Le Entrate devono sempre indicare le norme violate
22 Settembre 2015
Se l'Ufficio fornisce indicazioni generiche circa le norme eluse, il contribuente chiamato in giudizio non ha l'onere della prova di dimostrare la correttezza delle sue operazioni finanziarie. Lo hanno ricordato i Giudici della Cassazione, con la sentenza del 18 settembre 2015, n. 18354. Nella sentenza, i Giudici di Piazza Cavour hanno rigettato il ricorso presentato dall'Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione Tributaria Regionale, per il caso di una S.r.l. alla quale era stato notificato un recupero a tassazione IVA. Secondo quanto sostenuto dall'Amministrazione, il ricorso della società al contratto di agenzia per la distribuzione dei suoi prodotti altro non era che uno strumento per lucrare indebiti risparmi fiscali: la CTR, anche a non voler ritenere simulati i contratti di agenzia, avrebbe per lo meno dovuto ritenerli inopponibili all'Amministrazione Finanziaria, in applicazione del principio antielusivo in tema di tributi armonizzati. Il ricorso dell'Agenzia è stato però rigettato. “Con il ricorso per Cassazione, l'Agenzia muta radicalmente la propria linea difensiva assumendo che i contratti sono effettivamente di agenzia (e, quindi, non simulati) ma rientrano comunque in una condotta di elusione fiscale rilevabile d'ufficio dal Giudice”, premettono da piazza Cavour. Tuttavia, tale rilevabilità non deve far cadere nell'equivoco di non ritenere necessaria una “dettagliata indicazione degli elementi fattuali integranti la fattispecie di abuso”. Insomma, il legale avrebbe dovuto indicare le norme antielusive violate, oltre ad identificare il risparmio fiscale indebito. L'ultima considerazione degli Ermellini è che, in caso di contestazioni non dettagliate, il contribuente non deve dimostrare alcunché, né deve difendersi dall'accusa di illecite scelte imprenditoriali. |