Medesimo valore probatorio tra le dichiarazioni rese da terzi e quelle dell'A.F.
21 Settembre 2016
Il giudice deve sempre valutare le dichiarazioni di terzi, specie se si tratta della moglie che sta attribuendo al proprio reddito i versamenti sospetti sul conto del marito. Lo spiegano i giudici della Corte di Cassazione, con la sentenza 14 settembre 2016 n. 18065.
Nel caso in esame, dopo un'indagine della GdF a carico di alcune società nelle quali risultava socio il ricorrente, erano stati rivenuti dei libretti e conti correnti nella disponibilità del contribuente. L'Agenzia delle Entrate rideterminava quindi il reddito, presumendo che si trattasse di redditi sottratti all'imposizione. Nella sentenza impugnata davanti alla Cassazione non si sarebbe tenuto conto che uno dei conti era cointestato alla moglie, e che, di conseguenza, solo metà dei versamenti sarebbe stata da ricondurre all'imputato.
Pur rigettando questa tesi, i Supremi Giudici hanno accolto il ricorso in un altro motivo. Secondo il ricorrente, la decisione di appello avrebbe infatti errato nel ritenere non valutabili le dichiarazioni scritte contenenti attestazioni di terzi in merito alla provenienza delle somme, giustificando che nel processo tributario non sono ammesse le prove testimoniali (e, nel caso in esame, non si trattava di prove di quel tipo).
Secondo i Giudici il motivo era fondato. Infatti, “il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il valore proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione, va riconosciuto non soltanto all'Amministrazione finanziaria, ma anche al contribuente, con il medesimo valore probatorio, dandosi così concreta attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell'art. 111 Cost. per garantire il principio della parità delle armi processuali nonché l'effettività del diritto di difesa”. |