Le spese per la costruzione di un complesso turistico su terreno in comodato non rientrano fra i beni ammortizzabili

La Redazione
21 Dicembre 2015

I Giudici della Cassazione hanno precisato che, in tema di IVA, il rimborso dell'eccedenza detraibile di imposta che l'art. 30, co. 3, lett. c), D.P.R. 633/72 consente al soggetto passivo spetta solo in relazione a beni strumentali e ammortizzabili di cui l'imprenditore possa disporre come proprietario, in quanto ne abbia acquistato la proprietà o altro diritto reale di godimento.

Con sentenza n. 24779, depositata in data 4 dicembre, la Suprema Corte, adita dall'Agenzia delle Entrate che ricorreva avverso l'annullamento di un diniego di rimborso dell'IVA, ha avuto modo di fornire preziose indicazioni sulla nozione di beni ammortizzabili a fini fiscali.

Nel caso di specie, in particolare, il contribuente aveva chiesto il rimborso in relazione alle spese sostenute per la costruzione di un complesso turistico su terreno detenuto in regime di comodato. La CTR, constatato preventivamente che il rimborso è previsto solo per gli acquisti relativi a beni ammortizzabili e che in difetto dell'individuazione ex lege di questi ultimi ai fini IVA occorre mutuare la relativa nozione dal TUIR, aveva accolto le ragioni del contribuente, attribuendo rilevanza decisiva alla “correlazione fra i beni e i servizi acquistati e l'attività esercitata dal soggetto passivo del tributo, nel senso che essi devono inerire (all'attività del) l'impresa, anche se non è richiesta l'utilizzazione immediata”. Alla stregua del ragionamento del giudice di appello, in tutti i casi in cui la strumentalità del bene non emerga in modo oggettivo, l'iscrizione in bilancio del bene tra le immobilizzazioni materiali costituisce un'indicazione precisa dell'imprenditore.

Le Entrate impugnano dunque la sentenza di appello, lamentando – fra le molteplici doglianze – un'errata e inconferente invocazione dell'art. 103 TUIR (ammortamento dei beni immateriali), in ipotesi in cui peraltro il rimborso non era stato chiesto in dichiarazione. Secondo la tesi dell'ufficio – sfociata nel presupposto diniego – l'IVA chiesta a rimborso non afferisce a beni ammortizzabili in quanto gli acquisti de quibus sarebbero da inquadrarsi contabilmente tra le immobilizzazioni materiali e il relativo onere da ricondursi alla categoria delle spese incrementative su beni di terzi.

I Giudici della Cassazione accolgono il ricorso, sulla scorta di un percorso ermeneutico che pare opportuno ricostruire in sintesi.

Giova innanzitutto prendere le mosse dal disposto di cui all'art. 30, D.P.R. 633/72: esso accorda infatti il diritto al rimborso dell'eccedenza detraibile risultante dalla differenza tra l'imposta a debito e il credito da detrazione, a condizione che il soggetto passivo d'imposta richieda il rimborso all'atto della presentazione della dichiarazione, e che l'imposta si riferisca ad acquisti di beni ammortizzabili.

Due sono dunque le condizioni indispensabili affinché si maturi il diritto al rimborso:

1. la formalizzazione dell'istanza, che avviene necessariamente in sede di dichiarazione annuale (cfr. Cass. civ., sez. trib., 20039/2011): in ciò si realizza il presupposto di esigibilità del credito per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso (Cass. civ., sez. trib., 20678/14). Al di là del tenore letterale della norma, simile correlazione è volta ad impedire la decadenza che altrimenti si determinerebbe per effetto dell'art. 21, D.Lgs. 546/1992 in soli due anni e non già dieci, ex art. 2946 c.c. ;

2. il credito deve afferire a beni ammortizzabili. In difetto di una corrispondente nozione rinvenibile in materia di IVA e secondo una comune chiave di lettura che non trova ostacoli nelle fonti interpretative comunitarie (l'art. 183 della Direttiva IVA rimette agli Stati membri di indicare le modalità per mezzo delle quali l'eccedenza di imposta può essere riportata a nuovo e può essere ammessa a rimborso), il concetto di bene ammortizzabile rilevante in quest'ottica viene tratto dalla disposizione che in tema di imposte dirette ne reca una sommaria enunciazione con riferimento ai beni materiali ovvero immateriali (artt. 102 e 103 TUIR): si tratta dunque di quei beni che – essendo destinati ad essere utilizzati nell'esercizio dell'impresa – si identificano con i beni strumentali, inidonei alla produzione di un reddito autonomo rispetto a quello del complesso aziendale in cui sono inseriti. Per generare un'eccedenza rimborsabile occorre altresì che il bene sia di uso durevole, qualificandosi così come bene ammortizzabile.

I beni in questione rientrano, ex art. 2424-bis, co. 1 c.c., tra gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente, e devono essere iscritti tra le immobilizzazioni ovvero all'attivo dello stato patrimoniale. Da qui la conclusione che, se i beni in relazione al cui acquisto si intenda reclamare il ristoro dell'IVA eccedente all'esito della liquidazione annuale, ancorché strumentali per non essere idonei ad alcuna utilizzazione autonoma rispetto al loro impiego imprenditoriale, non siano pure riconducibili alla categoria delle immobilizzazioni, gli stessi non saranno ammortizzabili e non consentiranno perciò di dar seguito al rimborso chiesto a mente dell'art. 30, co. 3, lett. c), D.P.R. 633/72.

La Suprema Corte accoglie dunque i rilievi delle Entrate: l'impugnata decisione di merito applica “la norma giusta ad una fattispecie sbagliata”, ritenendo erroneamente spettante il rimborso anche se i beni, in quanto destinati ad implementare l'attività imprenditoriale su un terreno detenuto a titolo di comodato, accedendo civilisticamente alla proprietà altrui, pur se strumentali all'esercizio dell'impresa non costituiscono dal punto di vista contabile immobilizzazioni e non rientrano perciò tra i cespiti ammortizzabili. Il rimborso, infatti, può essere richiesto per l'eccedenza derivante dall'acquisto di beni (strumentali e ammortizzabili) dei quali l'imprenditore possa disporre come proprietario (perché titolare di proprietà o di altro diritto reale di godimento).

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