L'area aperta ad un pubblico ristretto non può considerarsi privata: sì all'imposta pubblicitaria
22 Marzo 2017
Le aree aperte ad un determinato tipo di pubblico, preventivamente selezionato all'ingresso, non possono considerarsi private, ai fini della determinazione dell'imposta comunale sulla pubblicità. Lo sottolinea la Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 6915 del 17 marzo 2017.
Nel caso in esame, la contribuente impugnava cinque avvisi di accertamento aventi per oggetto il pagamento dell'imposta comunale sulla pubblicità. Oggetto della controversia le targhe pubblicitarie, che erano state esposte in corrispondenza dell'esercizio commerciale situato all'interno di un centro commerciale all'ingrosso aperto solamente ai possessori di Partita IVA.
La ricorrente si è rifatta all'art. 5 del D.Lgs. n. 507/1993, secondo il quale la diffusione di messaggi pubblicitari può essere tassata solamente se effettuata in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sostenendo che il centro commerciale in questione non poteva ritenersi aperto al pubblico in quanto ad esso potevano accedere soltanto i titolari di Partita IVA previamente identificati al centro di guardiania.
Sul punto l'opinione dei Giudici della Suprema Corte è stata che, in tema di imposta sulla pubblicità, può considerarsi luogo aperto al pubblico quello comunque accessibile, anche se nel rispetto di determinate condizioni, a chiunque si adegui al regolamento che ne disciplina l'ingresso. In altre parole, il presupposto impositivo può sempre individuarsi nel fatto che il messaggio pubblicitario, rapportato all'ubicazione dell'insegna, possa avere un indeterminato numero di destinatari, che diventano tali solo perché vengono a trovarsi in quel determinato luogo.
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