IVA per i compensi percepiti dopo la cessazione dell'attività

La Redazione
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22 Aprile 2016

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8059/2016, hanno statuito che i compensi percepiti dopo la cessazione dell'attività del professionista sono assoggettabili ad IVA.

Una nuova questione in tema di IVA giunge alle Sezioni Unite, questa volta è attinente all'imponibilità o meno al tributo del compenso di prestazione professionale percepito dopo la cessazione dell'attività, nel cui ambito la prestazione è stata effettuata.

Nella sentenza depositata lo scorso 21 aprile n. 8059, i Giudici risolvono la controversia sostenendo che il compenso di prestazione professionale è imponibile ai fini IVA, anche se percepito successivamente alla cessazione dell'attività, nel cui ambito la prestazione è stata effettuata, ad alla relativa formalizzazione.

Procediamo con ordine. La questione, di notevole importanza, prende avvio dall'impugnazione di un avviso di accertamento IRPEF, IRAP e IVA. Il contribuente aveva cessato l'esercizio della sua attività professionale anteriormente al conseguimento del relativo compenso e aveva ritenuto non legittima l'imposizione, più giusto era trattarli come redditi diversi e quindi fuori dal campo di applicazione dell'imposta. La CTR confermava le ragioni del contribuente sostenendo la non assoggettabilità ad IVA, difettando, al momento della riscosione, il presupposto soggettivo dell'imposta previsto dal combinato disposto dagli art. 1 e 5, D.P.R. n. 633/1972.

Le Entrate ricorrevano in Cassazione, lamentando che il giudice di seconde cure non aveva dato il giusto rilievo al fatto che la cessazione dell'attività professionale non escludeva, in ogni caso, la regolare fatturazione delle somme percepite e che risultavano inerenti all'attività esercitata dal professionista.

Come noto, l'obbligazione tributaria in campo IVA e, quindi, l'imponibilità a detti fini sono ricollegate al concorso di due presupposti:

  • oggettivo: realizzazione di operazioni di "cessione di beni" a titolo oneroso ovvero di "prestazione di servizi" verso corrispettivo;
  • soggettivo: possesso della qualità di imprenditore o di quella di esercente arte o professione del soggetto che pone in essere operazioni di cui al punto precedente.

Premessa indiscussa è che per le prestazioni di servizi, il verificarsi del presupposto oggettivo dell'imposizione IVA coincide con il momento del pagamento totale o parziale del corrispettivo. A tal proposito, infatti, l'art. 6 del D.P.R. n. 633/1972 dispone che – mentre le operazioni di cessione di beni, in assenza di fattura o di pagamento, vanno ricollegate al momento della loro esecuzione – le prestazioni di servizi, "si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo". Se la chiave di lettura fosse questa si evidenzia una presunzione di assoluta corrispondenza tra la data di percezione del corrispettivo e quella di esecuzione della prestazione.

Ma, i Supremi giudici, nella loro disamina rilevano che l'art. 6 cit. si pone in evidente contrasto con la disciplina comunitaria dell'IVA, di cui il D.P.R. n. 633/1972 costituisce trasposizione. Sia la sesta direttiva IVA (77/388/CEE), sia l'attuale direttiva 2006/112/CE, distinguono i tre diversi momenti impositivi dell'imposta:

  1. fatto generatore;
  2. esigibilità dell'imposta;
  3. pagamento dell'imposta.

Con particolare rilievo per il primo dei tre momenti, le direttive citate puntualizzano che il fatto generatore dell'imposta "s'identifica con l'effettuazione della cessione di beni ovvero con quella della prestazione di servizi, il cui verificarsi determina, di regola, anche l'esigibilità dell'imposta".

Coerentemente anche l'art. 90 direttiva 2006/112/CE, prevede che la mancata riscossione del corrispettivo in conseguenza dell'inadempimento o della risoluzione del contratto, verificatasi successivamente all'effettuazione dell'operazione, non elimina l'obbligazione tributaria. Sulla stessa linea è l'art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, prevede che la mancata riscossione del corrispettivo non comporta il venir meno dell'obbligazione tributaria, ma incide sull'imposta o comunque sulla base imponibile.

Alla luce di quanto finora detto, notiamo dunque che le Sezioni Unite hanno dato particolare rilievo al fatto generatore del tributo IVA che dev'essere identificato con la correlata imponibilità. Ciò comporta che i compensi di attività professionale, conseguiti dopo la cessazione dell'attività medesima, devono ritenersi assoggettati ad IVA, solo così si garantisce il principio cardine dell'imposta: ovvero la sua neutralità fiscale.

Il chiarimento sul punto della Cassazione copre una necessaria esigenza nomofilattica di rimuovere incertezze prevenendo così contrasti interpretativi.