La tassazione delle attività finanziarie: i regimi di imposizione fiscaleFonte: DPR 22 dicembre 1986 n. 917
24 Marzo 2017
I redditi di capitale: inquadramento sistematico
La potestà impositiva è il potere dello Stato di imporre al cittadino di contribuire alle spese pubbliche mediante il versamento di tributi e risulta intrinsecamente correlato, come osservato da autorevolissima dottrina, al «patto di convivenza in cui si riconosce di essere membri di una stessa comunità». Il citato principio solidaristico è attuato nel nostro ordinamento mediante l'imposizione diretta ed indiretta a cui i cittadini – contribuenti sono chiamati a concorrere.
Nel comparto delle imposte dirette la tassazione dei redditi personali attuata mediante l'IRPEF, disciplinata dal titolo I del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito anche Testo Unico delle Imposte sui Redditi o più semplicemente Tuir, o Testo Unico) che colpisce i flussi di ricchezza ascrivibili a ciascuna persona, infatti, il presupposto d'imposta, come definito dall'art. 1 del Tuir «(..) è il possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie indicate nell'art. 6 (Redditi fondiari, di capitale, di lavoro dipendente, di lavoro autonomo, d'impresa e redditi diversi)», possesso che ha un'accezione diversa da quanto stabilito dall'art. 1140 c.c., identificabile, secondo la Relazione Ministeriale all'art. 1 del d.P.R. n. 597/1973, nella mera disponibilità reddituale nel periodo d'imposta.
Ritornando ai principi generali del diritto tributario, il presupposto è sic et simpliciter il fatto che lega la manifestazione di ricchezza alla corretta imposizione fiscale, meglio definito dalla dottrina «come il fatto o la circostanza al cui verificarsi la legge ricollega la nascita dell'obbligazione tributaria», che per soggetti residenti è il possesso di redditi ovunque detenuti annoverabili nelle richiamate categorie, mentre per i non residenti è costituito unicamente dai redditi prodotti nel territorio dello Stato.
Il Testo Unico reca delle puntuali definizioni delle categorie reddituali, ad eccezione dei redditi di capitale e dei redditi diversi, attesa l'eterogeneità degli elementi che possono generare tali componenti. Peculiarità degli asset generatori di rendite finanziarie e capital gain è l'estrema mobilità degli stessi, di conseguenza il legislatore si è preoccupato di rendere l'imposizione semplificata e più conveniente rispetto alla tassazione delle altre categorie reddituali, con previsione di esenzioni parziali degli indicati redditi e meccanismi di imposizione sostitutiva.
Tali redditi sono definibili quali i frutti economici derivanti dall'impiego di capitale al di fuori dell'esercizio dell'impresa, tuttavia sebbene manchi un'esplicita definizione della categoria, l'art. 44 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 effettua una elencazione, non esaustiva in forza della quale costituiscono certamente redditi di capitale:
Il comma 2 del medesimo articolo definisce redditi di capitale anche i proventi rivenienti da titoli assimilati alle azioni, «la cui remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell'affare in relazione al quale i titoli e gli strumenti finanziari sono stati emessi». Qualora tali titoli siano emessi da enti non residenti, si considerano assimilabili alle azioni a condizione che i relativi proventi siano indeducibili dal reddito dell'emittente e, come esplicitamente specificato dall'Agenzia delle Entrate, con Circolare 8 gennaio 2006, n. 4 : «ai fini dell'assimilazione alle azioni, le partecipazioni nonché gli strumenti finanziari emessi da soggetti non residenti devono presentare le seguenti caratteristiche:
La modifica è finalizzata, pertanto, ad attribuire alle remunerazioni derivanti da titoli e strumenti finanziari di fonte estera il regime fiscale previsto dall'ordinamento interno per gli utili nel presupposto che gli stessi siano considerati tali anche nel Paese del soggetto erogante e ciò al fine di evitare salti d'imposta ovvero fenomeni di doppia esclusione dal reddito».
L'indicata restrizione è finalizzata ad evitare il rischio che somme erogate in favore di possessori di strumenti ibridi possano essere dedotti nello stato della fonte ed essere oggetto di parziale imposizione in Italia. La novella normativa, introdotta dal D.Lgs. n. 344/2003, in modo difforme da quanto interpretato nella precedente disciplina (si veda anche Agenzia delle Entrate, Circolare 26 giugno 2004, n. 26), non richiede più che i titoli abbiano caratteristica di “equity” al fine di fruire del trattamento fiscale predetto
Sul punto val la pena evidenziare ricorda che già a partire dal 2012 (Comunicato del 14 maggio 2012 del MEF, Dipartimento delle finanze) è stata posta particolare attenzione in sede OCSE al contrasto ai c.d. hybrid mismatch arrangements con lo scopo di introdurre a livello internazionale disposizioni di contrasto a pratiche di sfruttamento della differente qualificazione giuridica di taluni strumenti partecipativi nelle diverse nazioni. Accade sovente che il medesimo strumento possa essere qualificato in uno stato come debito e in un altro come equity, con effetti distorsivi di natura fiscale. L'OCSE ha pubblicato il 5 ottobre 2015 l'Action Plan 2, con l'obiettivo di ridurre tali effetti, consigliando alcune linee guida che gli stati aderenti dovranno adottare nella legislazione nazionale e negli accordi contro le doppie imposizioni. Ritornando ai redditi di capitale si osserva che i medesimi sono imputati nel periodo d'imposta di percezione, secondo il cosiddetto “principio di cassa”, ad eccezione dei proventi soggetti all'eventuale opzione per il risparmio gestito (Art. 73, comma 2, ultimo periodo del Tuir «Nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell'atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi, ovvero, in mancanza, in parti uguali»), analizzata nel corso del presente scritto, nonché degli interessi derivanti da capitali dati a mutuo che si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuita. Un'ulteriore deroga al principio di cassa è stata introdotta per i redditi imputati ai beneficiari dei trust c.d. trasparenti, in proporzione alla quota individuata nel deed of trust o, in mancanza, in parti uguali, secondo quanto stabilito dall'art. 73, comma 2 del Tuir, secondo un principio analogo a quello della trasparenza ex art. 5 del Tuir.
La base imponibile dei redditi di capitale è costituita dall'ammontare lordo degli interessi, utili o altri proventi percepiti nel periodo d'imposta. Non viene riconosciuta ope legis alcuna deduzione ed inoltre sono ricompresi in tale categoria anche le differenze positive tra la somma percepita o il valore normale dei beni ricevuti a scadenza del titolo o della gestione ed il prezzo di emissione dello stesso, ovvero la somma affidata al gestore.
Per completezza espositiva si rammenta che solo gli interessi e i frutti derivanti dall'impiego di capitale sono annoverati in questa categoria, infatti, l'art. 6 del Testo Unico stabilisce che «Gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati», di conseguenza gli interessi derivanti da un credito commerciale rientrano nei redditi d'impresa e non in quelli di capitale.
I redditi diversi su strumenti finanziari: tassazione del capital gain
La detenzione di attività finanziarie al di fuori dell'esercizio dell'impresa può far emergere anche differenziali annoverabili tra redditi diversi di natura finanziaria, disciplinati dall'art. 67 del TUIR, originati dalla negoziazione di strumenti finanziari (c.d. Capital Gain), o anche redditi finanziari derivanti da eventi aleatori od incerti, diversi dalle indennità conseguite anche in forma assicurativa a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi che, in forza del precitato art. 6, costituiscono sempre redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Costituiscono redditi diversi di natura finanziaria anche le plusvalenze derivanti da cessioni a titolo oneroso (ai sensi dell'art. 9, comma 5, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917: «Ai fini delle imposte sui redditi le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento e per i conferimenti in società». Inoltre, il come chiarito dalla prassi, sono considerate cessioni a titolo oneroso le compravendite e pronti e a termine, nonché le permute di partecipazioni.) di partecipazioni qualificate e non qualificate, di obbligazioni e quote di fondi comuni d'investimento e di titoli atipici, di valute estere e di metalli preziosi, nonché, in via residuale le plusvalenze e gli altri proventi finanziari su rapporti da cui derivano da redditi di capitale, su crediti e strumenti finanziari ovvero da differenziali di natura finanziaria derivanti da eventi aleatori. La nozione di partecipazioni e assimilati è contenuta nell'art. 67, comma 1, lett. c del TUIR, definite come quote di capitale o patrimonio di società commerciali, società di persone ed enti residenti e non residenti. Inoltre, risulta molto importante da un punto di vista tributario distinguere la categoria di partecipazioni qualificate da quelle non qualificate, in quanto, come sarà di seguito esposto, varia il trattamento fiscale delle plusvalenze e delle minusvalenze realizzate, con la conseguenza che le prime concorrono al reddito del percipiente, mentre le seconde sono soggette ad imposta sostitutiva e non concorrono al reddito (e quindi non determinano incrementi dell'aliquota marginale applicabile) del beneficiario. Una partecipazione o cointeressenza è qualificata se rappresenta alternativamente:
In virtù di tale disposizione, una cessione si definisce qualificata, allorquando superi le soglie suindicate, tuttavia in caso di cessioni frazionate, si deve far riferimento al complesso di trasferimenti effettuate nei 12 mesi precedenti, in quanto tassabili unitariamente nel periodo d'imposta nel quale si è verificata l'ultima cessione utile al superamento di dette percentuali di voti o di patrimonio.
Ai fini fiscali per determinarsi una cessione qualificata è sufficiente che un contribuente abbia posseduto, anche per un solo giorno, una partecipazione superiore ai limiti per l'identificazione di una partecipazione qualificata, dovendosi computare all'interno del “conto” anche l'eventuale usufrutto sulle quote o sulle azioni, da computare ai diritti di voto o di compartecipazione al capitale/patrimonio (Agenzia delle Entrate, Risoluzione 16 maggio 2006, n. 65/E, Circolare 19 febbraio 2008, n. 12/E). Il legislatore ha previsto fattispecie di esenzione da capital gain per la fattispecie contemplata dall'art. 3 sulle plusvalenze realizzate a seguito della cessione di partecipazioni in società in start up residenti in Italia (di capitali o di persone commerciali), a condizione che le partecipate siano detenute da almeno tre anni e le stesse non risultino costituite da oltre sette anni e che le plusvalenze stesse siano reinvestite entro due anni in società commerciali residenti che svolgono la stessa attività, costituite da non oltre tre anni. Una disposizione di complessa applicazione è contemplata nell'art. 68, comma 6, del Tuir, sui capital gain manifestati su valute estere. La disposizione considera quale fatto generatore di redditi diversi non solo la cessione, ma anche il semplice prelevamento di valute estere da conti correnti, qualora la giacenza superi per almeno sette giorni consecutivi nel periodo d'imposta il valore di € 51.645,69. In caso di prelevamento, in assenza di documentazione il costo è assunto sulla base del minore dei cambi mensili accertati con provvedimento dell'Agenzia delle entrate, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
Il D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461 ha attuato il contemporaneo riordino della tassazione dei redditi di capitale e dei redditi diversi finanziari, mediante l'introduzione di ritenute a titolo d'imposta applicate da parte dell'emittente all'atto dell'erogazione dei proventi qualificati come redditi di capitale e di imposte sostitutive sui redditi rivenienti da capital gain (sono escluse da detta normativa sia le plus/minusvalenze su partecipazioni qualificate, che quelle su partecipazioni non quotate residenti in paradisi fiscali e da ultimo sui a contratti di associazione in partecipazione che non presentano i requisiti atti ad assimilarle ad azioni).
Tale riassetto seguiva la delega al Governo introdotta con la L. 23 dicembre 1996, n. 662 e avvalorava ulteriormente quanto già istituito nel Tuir, ossia che i redditi di capitale derivano da un mero impiego/gestione statica del patrimonio, mentre la gestione dinamica del patrimonio mediante investimenti e disinvestimenti è idonea a manifestare incrementi di ricchezza annoverabili tra i redditi diversi.
La novella legislativa aveva introdotto nella sostanza due aliquote principali per i redditi di capitale (art. 12 del D.Lgs. n. 461/1997), con lo scopo successivamente di unificarle, come effettivamente è avvenuto a partire dal 2011.
Le aliquote originarie erano le seguenti:
Medesime aliquote erano previste dall'art. 5 del medesimo decreto, infatti:
La base imponibile su cui applicare le indicate imposte risulta costituita dalla sommatoria algebrica delle plusvalenze e delle minusvalenze realizzate sui richiamati titoli e valori mobiliari. L'emersione di un'eccedenza negativa comporta la deducibilità della stessa nei successivi periodi d'imposta, non oltre il quarto per l'importo che trova capienza nei redditi maturati. La revisione della tassazione su rendite finanziarie e capital gain, attuata con il D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con L. 14 settembre 2011, n. 148 ha prima introdotto un'aliquota unica, a partire dal primo gennaio 2012, fissata in misura pari al 20% e, gli artt. 3 e 4 del D.L. legge 24 aprile 2014, n. 66 convertito, con modificazioni, dalla Legge 23 giugno 2014, n. 89 hanno fissato un'aliquota unica al 26%, a partire dal 1° luglio 2014, che hanno tra l'altro reso necessario interventi legislativi mirati a disciplinare il trattamento delle perdite fiscali residue, senza alcuna deroga ai limiti di riportabilità quadriennale delle stesse.
All'uopo si osserva che le compensazioni tra minusvalenze, perdite e differenziali negativi su redditi finanziari realizzati sino al 31 dicembre 2011 e ancora residui alla data del 1° gennaio 2012, risultavano scomputabili dai differenziali positivi della medesima categoria, realizzati a partire dal 2012 sino alla data del 30 giugno 2014, in misura pari al 62,5 percento del loro ammontare. Le minusvalenze realizzate ai sensi dell'art. 67, comma 1, lett. da c - bis) a c – quinquies) risultano oggi compensabili dalle plusvalenze, come previsto dall'art. 3 del D.L. 66/2014 per una quota pari al:
Il legislatore tuttavia ha previsto misure di favore previste per talune fattispecie ritenute di interesse pubblico e/o meritevoli di particolare tutela con la previsione dell'aliquota sui redditi di capitale in misura pari al 12,50% prevista per gli interessi, i premi e gli altri frutti dei titoli del debito pubblico italiano, i buoni postali di risparmio, le cartelle di credito comunale e provinciale emesse dalla Cassa depositi e prestiti, le altre obbligazioni e titoli similari emessi da amministrazioni statali, anche con ordinamento autonomo, da regioni, province e comuni e da enti pubblici. Stesso trattamento fiscale è garantito alle obbligazioni emesse da Stati esteri white list e dagli enti territoriali dei medesimi, alle obbligazioni di progetto (c.d. project bond). Per quanto stabilito dall'art. 3, comma 2, lett. c) del decreto, si continua ad applicare l'aliquota del 5 percento sui proventi riveniente dai titoli ex art. 8, comma 4, del D.L. n. 70/2011, c.d. titoli di risparmio per l'economia meridionale.
Medesimo trattamento fiscale risulta applicabile ai redditi di capitale derivanti da contratti di riporto, pronti contro termine e prestito titoli, aventi ad oggetto titoli di Stato e titoli equiparati, nonché ai redditi diversi di cui all'art. 67, comma 1, lettera c-ter), del TUIR derivanti dalla cessione o dal rimborso dei citati titoli, eccetto che per i project bond, infatti, secondo la prassi tale agevolazione non si estende su questi strumenti né sugli altri redditi di capitale e neppure sui capital gain, dovendosi concludere che restano incisi da un'imposta pari al 26 percento. Per completezza espositiva si ricorda che la Legge di Bilancio 2017 ha introdotto all'art. 1, commi da 100 a 114 l'esenzione fiscale per i redditi di capitale e diversi rivenienti dai piani di investimento a lungo termine (c.d. PIR), detenuti per almeno 5 anni da persone fisiche residenti nel territorio dello Stato, attuati mediante l'apertura di un rapporto di custodia o amministrazione, anche fiduciaria, o di gestione portafogli in regime amministrato o di un contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione acceso con investitori istituzionale. Le somme destinate non possono superare i 30 000 euro all'anno e non possono superare il limite complessivo di 150.000 euro. Gli investimenti dei PIR sono orientati verso le PMI, infatti, almeno il 70% del valore complessivo dei PIR deve essere investito in strumenti finanziari emessi o stipulati da imprese residenti in Italia o in Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti allo Spazio Economico Europeo aventi attività stabile in Italia e che svolgono attività diverse da quella immobiliare. Un'aliquota di tale quota deve essere obbligatoriamente investita in strumenti finanziari emessi da imprese diverse da quelle inserite nell'indice FTSE Mib di Borsa Italiana e/o equivalenti mercati regolamentati. In ciascun anno solare il peso degli strumenti finanziari di un singolo emittente non può superare il 10% del totale del PIR. La tassazione delle plusvalenze derivanti dalla negoziazione di titoli di Stato e similari continua ad essere garantita in misura pari al 12,50 percento mediante imponibilità parziale delle stesse, infatti, fino al 30 giugno 2014 i capital gain su detti strumenti rilevavano in misura pari al 62,5%, garantendo de facto la suindicata aliquota (pari a 20% x 62,50% = 12,50%), mentre a partire dal 1° luglio 2014 la quota imponibile è scesa al 48,08 percento che garantisce la medesima il medesimo risultato (48,08% x 26% = 12,50%).
Inoltre il D.lgs 461/1997 ha introdotto i regimi impositivi e dichiarativi dei capital gain, che saranno di seguito analizzati, definiti come:
i) Regime analitico o della Dichiarazione; ii) Regime del Risparmio Amministrato; iii) Regime del Risparmio Gestito. Regime analitico o della dichiarazione
Il regime della dichiarazione è il regime naturale di tassazione dei soggetti residenti dei capital gain e degli utili conseguiti al di fuori dell'esercizio dell'impresa, arti o professioni, ed è obbligatorio nel caso in cui tali proventi siano riferibili a partecipazioni di natura qualificata. Il regime si caratterizza per la “tassazione al realizzo” dei redditi di capitale che avviene mediante ritenute a titolo di imposta su interessi e utili erogati. La base imponibile è costituita dalla sommatoria delle plusvalenze finanziarie realizzate su partecipazioni non qualificate e su altri titoli e valori da cui derivano capital gain, al netto delle relative minusvalenze conseguite nell'annualità oggetto di dichiarazione e nei quattro anni antecedenti, secondo le regole analizzate nel precedente paragrafo. L'eventuale differenziale positivo è soggetto ad imposta sostitutiva con aliquota pari al 26%. Qualora il risultato complessivo fosse una perdita, la stessa di considera riportabile negli anni successivi non oltre il quarto. Gli utili e le plusvalenze al netto delle relative minusvalenze realizzate a titolo oneroso su partecipazioni qualificate risultano imponibili per il 49,72%, secondo le aliquote progressive del percettore (anche in tal caso le eventuali eccedenze di minusvalenze sono riportabili negli anni d'imposta successivi, non oltre il quarto), ad eccezione dei redditi che provengono da partecipazioni di controllo dirette ed indirette in enti e società black list che in forza della CFC Rule si considerano attribuite ai partecipanti, fatte salve le esimenti previste dall'art. 167 del Tuir, alla chiusura del periodo di gestione della partecipata.
Nel regime della dichiarazione si considerano cedute per prime le partecipazioni acquistate in data più recente, secondo il sistema del Lifo. Il versamento delle imposte sostitutive sui redditi diversi finanziari è effettuato nei termini ordinari previsti per le imposte sui redditi, viceversa, i redditi di capitale o diversi derivanti da partecipazioni qualificate sono sottoposte ad IRPEF e versate le ordinarie modalità. Regime del risparmio amministrato
Il regime del risparmio amministrato (l' Agenzia delle Entrate, Circolare 10 dicembre 2004, n, 52/E ha definito il «il regime del risparmio amministrato, disciplinato dall'art. 6 del D.Lgs. n. 461/1997, caratterizzato dalla tassazione ad opera di intermediari abilitati, dietro specifica opzione da parte del contribuente, in base al realizzo dei redditi diversi di natura finanziaria. Tale regime prevede la possibilità di compensare le plusvalenze con le minusvalenze precedentemente conseguite presso lo stesso intermediario e di riportare a nuovo le eccedenze negative»), introdotto dall'art. 6 del D.Lgs. n. 461/1997 costituisce un regime opzionale dei capital gain conseguiti da soggetti residenti, a seguito di conferimento di apposito mandato agli intermediari abilitati (banche e sim residenti e non residenti con stabile organizzazione, società fiduciarie statiche di cui alla L. 1966/1939, Poste Italiane S.p.A., agenti di cambio iscritti al ruolo unico nazionale ed S.G.R.) presso i quali il contribuente intrattiene rapporti di custodia, amministrazione e deposito. Tale sistema di imposizione costituisce regime naturale (senza necessità quindi di specifica opzione) per i soggetti non residenti nel territorio dello Stato.
L'opzione necessita di apposita comunicazione, per la quale non sono previste particolari formalità e può essere effettuata contestualmente al conferimento dell'incarico all'intermediario e all'apertura del deposito o del conto corrente ovvero, per i rapporti già in essere, in qualsiasi momento dell'anno, ma in quest'ultimo caso, analogamente al caso della revoca, l'effetto è posticipato al periodo d'imposta successivo. Tale modalità di tassazione risulta applicabile ai redditi diversi di natura finanziaria, con esclusione di quelli relativi a depositi in valuta e partecipazioni qualificate che devono seguire tassativamente il regime della dichiarazione. L'opzione relativa a capital gain su valute, metalli preziosi, contratti a termine ecc. può essere esercitata solo ove intervengano nei predetti rapporti o cessioni, i soggetti appositamente individuati dalla normativa vigente, in qualità di intermediari professionali o controparti.
In ossequio al principio di cassa, si determina l'imponibilità fiscale della plusvalenze solamente con il realizzo dell'operazione, tuttavia ai fini della determinazione della base imponibile, l'intermediario deve provvedere all'eventuale scomputo delle minusvalenze, secondo le regole indicate nei precedenti paragrafi, determinatesi con le precedenti cessioni ed utilizzabili nelle quattro annualità successive. L'intermediario, poi provvede al versamento della relativa imposta con aliquota sostitutiva del 26%. Sono assimilati a cessioni a titolo oneroso i trasferimenti di titoli in regime amministrato a rapporti della stessa natura intestati a soggetti diversi, ovvero i prelievi da rapporti e i trasferimenti intestati al medesimo soggetto in regime di risparmio gestito, in tal caso il provento, la minusvalenza o perdita realizzate sono determinati con riferimento al valore corrente, alla data del trasferimento, degli strumenti finanziari. I titolari del rapporto sono tenuti a fornire apposita provvista utile al versamento dell'imposta, infatti, gli intermediari possono sospendere l'esecuzione delle operazioni fino al momento in cui non ottengano dal contribuente provvista per il versamento dell'imposta dovuta. Nei casi appena analizzati gli intermediari rilasciano al contribuente apposita certificazione di valore degli strumenti finanziari trasferiti. Nel risparmio amministrato, l'imposta è applicata a titolo definitivo dall'intermediario finanziario che provvede a versarla entro il quindicesimo giorno del secondo mese successivo alla sua applicazione e non comporta per l'investitore oneri amministrativi e contabili, in quanto esonerato dalla dichiarazione di tale reddito, potendo mantenere l'anonimato fiscale, ad eccezione dei trasferimenti ad altri soggetti, dei prelievi e delle chiusure di rapporti di amministrazione che secondo quanto stabilito dalle istruzioni al modello per i sostituti d'imposta sono oggetto di apposita segnalazione [Analoga segnalazione è prevista anche nei trasferimenti verso intermediari non residenti ancorché provenienti da rapporti in regime di risparmio amministrato o gestito, purchè non comunicate ai sensi dell'art. 167/1990 (norma sul monitoraggio fiscale) nel quadro RW del Modello UNICO Persone Fisiche]. Come già segnalato il contribuente, ai sensi dell'art. 6, comma 8, del medesimo decreto, non può avvalersi di tale regime per partecipazioni qualificate, infatti, l'investitore è tenuto a monitorare e comunicare all'intermediario il superamento dei limiti di partecipazioni entro quindici giorni, se quest'ultimo risulta impossibilitato alla verifica del superamento delle soglie sulla base delle informazioni in possesso. L'indebito esercizio dell'opzione e l'omessa comunicazione delle nuove soglie è soggetto a sanzione amministrativa dal 2 al 4 per cento del valore delle partecipazioni, titoli o diritti posseduti alla data della violazione.
Regime del risparmio gestito
Il regime del risparmio gestito introdotto per le gestioni individuali di portafogli è disciplinato dall'art. 7 del D.Lgs. n. 461/1997 e costituisce un regime opzionale avente quale presupposto il conferimento ad intermediario abilitato di un mandato di gestione patrimoniale. In deroga all'ordinario principio di cassa, tale sistema incide l'incremento di valore del patrimonio, c.d. risultato della gestione, nel periodo di competenza, «al netto dei redditi esenti e di quelli già tassati ad altro titolo».
Al pari del regime del risparmio amministrato, possono avvalersi di tale modalità di tassazione i soggetti che detengono partecipazioni non qualificate (escluse le partecipazioni e le cointeressenze in soggetti residenti in paradisi fiscali che devono essere necessariamente riportati in dichiarazione) e quote finanziarie detenute al di fuori del regime d'impresa che conferiscono il mandato di gestione agli intermediari individuati dal D.M. 31 marzo 1999 che sono così individuati:
Normalmente i proventi di capitale immessi nella gestione non sono assoggettati a ritenute a titolo di acconto, infatti, per determinate fattispecie la massa patrimoniale assume la posizione di "lordista" del gestito in relazione ai redditi di capitale e diversi che concorrono a formare il risultato imponibile della gestione, che rientrano nel coacervo dei redditi di gestione su cui l'intermediario liquida l'imposta sostitutiva in misura pari al 26%. Anche in questo caso è garantito l'anonimato fiscale del titolare dei redditi in quanto gli oneri amministrativi e di liquidazione delle imposte sono di competenza dell'intermediario che provvede al versamento delle stesse entro il giorno 16 febbraio di ciascun anno ovvero, in caso di revoca del mandato di gestione, entro il quindicesimo giorno del secondo mese successivo a quello in cui tale revoca è avvenuta. Si ricorda che qualora il contribuente non fornisca la provvista necessaria al pagamento delle imposte è consentito all'intermediario, anche in deroga ai regolamenti di gestione, disinvestire parte del patrimonio per poter far fronte all'imposta sostitutiva. La base imponibile su cui è calcolata l'imposta (risultato di gestione) e si determina sottraendo dal valore del patrimonio gestito al termine di ciascun anno solare, al lordo dell'imposta sostitutiva, aumentato dei prelievi e diminuito di conferimenti effettuati nell'anno, i redditi maturati nel periodo e soggetti a ritenuta, i redditi che concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente, i redditi esenti o comunque non soggetti ad imposta maturati nel periodo, ed il valore del patrimonio stesso all'inizio dell'anno. Il risultato è computato al netto degli oneri e delle commissioni relative al patrimonio gestito. Si ricorda che le obbligazioni ed i titoli di stato sono computati in misura pari al 48,08 percento. Nel caso in cui il risultato della gestione fosse negativo, il corrispondente importo potrebbe essere computato in diminuzione del risultato della gestione dei periodi d'imposta successivi ma non oltre il quarto per l'intero importo che trova capienza in essi. Anche in questo caso il contribuente, ai sensi dell'art. 7, comma 14, del medesimo decreto, non può avvalersi di tale regime per partecipazioni qualificate e l'investitore è tenuto a monitorare e comunicare all'intermediario il superamento dei limiti di partecipazioni entro quindici giorni, ogniqualvolta quest'ultimo sia impossibilitato alla verifica del superamento delle soglie sulla base delle informazioni in possesso. L'indebito esercizio dell'opzione e l'omessa comunicazione del superamento delle soglie di partecipazione è soggetto a sanzione amministrativa dal 2 al 4 per cento del valore delle partecipazioni, titoli o diritti posseduti alla data della violazione.
Bibliografia
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