La tassazione delle attività finanziarie: i regimi di imposizione fiscale

24 Marzo 2017

I redditi derivanti da investimenti finanziari si caratterizzano per la loro liquidità che fanno sì che possano essere riallocati in territori diversi da quelli del percipiente. Il legislatore si è quindi più volte scontrato con esigenze di competitività fiscale e di equità sostanziale del sistema tributario. Il presente contributo ha quale obiettivo l'analisi della fiscalità finanziaria in capo agli investitori e la sua evoluzione nel tempo.
I redditi di capitale: inquadramento sistematico

La potestà impositiva è il potere dello Stato di imporre al cittadino di contribuire alle spese pubbliche mediante il versamento di tributi e risulta intrinsecamente correlato, come osservato da autorevolissima dottrina, al «patto di convivenza in cui si riconosce di essere membri di una stessa comunità».

Il citato principio solidaristico è attuato nel nostro ordinamento mediante l'imposizione diretta ed indiretta a cui i cittadini – contribuenti sono chiamati a concorrere.

Nel comparto delle imposte dirette la tassazione dei redditi personali attuata mediante l'IRPEF, disciplinata dal titolo I del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito anche Testo Unico delle Imposte sui Redditi o più semplicemente Tuir, o Testo Unico) che colpisce i flussi di ricchezza ascrivibili a ciascuna persona, infatti, il presupposto d'imposta, come definito dall'art. 1 del Tuir «(..) è il possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie indicate nell'art. 6 (Redditi fondiari, di capitale, di lavoro dipendente, di lavoro autonomo, d'impresa e redditi diversi)», possesso che ha un'accezione diversa da quanto stabilito dall'art. 1140 c.c., identificabile, secondo la Relazione Ministeriale all'art. 1 del d.P.R. n. 597/1973, nella mera disponibilità reddituale nel periodo d'imposta.

Ritornando ai principi generali del diritto tributario, il presupposto è sic et simpliciter il fatto che lega la manifestazione di ricchezza alla corretta imposizione fiscale, meglio definito dalla dottrina «come il fatto o la circostanza al cui verificarsi la legge ricollega la nascita dell'obbligazione tributaria», che per soggetti residenti è il possesso di redditi ovunque detenuti annoverabili nelle richiamate categorie, mentre per i non residenti è costituito unicamente dai redditi prodotti nel territorio dello Stato.

Il Testo Unico reca delle puntuali definizioni delle categorie reddituali, ad eccezione dei redditi di capitale e dei redditi diversi, attesa l'eterogeneità degli elementi che possono generare tali componenti. Peculiarità degli asset generatori di rendite finanziarie e capital gain è l'estrema mobilità degli stessi, di conseguenza il legislatore si è preoccupato di rendere l'imposizione semplificata e più conveniente rispetto alla tassazione delle altre categorie reddituali, con previsione di esenzioni parziali degli indicati redditi e meccanismi di imposizione sostitutiva.

Tali redditi sono definibili quali i frutti economici derivanti dall'impiego di capitale al di fuori dell'esercizio dell'impresa, tuttavia sebbene manchi un'esplicita definizione della categoria, l'art. 44 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 effettua una elencazione, non esaustiva in forza della quale costituiscono certamente redditi di capitale:

  • interessi e altri proventi derivanti da mutui depositi e conti correnti;
  • interessi e altri proventi delle obbligazioni e titoli similari, degli altri titoli diversi dalle azioni e titoli similari, nonché dei certificati di massa;
  • rendite e prestazioni annue perpetue;
  • compensi per fidejussioni o altre garanzie;
  • utili derivanti dalla partecipazione in società ed enti soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche, con esclusione di quelli spettanti ai promotori e ai soci fondatori di società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata;
  • utili derivanti da associazioni in partecipazione e dai contratti di cointeressenza ad esclusione dei contratti con solo apporto di lavoro;
  • proventi derivanti dalla gestione di masse patrimoniali, da riporti e pronti contro termine su titoli e valute, da mutuo di titoli garantito;
  • redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita o capitalizzati;
  • redditi derivanti dai rendimenti delle prestazioni pensionistiche complementari;
  • redditi imputati ai beneficiari dei trust;
  • interessi e altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l'impiego del capitale, ad esclusione di quelli i cui differenziali (positivi e negativi) possano essere realizzati in dipendenza di un evento incerto, in quanto classificati tra i redditi diversi.

Il comma 2 del medesimo articolo definisce redditi di capitale anche i proventi rivenienti da titoli assimilati alle azioni, «la cui remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell'affare in relazione al quale i titoli e gli strumenti finanziari sono stati emessi».

Qualora tali titoli siano emessi da enti non residenti, si considerano assimilabili alle azioni a condizione che i relativi proventi siano indeducibili dal reddito dell'emittente e, come esplicitamente specificato dall'Agenzia delle Entrate, con Circolare 8 gennaio 2006, n. 4 : «ai fini dell'assimilazione alle azioni, le partecipazioni nonché gli strumenti finanziari emessi da soggetti non residenti devono presentare le seguenti caratteristiche:

  1. la relativa remunerazione deve essere costituita esclusivamente da utili, ossia essere rappresentativa di una partecipazione ai risultati economici della società emittente (di società appartenenti allo stesso gruppo o dell'affare in relazione al quale gli strumenti finanziari sono stati emessi);
  2. tale remunerazione deve essere totalmente indeducibile dal reddito della società emittente secondo le regole proprie vigenti nel Paese estero di residenza.

La modifica è finalizzata, pertanto, ad attribuire alle remunerazioni derivanti da titoli e strumenti finanziari di fonte estera il regime fiscale previsto dall'ordinamento interno per gli utili nel presupposto che gli stessi siano considerati tali anche nel Paese del soggetto erogante e ciò al fine di evitare salti d'imposta ovvero fenomeni di doppia esclusione dal reddito».

L'indicata restrizione è finalizzata ad evitare il rischio che somme erogate in favore di possessori di strumenti ibridi possano essere dedotti nello stato della fonte ed essere oggetto di parziale imposizione in Italia. La novella normativa, introdotta dal D.Lgs. n. 344/2003, in modo difforme da quanto interpretato nella precedente disciplina (si veda anche Agenzia delle Entrate, Circolare 26 giugno 2004, n. 26), non richiede più che i titoli abbiano caratteristica di “equity al fine di fruire del trattamento fiscale predetto

In evidenza:
Si noti che sono assoggettati alla stessa disciplina fiscale anche le associazioni in partecipazione con soggetti non residenti ed il cui apporto è costituito da capitale, la Circolare 8 gennaio 2006, sul punto testualmente afferma: «Per uniformità di trattamento, la medesima disciplina riservata agli utili derivanti da partecipazioni estere è estesa alle associazioni in partecipazione in cui l'associante è non residente. Infatti, l'art. 2, comma 2, lett. a), n. 3), del Decreto ha aggiunto un periodo al comma 2 dell'art. 47, del T.U.I.R., in base al quale la remunerazione percepita dall'associato è assimilata all' utile sempreché la stessa sia totalmente indeducibile nella determinazione del reddito nello Stato estero di residenza dell'associante e a condizione che tale indeducibilità risulti da una dichiarazione di quest'ultimo o da altri elementi certi e precisi.

Sul punto val la pena evidenziare ricorda che già a partire dal 2012 (Comunicato del 14 maggio 2012 del MEF, Dipartimento delle finanze) è stata posta particolare attenzione in sede OCSE al contrasto ai c.d. hybrid mismatch arrangements con lo scopo di introdurre a livello internazionale disposizioni di contrasto a pratiche di sfruttamento della differente qualificazione giuridica di taluni strumenti partecipativi nelle diverse nazioni. Accade sovente che il medesimo strumento possa essere qualificato in uno stato come debito e in un altro come equity, con effetti distorsivi di natura fiscale. L'OCSE ha pubblicato il 5 ottobre 2015 l'Action Plan 2, con l'obiettivo di ridurre tali effetti, consigliando alcune linee guida che gli stati aderenti dovranno adottare nella legislazione nazionale e negli accordi contro le doppie imposizioni.

Ritornando ai redditi di capitale si osserva che i medesimi sono imputati nel periodo d'imposta di percezione, secondo il cosiddetto “principio di cassa”, ad eccezione dei proventi soggetti all'eventuale opzione per il risparmio gestito (Art. 73, comma 2, ultimo periodo del Tuir «Nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell'atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi, ovvero, in mancanza, in parti uguali»), analizzata nel corso del presente scritto, nonché degli interessi derivanti da capitali dati a mutuo che si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuita.

Un'ulteriore deroga al principio di cassa è stata introdotta per i redditi imputati ai beneficiari dei trust c.d. trasparenti, in proporzione alla quota individuata nel deed of trust o, in mancanza, in parti uguali, secondo quanto stabilito dall'art. 73, comma 2 del Tuir, secondo un principio analogo a quello della trasparenza ex art. 5 del Tuir.

In evidenza:
Agenzia delle Entrate, Circolare 6 agosto 2007, n. 48/E: «L'art. 73 dispone che i redditi siano imputati "in ogni caso" ai beneficiari, cioè indipendentemente dall'effettiva percezione, secondo un criterio di competenza. Tale precisazione si è resa necessaria per coordinare la tassazione per trasparenza del trust con la natura del reddito attribuito al beneficiario, che è considerato reddito di capitale. Contrariamente, infatti, al principio di cassa che in via ordinaria informa la determinazione del reddito di capitale, nella tassazione per trasparenza il medesimo reddito viene imputato al beneficiario indipendentemente dall'effettiva percezione, secondo il principio della competenza economica. Il reddito imputato per trasparenza verrà tassato secondo le aliquote personali del beneficiario. Naturalmente, l'effettiva percezione dei redditi da parte dei beneficiari rimane una mera movimentazione finanziaria, ininfluente ai fini della determinazione del reddito. Ove abbia scontato una tassazione a titolo d'imposta o di imposta sostitutiva in capo al trust che lo ha realizzato, il reddito non concorre alla formazione della base imponibile, né in capo al trust opaco né, in caso di imputazione per trasparenza, in capo ai beneficiari».

La base imponibile dei redditi di capitale è costituita dall'ammontare lordo degli interessi, utili o altri proventi percepiti nel periodo d'imposta. Non viene riconosciuta ope legis alcuna deduzione ed inoltre sono ricompresi in tale categoria anche le differenze positive tra la somma percepita o il valore normale dei beni ricevuti a scadenza del titolo o della gestione ed il prezzo di emissione dello stesso, ovvero la somma affidata al gestore.

Per completezza espositiva si rammenta che solo gli interessi e i frutti derivanti dall'impiego di capitale sono annoverati in questa categoria, infatti, l'art. 6 del Testo Unico stabilisce che «Gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati», di conseguenza gli interessi derivanti da un credito commerciale rientrano nei redditi d'impresa e non in quelli di capitale.

I redditi diversi su strumenti finanziari: tassazione del capital gain

La detenzione di attività finanziarie al di fuori dell'esercizio dell'impresa può far emergere anche differenziali annoverabili tra redditi diversi di natura finanziaria, disciplinati dall'art. 67 del TUIR, originati dalla negoziazione di strumenti finanziari (c.d. Capital Gain), o anche redditi finanziari derivanti da eventi aleatori od incerti, diversi dalle indennità conseguite anche in forma assicurativa a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi che, in forza del precitato art. 6, costituiscono sempre redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti.

Costituiscono redditi diversi di natura finanziaria anche le plusvalenze derivanti da cessioni a titolo oneroso (ai sensi dell'art. 9, comma 5, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917: «Ai fini delle imposte sui redditi le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento e per i conferimenti in società».

Inoltre, il come chiarito dalla prassi, sono considerate cessioni a titolo oneroso le compravendite e pronti e a termine, nonché le permute di partecipazioni.) di partecipazioni qualificate e non qualificate, di obbligazioni e quote di fondi comuni d'investimento e di titoli atipici, di valute estere e di metalli preziosi, nonché, in via residuale le plusvalenze e gli altri proventi finanziari su rapporti da cui derivano da redditi di capitale, su crediti e strumenti finanziari ovvero da differenziali di natura finanziaria derivanti da eventi aleatori.

La nozione di partecipazioni e assimilati è contenuta nell'art. 67, comma 1, lett. c del TUIR, definite come quote di capitale o patrimonio di società commerciali, società di persone ed enti residenti e non residenti. Inoltre, risulta molto importante da un punto di vista tributario distinguere la categoria di partecipazioni qualificate da quelle non qualificate, in quanto, come sarà di seguito esposto, varia il trattamento fiscale delle plusvalenze e delle minusvalenze realizzate, con la conseguenza che le prime concorrono al reddito del percipiente, mentre le seconde sono soggette ad imposta sostitutiva e non concorrono al reddito (e quindi non determinano incrementi dell'aliquota marginale applicabile) del beneficiario.

Una partecipazione o cointeressenza è qualificata se rappresenta alternativamente:

  • il 2% dei diritti di voto, ovvero il 5% del capitale o patrimonio, di un ente i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati (fatta eccezione per le azioni di risparmio che non si considerano mai qualificate, eccetto nel caso di convertibilità in azioni ordinarie, come interpretato dal Ministero delle Finanze con Circolare 24 giugno 1998, n. 165/E);
  • il 20% dei diritti di voto, ovvero il 25% del capitale o patrimonio, di un ente i cui titoli non sono negoziati in mercati regolamentati.

In virtù di tale disposizione, una cessione si definisce qualificata, allorquando superi le soglie suindicate, tuttavia in caso di cessioni frazionate, si deve far riferimento al complesso di trasferimenti effettuate nei 12 mesi precedenti, in quanto tassabili unitariamente nel periodo d'imposta nel quale si è verificata l'ultima cessione utile al superamento di dette percentuali di voti o di patrimonio.

In evidenza:
Agenzia delle Entrate, Circolare 10 dicembre 2004, n, 52/E testualmente: «Pur non costituendo vere e proprie partecipazioni, per stabilire se sia stata superata la percentuale minima di partecipazione o di diritti di voto, si deve tener conto anche dei titoli o dei diritti attraverso cui possono essere acquisite partecipazioni qualificate (ad esempio: warrants di sottoscrizione e di acquisto, opzioni di acquisto di partecipazioni, diritti d'opzione di cui agli artt. 2441 e 2420-bis del codice civile, obbligazioni convertibili). Pertanto, si può verificare un'ipotesi di cessione di partecipazione qualificata anche nel caso in cui vengano ceduti soltanto titoli o diritti che, autonomamente considerati (o che insieme alle altre partecipazioni cedute), rappresentino una percentuale di diritti di voto e di partecipazione superiori ai limiti indicati nell'arco di dodici mesi. Pertanto, in occasione di ogni cessione si devono considerare tutte le cessioni effettuate dal medesimo contribuente che hanno avuto luogo nei dodici mesi dalla data di essa, anche se ricadenti in periodi d'imposta diversi. L'applicazione della regola che impone di tener conto di tutte le cessioni effettuate nel corso di dodici mesi è tuttavia subordinata alla condizione che il contribuente possieda, almeno per un giorno, una partecipazione superiore alle percentuali sopra indicate. Conseguentemente, fintanto che il contribuente non possieda una partecipazione qualificata, tutte le cessioni effettuate nel corso dei dodici mesi, anche se complessivamente superiori alle predette percentuali per effetto di reiterate operazioni di acquisto e di vendita, non possono considerarsi cessioni di partecipazioni qualificate. Per contro, dal momento in cui sia stata superata, come possesso, una delle predette percentuali, le cessioni effettuate nei dodici mesi successivi sono considerate cessioni di partecipazioni qualificate (se a loro volta sono superiori alle percentuali stesse) e ciò fino a quando non siano trascorsi dodici mesi dal momento in cui il possesso della partecipazione da parte del contribuente sia sceso al di sotto della percentuale prevista dalla norma. Pertanto, qualora il contribuente, dopo aver effettuato una prima cessione non qualificata, ponga in essere, nell' arco di dodici mesi dalla prima cessione, altre cessioni che comportino il superamento delle percentuali di diritti di voto o di partecipazione, per effetto della predetta regola del cumulo, si realizza una cessione di partecipazione qualificata».

Ai fini fiscali per determinarsi una cessione qualificata è sufficiente che un contribuente abbia posseduto, anche per un solo giorno, una partecipazione superiore ai limiti per l'identificazione di una partecipazione qualificata, dovendosi computare all'interno del “conto” anche l'eventuale usufrutto sulle quote o sulle azioni, da computare ai diritti di voto o di compartecipazione al capitale/patrimonio (Agenzia delle Entrate, Risoluzione 16 maggio 2006, n. 65/E, Circolare 19 febbraio 2008, n. 12/E).

Il legislatore ha previsto fattispecie di esenzione da capital gain per la fattispecie contemplata dall'art. 3 sulle plusvalenze realizzate a seguito della cessione di partecipazioni in società in start up residenti in Italia (di capitali o di persone commerciali), a condizione che le partecipate siano detenute da almeno tre anni e le stesse non risultino costituite da oltre sette anni e che le plusvalenze stesse siano reinvestite entro due anni in società commerciali residenti che svolgono la stessa attività, costituite da non oltre tre anni.

Una disposizione di complessa applicazione è contemplata nell'art. 68, comma 6, del Tuir, sui capital gain manifestati su valute estere. La disposizione considera quale fatto generatore di redditi diversi non solo la cessione, ma anche il semplice prelevamento di valute estere da conti correnti, qualora la giacenza superi per almeno sette giorni consecutivi nel periodo d'imposta il valore di € 51.645,69. In caso di prelevamento, in assenza di documentazione il costo è assunto sulla base del minore dei cambi mensili accertati con provvedimento dell'Agenzia delle entrate, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.


Il riordino della tassazione delle attività finanziarie

Il D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461 ha attuato il contemporaneo riordino della tassazione dei redditi di capitale e dei redditi diversi finanziari, mediante l'introduzione di ritenute a titolo d'imposta applicate da parte dell'emittente all'atto dell'erogazione dei proventi qualificati come redditi di capitale e di imposte sostitutive sui redditi rivenienti da capital gain (sono escluse da detta normativa sia le plus/minusvalenze su partecipazioni qualificate, che quelle su partecipazioni non quotate residenti in paradisi fiscali e da ultimo sui a contratti di associazione in partecipazione che non presentano i requisiti atti ad assimilarle ad azioni).

Tale riassetto seguiva la delega al Governo introdotta con la L. 23 dicembre 1996, n. 662 e avvalorava ulteriormente quanto già istituito nel Tuir, ossia che i redditi di capitale derivano da un mero impiego/gestione statica del patrimonio, mentre la gestione dinamica del patrimonio mediante investimenti e disinvestimenti è idonea a manifestare incrementi di ricchezza annoverabili tra i redditi diversi.

La novella legislativa aveva introdotto nella sostanza due aliquote principali per i redditi di capitale (art. 12 del D.Lgs. n. 461/1997), con lo scopo successivamente di unificarle, come effettivamente è avvenuto a partire dal 2011.

Le aliquote originarie erano le seguenti:

  • Aliquota del 27% su interessi derivanti da conti correnti, depositi bancari e postali, certificati di deposito, da obbligazioni (ivi incluse le zero coupon) con scadenza inferiore a 18 mesi, con esclusione dei titoli di Stato, e da accettazioni bancarie e titoli atipici;
  • Aliquota del 12,50 percento ai redditi di capitale rivenienti da OICR anche non armonizzati, da titoli pubblici, da obbligazioni con scadenza superiore a 18 mesi, da dividendi su partecipazioni non qualificate (salvo opzione per il regime ordinario).

Medesime aliquote erano previste dall'art. 5 del medesimo decreto, infatti:

  • le plusvalenze su partecipazioni qualificate risultavano incise da un'imposta sostitutiva del 27%, successivamente abrogata dall'art. 2 del D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344;
  • le plusvalenze derivanti da partecipazioni (e strumenti similari) non qualificate, ad esclusione delle partecipazioni in società residenti in paradisi fiscali non quotate*, su obbligazioni (e strumenti simili), quote di fondi e titoli finanziari atipici, su valute estere e metalli preziosi ecc., erano incise da un'imposta sostitutiva con aliquota pari al 12,50%.

In evidenza*
A meno che non sia dimostrato che la società estera svolga un'effettiva attività commerciale nel mercato o territorio d'insediamento, ovvero, in alternativa che la partecipazione non ha l'effetto di localizzare i redditi in paesi black list, infatti, l'Agenzia delle Entrate, Circolare 10 dicembre 2004, n, 52/E ha testualmente affermato: «Così come previsto ai fini della tassazione degli utili distribuiti dagli stessi soggetti esteri, le predette plusvalenze sono parzialmente escluse da tassazione in Italia (nel limite del 60%) solo se relative a società che risiedono in uno Stato a fiscalità ordinaria. In ogni caso, a norma dello stesso comma 4 dell'art. 68, nonostante la partecipazione sia relativa ad un soggetto residente in uno Stato o territorio a fiscalità privilegiata, è possibile dimostrare, tramite interpello da inoltrare all'Agenzia delle Entrate, che dal possesso delle partecipazioni qualificate non sia conseguito l'effetto di localizzare i redditi nello Stato o territorio a fiscalità privilegiata. Tale dimostrazione deve essere fornita presentando preventivamente istanza d'interpello all'Agenzia delle Entrate, ai sensi dell'art. 11 della Legge 27 luglio 2000, n. 212, e secondo le modalità di cui al comma 5, lett. b), del predetto art. 167. L'esercizio dell'interpello può essere effettuato da qualsiasi soggetto possessore della partecipazione, anche se diversa dalle partecipazioni di controllo e di collegamento, con le medesime modalità previste dalla disciplina sulle CFC. Infatti, l'art. 68, comma 4, del T.U.I.R. stabilisce che l'esercizio dell'interpello avviene "secondo le modalità del comma 5, lett. b), dello stesso art. 167" lasciando intendere che l'ambito dei soggetti che possono esercitare l'interpello è più ampio di quello ordinariamente previsto dalla disciplina sulle CFC (soggetti che detengono il controllo o il collegamento del soggetto partecipato estero - artt. 167 e 168 del T.U.I.R.)».

La base imponibile su cui applicare le indicate imposte risulta costituita dalla sommatoria algebrica delle plusvalenze e delle minusvalenze realizzate sui richiamati titoli e valori mobiliari. L'emersione di un'eccedenza negativa comporta la deducibilità della stessa nei successivi periodi d'imposta, non oltre il quarto per l'importo che trova capienza nei redditi maturati.

La revisione della tassazione su rendite finanziarie e capital gain, attuata con il D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con L. 14 settembre 2011, n. 148 ha prima introdotto un'aliquota unica, a partire dal primo gennaio 2012, fissata in misura pari al 20% e, gli artt. 3 e 4 del D.L. legge 24 aprile 2014, n. 66 convertito, con modificazioni, dalla Legge 23 giugno 2014, n. 89 hanno fissato un'aliquota unica al 26%, a partire dal 1° luglio 2014, che hanno tra l'altro reso necessario interventi legislativi mirati a disciplinare il trattamento delle perdite fiscali residue, senza alcuna deroga ai limiti di riportabilità quadriennale delle stesse.

All'uopo si osserva che le compensazioni tra minusvalenze, perdite e differenziali negativi su redditi finanziari realizzati sino al 31 dicembre 2011 e ancora residui alla data del 1° gennaio 2012, risultavano scomputabili dai differenziali positivi della medesima categoria, realizzati a partire dal 2012 sino alla data del 30 giugno 2014, in misura pari al 62,5 percento del loro ammontare. Le minusvalenze realizzate ai sensi dell'art. 67, comma 1, lett. da c - bis) a c – quinquies) risultano oggi compensabili dalle plusvalenze, come previsto dall'art. 3 del D.L. 66/2014 per una quota pari al:

  • 48,08 percento del loro valore, se realizzate entro il 31 dicembre 2011;
  • 76,92 percento del loro ammontare, se realizzate dal 2012 al 30 giugno 2014;
  • 100 percento del loro ammontare, se realizzate successivamente (Agenzia delle Entrate, Circolare 27 giugno 2015, n. 19/E).

Il legislatore tuttavia ha previsto misure di favore previste per talune fattispecie ritenute di interesse pubblico e/o meritevoli di particolare tutela con la previsione dell'aliquota sui redditi di capitale in misura pari al 12,50% prevista per gli interessi, i premi e gli altri frutti dei titoli del debito pubblico italiano, i buoni postali di risparmio, le cartelle di credito comunale e provinciale emesse dalla Cassa depositi e prestiti, le altre obbligazioni e titoli similari emessi da amministrazioni statali, anche con ordinamento autonomo, da regioni, province e comuni e da enti pubblici. Stesso trattamento fiscale è garantito alle obbligazioni emesse da Stati esteri white list e dagli enti territoriali dei medesimi, alle obbligazioni di progetto (c.d. project bond). Per quanto stabilito dall'art. 3, comma 2, lett. c) del decreto, si continua ad applicare l'aliquota del 5 percento sui proventi riveniente dai titoli ex art. 8, comma 4, del D.L. n. 70/2011, c.d. titoli di risparmio per l'economia meridionale.

Medesimo trattamento fiscale risulta applicabile ai redditi di capitale derivanti da contratti di riporto, pronti contro termine e prestito titoli, aventi ad oggetto titoli di Stato e titoli equiparati, nonché ai redditi diversi di cui all'art. 67, comma 1, lettera c-ter), del TUIR derivanti dalla cessione o dal rimborso dei citati titoli, eccetto che per i project bond, infatti, secondo la prassi tale agevolazione non si estende su questi strumenti né sugli altri redditi di capitale e neppure sui capital gain, dovendosi concludere che restano incisi da un'imposta pari al 26 percento.

Per completezza espositiva si ricorda che la Legge di Bilancio 2017 ha introdotto all'art. 1, commi da 100 a 114 l'esenzione fiscale per i redditi di capitale e diversi rivenienti dai piani di investimento a lungo termine (c.d. PIR), detenuti per almeno 5 anni da persone fisiche residenti nel territorio dello Stato, attuati mediante l'apertura di un rapporto di custodia o amministrazione, anche fiduciaria, o di gestione portafogli in regime amministrato o di un contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione acceso con investitori istituzionale. Le somme destinate non possono superare i 30 000 euro all'anno e non possono superare il limite complessivo di 150.000 euro. Gli investimenti dei PIR sono orientati verso le PMI, infatti, almeno il 70% del valore complessivo dei PIR deve essere investito in strumenti finanziari emessi o stipulati da imprese residenti in Italia o in Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti allo Spazio Economico Europeo aventi attività stabile in Italia e che svolgono attività diverse da quella immobiliare. Un'aliquota di tale quota deve essere obbligatoriamente investita in strumenti finanziari emessi da imprese diverse da quelle inserite nell'indice FTSE Mib di Borsa Italiana e/o equivalenti mercati regolamentati. In ciascun anno solare il peso degli strumenti finanziari di un singolo emittente non può superare il 10% del totale del PIR.

La tassazione delle plusvalenze derivanti dalla negoziazione di titoli di Stato e similari continua ad essere garantita in misura pari al 12,50 percento mediante imponibilità parziale delle stesse, infatti, fino al 30 giugno 2014 i capital gain su detti strumenti rilevavano in misura pari al 62,5%, garantendo de facto la suindicata aliquota (pari a 20% x 62,50% = 12,50%), mentre a partire dal 1° luglio 2014 la quota imponibile è scesa al 48,08 percento che garantisce la medesima il medesimo risultato (48,08% x 26% = 12,50%).

Inoltre il D.lgs 461/1997 ha introdotto i regimi impositivi e dichiarativi dei capital gain, che saranno di seguito analizzati, definiti come:

i) Regime analitico o della Dichiarazione;

ii) Regime del Risparmio Amministrato;

iii) Regime del Risparmio Gestito.

Regime analitico o della dichiarazione

Il regime della dichiarazione è il regime naturale di tassazione dei soggetti residenti dei capital gain e degli utili conseguiti al di fuori dell'esercizio dell'impresa, arti o professioni, ed è obbligatorio nel caso in cui tali proventi siano riferibili a partecipazioni di natura qualificata.

Il regime si caratterizza per la “tassazione al realizzo” dei redditi di capitale che avviene mediante ritenute a titolo di imposta su interessi e utili erogati. La base imponibile è costituita dalla sommatoria delle plusvalenze finanziarie realizzate su partecipazioni non qualificate e su altri titoli e valori da cui derivano capital gain, al netto delle relative minusvalenze conseguite nell'annualità oggetto di dichiarazione e nei quattro anni antecedenti, secondo le regole analizzate nel precedente paragrafo. L'eventuale differenziale positivo è soggetto ad imposta sostitutiva con aliquota pari al 26%. Qualora il risultato complessivo fosse una perdita, la stessa di considera riportabile negli anni successivi non oltre il quarto.

Gli utili e le plusvalenze al netto delle relative minusvalenze realizzate a titolo oneroso su partecipazioni qualificate risultano imponibili per il 49,72%, secondo le aliquote progressive del percettore (anche in tal caso le eventuali eccedenze di minusvalenze sono riportabili negli anni d'imposta successivi, non oltre il quarto), ad eccezione dei redditi che provengono da partecipazioni di controllo dirette ed indirette in enti e società black list che in forza della CFC Rule si considerano attribuite ai partecipanti, fatte salve le esimenti previste dall'art. 167 del Tuir, alla chiusura del periodo di gestione della partecipata.

Nel regime della dichiarazione si considerano cedute per prime le partecipazioni acquistate in data più recente, secondo il sistema del Lifo.

Il versamento delle imposte sostitutive sui redditi diversi finanziari è effettuato nei termini ordinari previsti per le imposte sui redditi, viceversa, i redditi di capitale o diversi derivanti da partecipazioni qualificate sono sottoposte ad IRPEF e versate le ordinarie modalità.

Regime del risparmio amministrato

Il regime del risparmio amministrato (l' Agenzia delle Entrate, Circolare 10 dicembre 2004, n, 52/E ha definito il «il regime del risparmio amministrato, disciplinato dall'art. 6 del D.Lgs. n. 461/1997, caratterizzato dalla tassazione ad opera di intermediari abilitati, dietro specifica opzione da parte del contribuente, in base al realizzo dei redditi diversi di natura finanziaria. Tale regime prevede la possibilità di compensare le plusvalenze con le minusvalenze precedentemente conseguite presso lo stesso intermediario e di riportare a nuovo le eccedenze negative»), introdotto dall'art. 6 del D.Lgs. n. 461/1997 costituisce un regime opzionale dei capital gain conseguiti da soggetti residenti, a seguito di conferimento di apposito mandato agli intermediari abilitati (banche e sim residenti e non residenti con stabile organizzazione, società fiduciarie statiche di cui alla L. 1966/1939, Poste Italiane S.p.A., agenti di cambio iscritti al ruolo unico nazionale ed S.G.R.) presso i quali il contribuente intrattiene rapporti di custodia, amministrazione e deposito. Tale sistema di imposizione costituisce regime naturale (senza necessità quindi di specifica opzione) per i soggetti non residenti nel territorio dello Stato.

L'opzione necessita di apposita comunicazione, per la quale non sono previste particolari formalità e può essere effettuata contestualmente al conferimento dell'incarico all'intermediario e all'apertura del deposito o del conto corrente ovvero, per i rapporti già in essere, in qualsiasi momento dell'anno, ma in quest'ultimo caso, analogamente al caso della revoca, l'effetto è posticipato al periodo d'imposta successivo.

Tale modalità di tassazione risulta applicabile ai redditi diversi di natura finanziaria, con esclusione di quelli relativi a depositi in valuta e partecipazioni qualificate che devono seguire tassativamente il regime della dichiarazione.

L'opzione relativa a capital gain su valute, metalli preziosi, contratti a termine ecc. può essere esercitata solo ove intervengano nei predetti rapporti o cessioni, i soggetti appositamente individuati dalla normativa vigente, in qualità di intermediari professionali o controparti.

In evidenza:
Si veda Agenzia delle Entrate, Circolare 24 giugno 1998, n. 165/E: «L'art. 6 del provvedimento in oggetto attribuisce ai contribuenti individuati nel precedente paragrafo 3.1 la facoltà di optare per l'applicazione di un regime semplificato dell'imposta sostitutiva di cui all'art. 5 - che disciplina, come noto, l'applicazione dell'imposta sostitutiva da parte dello stesso contribuente sulla base della propria dichiarazione annuale - su ciascuna delle plusvalenze realizzate ai sensi delle lettere c-bis) e c-ter) del comma 1 dell'art. 81 del TUIR, come modificato dall'art. 3 del provvedimento medesimo. Per espressa previsione dell'art. 6, comma 1, del provvedimento in oggetto, tale regime riguarda le singole plusvalenze realizzate - ad esclusione soltanto di quelle derivanti dalla cessione a titolo oneroso ovvero dal prelievo di valute estere rivenienti da depositi e conti correnti - e può essere applicato anche alle plusvalenze, ai differenziali positivi e agli altri proventi realizzati mediante i contratti derivati di cui alla lettera c-quater) dell'art. 81 del TUIR e mediante i rapporti e le cessioni di cui alla lettera c-quinquies) dello stesso articolo, a condizione che nei predetti rapporti o cessioni intervengano come intermediari professionali o come controparti gli stessi intermediari sopra menzionati. Questo regime comporta che l'applicazione e il versamento dell'imposta sostitutiva del 12,50 (oggi 20%) per cento sui predetti proventi e plusvalenze sono effettuati dagli intermediari abilitati indicati dalla norma in commento (trattasi delle banche e delle società di intermediazione mobiliare residenti in Italia, delle stabili organizzazioni in Italia delle banche e delle imprese di investimento non residenti ed altri soggetti individuati, ai sensi del comma 1 dell'art. 6 del più volte citato D.Lgs. n. 461/1997, con apposito decreto interministeriale in corso di emanazione) e, conseguentemente, solleva i contribuenti dall'obbligo di includere i proventi e le plusvalenze di cui sopra nelle proprie dichiarazioni dei redditi. Con riferimento alla predetta ipotesi di esclusione dall'applicabilità del regime in rassegna alle plusvalenze relative a depositi in valuta, la relazione illustrativa osserva che tale esclusione si giustifica in base alla particolare complessità ed onerosità che inevitabilmente presenterebbe la procedura di applicazione dell'imposta da parte degli intermediari in siffatta ipotesi. Conseguentemente, nei casi di specie permane l'obbligo del contribuente di includere nella propria dichiarazione dei redditi le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso e prelievi di valute».

In ossequio al principio di cassa, si determina l'imponibilità fiscale della plusvalenze solamente con il realizzo dell'operazione, tuttavia ai fini della determinazione della base imponibile, l'intermediario deve provvedere all'eventuale scomputo delle minusvalenze, secondo le regole indicate nei precedenti paragrafi, determinatesi con le precedenti cessioni ed utilizzabili nelle quattro annualità successive. L'intermediario, poi provvede al versamento della relativa imposta con aliquota sostitutiva del 26%.

Sono assimilati a cessioni a titolo oneroso i trasferimenti di titoli in regime amministrato a rapporti della stessa natura intestati a soggetti diversi, ovvero i prelievi da rapporti e i trasferimenti intestati al medesimo soggetto in regime di risparmio gestito, in tal caso il provento, la minusvalenza o perdita realizzate sono determinati con riferimento al valore corrente, alla data del trasferimento, degli strumenti finanziari.

I titolari del rapporto sono tenuti a fornire apposita provvista utile al versamento dell'imposta, infatti, gli intermediari possono sospendere l'esecuzione delle operazioni fino al momento in cui non ottengano dal contribuente provvista per il versamento dell'imposta dovuta. Nei casi appena analizzati gli intermediari rilasciano al contribuente apposita certificazione di valore degli strumenti finanziari trasferiti.

Nel risparmio amministrato, l'imposta è applicata a titolo definitivo dall'intermediario finanziario che provvede a versarla entro il quindicesimo giorno del secondo mese successivo alla sua applicazione e non comporta per l'investitore oneri amministrativi e contabili, in quanto esonerato dalla dichiarazione di tale reddito, potendo mantenere l'anonimato fiscale, ad eccezione dei trasferimenti ad altri soggetti, dei prelievi e delle chiusure di rapporti di amministrazione che secondo quanto stabilito dalle istruzioni al modello per i sostituti d'imposta sono oggetto di apposita segnalazione [Analoga segnalazione è prevista anche nei trasferimenti verso intermediari non residenti ancorché provenienti da rapporti in regime di risparmio amministrato o gestito, purchè non comunicate ai sensi dell'art. 167/1990 (norma sul monitoraggio fiscale) nel quadro RW del Modello UNICO Persone Fisiche].

Come già segnalato il contribuente, ai sensi dell'art. 6, comma 8, del medesimo decreto, non può avvalersi di tale regime per partecipazioni qualificate, infatti, l'investitore è tenuto a monitorare e comunicare all'intermediario il superamento dei limiti di partecipazioni entro quindici giorni, se quest'ultimo risulta impossibilitato alla verifica del superamento delle soglie sulla base delle informazioni in possesso.

L'indebito esercizio dell'opzione e l'omessa comunicazione delle nuove soglie è soggetto a sanzione amministrativa dal 2 al 4 per cento del valore delle partecipazioni, titoli o diritti posseduti alla data della violazione.

Regime del risparmio gestito

Il regime del risparmio gestito introdotto per le gestioni individuali di portafogli è disciplinato dall'art. 7 del D.Lgs. n. 461/1997 e costituisce un regime opzionale avente quale presupposto il conferimento ad intermediario abilitato di un mandato di gestione patrimoniale.

In deroga all'ordinario principio di cassa, tale sistema incide l'incremento di valore del patrimonio, c.d. risultato della gestione, nel periodo di competenza, «al netto dei redditi esenti e di quelli già tassati ad altro titolo».

Al pari del regime del risparmio amministrato, possono avvalersi di tale modalità di tassazione i soggetti che detengono partecipazioni non qualificate (escluse le partecipazioni e le cointeressenze in soggetti residenti in paradisi fiscali che devono essere necessariamente riportati in dichiarazione) e quote finanziarie detenute al di fuori del regime d'impresa che conferiscono il mandato di gestione agli intermediari individuati dal D.M. 31 marzo 1999 che sono così individuati:

  • S.G.R. residenti, iscritte nell'apposito registro individuato del T.U.F.;
  • Banche autorizzate ai servizi di investimento;
  • S.I.M. iscritte nell'apposito registro del T.U.F.;
  • Fiduciarie dinamiche;
  • Agenti di cambio;
  • Stabili organizzazioni in Italia si S.G:R., banche di investimento e S.I.M., iscritte nel registro previsto dal T.U.F.

Normalmente i proventi di capitale immessi nella gestione non sono assoggettati a ritenute a titolo di acconto, infatti, per determinate fattispecie la massa patrimoniale assume la posizione di "lordista" del gestito in relazione ai redditi di capitale e diversi che concorrono a formare il risultato imponibile della gestione, che rientrano nel coacervo dei redditi di gestione su cui l'intermediario liquida l'imposta sostitutiva in misura pari al 26%.

Anche in questo caso è garantito l'anonimato fiscale del titolare dei redditi in quanto gli oneri amministrativi e di liquidazione delle imposte sono di competenza dell'intermediario che provvede al versamento delle stesse entro il giorno 16 febbraio di ciascun anno ovvero, in caso di revoca del mandato di gestione, entro il quindicesimo giorno del secondo mese successivo a quello in cui tale revoca è avvenuta. Si ricorda che qualora il contribuente non fornisca la provvista necessaria al pagamento delle imposte è consentito all'intermediario, anche in deroga ai regolamenti di gestione, disinvestire parte del patrimonio per poter far fronte all'imposta sostitutiva.

La base imponibile su cui è calcolata l'imposta (risultato di gestione) e si determina sottraendo dal valore del patrimonio gestito al termine di ciascun anno solare, al lordo dell'imposta sostitutiva, aumentato dei prelievi e diminuito di conferimenti effettuati nell'anno, i redditi maturati nel periodo e soggetti a ritenuta, i redditi che concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente, i redditi esenti o comunque non soggetti ad imposta maturati nel periodo, ed il valore del patrimonio stesso all'inizio dell'anno. Il risultato è computato al netto degli oneri e delle commissioni relative al patrimonio gestito. Si ricorda che le obbligazioni ed i titoli di stato sono computati in misura pari al 48,08 percento. Nel caso in cui il risultato della gestione fosse negativo, il corrispondente importo potrebbe essere computato in diminuzione del risultato della gestione dei periodi d'imposta successivi ma non oltre il quarto per l'intero importo che trova capienza in essi.

Anche in questo caso il contribuente, ai sensi dell'art. 7, comma 14, del medesimo decreto, non può avvalersi di tale regime per partecipazioni qualificate e l'investitore è tenuto a monitorare e comunicare all'intermediario il superamento dei limiti di partecipazioni entro quindici giorni, ogniqualvolta quest'ultimo sia impossibilitato alla verifica del superamento delle soglie sulla base delle informazioni in possesso.

L'indebito esercizio dell'opzione e l'omessa comunicazione del superamento delle soglie di partecipazione è soggetto a sanzione amministrativa dal 2 al 4 per cento del valore delle partecipazioni, titoli o diritti posseduti alla data della violazione.

Bibliografia

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PIAZZA – TAMBURRO, Dai titoli di Stato ai fondi pensione, cosa cambia con la tassazione sul risparmio al 26%

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