente aveva assunto “di fatto” la residenza anche prima dell'espletamento della pratica burocratica: “L'eventuale discrepanza tra la realizzazione fattuale dell'intento abitativo e l'assunzione della residenza anagrafica non può costituire strumento per l'elusione del termine normativamente previsto, secondo il costante orientamento di legittimità”. Insomma, non si può contestare ulteriormente: i benefici fiscali per l'acquisto della prima casa spettano solo a chi può dimostrare in base alle risultanze anagrafiche di risiedere o lavorare nel comune dove ha acquistato l'abitazione; pertanto, la Corte ha accolto il ricorso delle Entrate.