Gli atti di recupero dei crediti d'imposta

Jacopo Lorenzi
23 Agosto 2017

Gli atti di recupero dei crediti indebitamente utilizzati sono disciplinati dall'art. 1, c. 421, Legge n. 411/2004 e consentono agli Uffici la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati nonché delle relative sanzioni ed interessi. Nonostante le diverse modifiche normative intervenute in tema di utilizzo indebito dei crediti d'imposta, l'atto di recupero continua a sollevare perplessità applicative, con particolare riferimento al termine di decadenza dell'azione pubblica di recupero e relativamente al profilo sanzionatorio.
Premessa

Gli “atti di recupero dei crediti d'imposta” sono stati introdotti nell'ordinamento dalla Legge 30 dicembre 2004, n. 311, il cui art. 1, c. 421 (che così recita: “… per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione ai sensi dell'art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, nonché per il recupero delle relative sanzioni e interessi l'Agenzia delle entrate può emanare apposito atto di recupero motivato da notificare al contribuente con le modalità previste dall'art. 60 del citato d.P.R. n. 600/1973), ha tipizzato uno strumento che, già da tempo utilizzato dagli Uffici, consentiva (e consente) il recupero del credito d'imposta indebitamente fruito perché mancante dei presupposti di legge.

La norma, a causa della sua scarna e – lo si permetta – infelice formulazione, ha sollevato, fin da subito, molteplici dubbi interpretativi, tutt'ora in parte non risolti.

Una serie di interventi legislativi susseguitisi nel tempo sono riusciti a delineare meglio la fattispecie di riferimento. Prima di vedere lo strumento nel dettaglio pare opportuno ripercorrerne l'evoluzione.

L'evoluzione dell'istituto e la sua attuale conformazione

L'art. 1, c. 421, disciplina, in generale, l'ipotesi in cui il contribuente abusi di una posizione creditoria nei confronti del fisco, nella misura in cui utilizzi, indebitamente, un credito d'imposta. Nessuna indicazione viene fornita in ordine al concetto di “utilizzo indebito”, così come nessuna indicazione si riscontra in ordine al termine entro cui l'Ufficio debba esperire l'azione di recupero. Alcune precisazioni sono arrivate da un successivo intervento normativo, volto a contrastare l'allora dilagante fenomeno di indebito utilizzo di crediti inesistenti.

Si tratta dell'art. 27, D.L. n. 185/2008, che ha disciplinato, quanto meno a fini sanzionatori, una precisa e vincolata condotta illecita, e cioè quella di colui che, per il tramite della compensazione in F24 ex art. 17, D.Lgs. n. 241/1997, utilizzi un credito inesistente, cioè frutto di una vera e propria “invenzione”.

In questo caso, era prevista una sanzione dal 100% al 200% del credito compensato (era prevista anche un'aggravante: l'utilizzo, in compensazione, di un credito inesistente per una somma superiore a cinquantamila euro per anno solare era punito con la sanzione del 200% dell'importo compensato), da irrogare entro il termine del 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello di utilizzo del credito.

La novella del 2008 non ha toccato la struttura dell'atto di recupero delineata dalla Legge n. 311/2004. Solamente, con l'introduzione dell'art. 27 richiamato, ci si è trovati di fronte alla previsione di un termine di decadenza per la contestazione di una fattispecie ben delineata: l'utilizzo, mediante compensazione in F24, di un credito inesistente.

Relativamente alle fattispecie residuali – per esempio l'utilizzo di un credito non spettante piuttosto che l'utilizzo di un credito inesistente ma in dichiarazione e non in compensazione ex art. 17, D.Lgs. n. 241/1997 – non sono stati previsti termini decadenziali per l'azione dell'Ufficio.

Un ulteriore chiarimento normativo si è avuto, poi, con la riforma del sistema sanzionatorio operata dal D.Lgs. n. 158/2015. Tra i vari, uno degli interventi realizzati è stato quello volto a ridefinire il regime sanzionatorio relativo all'utilizzazione di crediti inesistenti e non spettanti.

L'art. 20 del decreto richiamato ha novellato, da un lato, l'art. 13, D.Lgs. n. 471/1997, aggiungendo nella rubrica della norma la dizione “e altre violazioni in materia di compensazione”; dall'altro lato è intervenuto sull'art. 1, comma 421, Legge n. 311/2004, per ridisegnare l'assetto dell'atto del recupero dei crediti indebitamente utilizzati.

La natura dell'atto di recupero ed il termine decadenziale per l'emissione e per la notifica

Gli atti di recupero in commento hanno natura di avvisi di accertamento.

L'espressione avviso di accertamento, è noto, non designa soltanto gli atti così denominati nella terminologia legislativa, bensì deve essere interpretata in senso sostanziale, nel significato di atto avente efficacia nei confronti del soggetto passivo del tributo, conclusivo di un procedimento o di un sub-procedimento di accertamento. Il disconoscimento di un credito d'imposta rientra, a pieno titolo, nella funzione accertativa.

La natura di avviso di accertamento dell'atto di recupero è stata a più riprese sostenuta dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. trib., 22 luglio 2016, n. 15186; 9 luglio 2014, n. 15634 e 17 settembre 2014, n. 19561).

Le conseguenze derivanti dall'essere un atto di natura impositiva sono molteplici. La più importante appare quella relativa al termine per la notifica.

Si è detto che, con l'approvazione dell'art. 27, D.L. n. 185/2008, il legislatore ha previsto un termine più lungo per l'emanazione dell'atto di cui alla Legge n. 311/2004: il recupero di un credito inesistente, compensato ai sensi dell'art. 17, D.Lgs. n. 241/1997, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello di utilizzo del credito.

Il dies a quo per il computo del termine è stato ancorato, saggiamente, alla data di utilizzo del credito in compensazione: non può rilevare l'anno d'imposta in cui il credito, finto, è sorto, perché detto credito non viene compensato all'interno della dichiarazione tributaria, bensì in un separato modello F24. L'Ufficio, pertanto, avrà a disposizione un termine più lungo che decorrerà dal momento della compensazione.

Su tali basi sorge spontanea la domanda relativa al termine di decadenza per la notifica dell'atto di recupero nelle ipotesi diverse da quella di cui sopra, come per esempio nel caso di utilizzo di un credito non spettante. Si pensi all'ipotesi di un credito IVA che spetta sia nell'an che nel quantum ma che venga, per esempio, compensato anticipatamente rispetto a quando la normativa di settore ne consente l'utilizzo. Qual è il termine per la notifica dell'atto di recupero in questo caso?

Sembrerebbe potersi affermare, ragionando a contrariis, che la diversa (e meno grave) fattispecie di utilizzo di un credito non spettante debba essere contestata entro l'ordinario termine di decadenza previsto per gli avvisi di accertamento di cui all'art. 43, d.P.R. n. 600/1973 (cioè, fino all'anno 2016, quello del 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di utilizzo del credito).

Di questo avviso appare la giurisprudenza di merito. Si segnala, sul punto, CTP Lucca, sez. I, 16 maggio 2017, n. 205.

L'assimilazione sostanziale e, per certi versi, formale, tra l'atto di recupero e l'avviso di accertamento (si pensi all'obbligo di motivazione, alle modalità di notifica dell'atto ed al termine, perentorio, per proporne impugnazione, che sono identici nell'uno e nell'altro caso) non può che deporre a favore della tesi dell'applicabilità del termine decadenziale ordinario, di cui all'art. 43, d.P.R. n. 600/1973.

Appaiono profondamente diverse, in termini di insidiosità, le condotte di chi, tramite artifizi, si precostituisce un credito d'imposta falso, al fine di estinguere l'obbligazione tributaria mediante compensazione e quelle di chi, pur non rispettando i limiti di utilizzo, estingua il debito fiscale con un credito “semplicemente” non spettante.

Del resto, la ratio della previsione di un termine decadenziale per l'accertamento risponde all'esigenza di tutela del contribuente dal rischio di soggezione all'infinito dal potere impositivo: l'aver disciplinato una precisa fattispecie – quella della compensazione del credito inesistente – legittima a ritenere che, nel diverso caso di credito non spettante, il termine per l'azione dell'Ufficio debba essere quello ordinario.

Il profilo sanzionatorio

Anche il profilo sanzionatorio merita attenta analisi.

Si è detto che l'atto di recupero del credito indebitamente compensato, nella sua formulazione originaria, prevedeva la facoltà dell'Ufficio di recuperare il credito inteso come somma capitale. Nella disposizione non vi era menzione né degli accessori né del profilo sanzionatorio.

Si ritiene che sia questo il motivo per cui la prassi ha evidenziato l'applicazione, contestualmente all'atto di recupero, della sanzione di cui all'art. 13, D.Lgs. n. 471/1997, nella formulazione ante riforma 2015, che prevede l'applicazione della sanzione pari al 30% a titolo di omesso versamento (sul presupposto che, per la parte di obbligazione estinta, si registrasse un'omissione di versamento alla scadenza di legge).

A far data dall'approvazione dell'art. 27 del D.L. n. 185/2008, però, era stata positivizzata la facoltà dell'Ufficio di irrogare la più gravosa sanzione dal 100% al 200% in caso di utilizzo in compensazione di un credito inesistente.

Il combinato dei commi 16* e 18**, dell'art. 27, consentiva agli Uffici di notificare l'atto di recupero di cui alla legge n. 311/2004 entro il termine di otto anni di cui sopra, con la possibilità di irrogare contestualmente la sanzione dal 100% al 200% dell'importo indebitamente compensato.

*In evidenza:
“… l'atto di cui all'art. 1, comma 421, della Legge 30 dicembre 2004, n. 311, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell'articolo 17, del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo”.

** In evidenza:
“L'utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è punito con la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi …”.

La riforma sanzionatoria del 2015 ha abrogato, come detto, la sanzione contenuta nell'art. 27, comma 18, per inserirla nel novellato art. 13, D.Lgs. n. 471/1997, che è oggi la norma che contiene la disciplina delle sanzioni in materia di compensazione.

Il pregio della riforma è stato quello di dare determinatezza alle fattispecie di credito inesistente e di credito non spettante, prevedendo che “Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo …” (in realtà, sotto il profilo sanzionatorio, la norma richiede una condizione ulteriore, proprio a dimostrare che la condotta del contribuente deve essere connotata da peculiari tratti di insidiosità: è necessario, afferma l'art. 13, che “l'inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e all'art. 54-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633). La dottrina ha avuto modo di rilevare come il credito inesistente sia, oltre a quello relativo ad importi artificiosamente rappresentati in sede contabile o di dichiarazione, anche quello ritenuto erroneamente esistente per fatto imputabile, anche a titolo di colpa, all'autore della violazione.

Dalla definizione di credito inesistente si può ricavare quella di credito non spettante, ritenendo che lo stesso sia quel credito, esistente, utilizzato in violazione delle disposizioni che ne limitano l'utilizzo.

L'art. 20 del D.lgs. n. 158/2015 ha anche modificato, parzialmente, la struttura dell'atto di recupero del credito indebitamente utilizzato di cui alla Legge n. 311/2004, perché ha previsto, in capo all'Ufficio, la facoltà di recuperare, oltre alla somma capitale del tributo, anche i relativi interessi e le collegate sanzioni: “per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte … nonché per il recupero delle relative sanzioni e interessi …”.

La ratio dell'intervento legislativo è da ravvisarsi in ciò, e cioè che a fronte dell'utilizzo di un credito spettante, seppure in violazione delle regole previste per il concreto utilizzo, appare di poco senso, per l'Ufficio, “recuperare” un qualcosa che, prima o poi, spetterà comunque al contribuente. Più saggio ed efficiente appare il recupero degli interessi maturati sulla somma capitale, nonché la relativa e collegata sanzione amministrativa.

In conclusione

In conclusione, l'atto di recupero dei crediti indebitamente compensati non sembra ancora aver trovato una disciplina univoca, soprattutto con riferimento al profilo del termine di decadenza dall'azione di recupero.

L'equiparazione, sostanziale e formale, tra l'atto di recupero e l'avviso di accertamento da un lato, nonché l'espressa previsione di un termine “allungato” in caso di condotte connotate da particolare insidiosità dall'altro, consentono di poter affermare che, nel caso di utilizzo di un credito non spettante, il termine per il recupero debba essere necessariamente quello ordinario, previsto dall'art. 43, d.P.R. n. 600/1973.

Anche sotto il profilo sanzionatorio permangono dubbi sulla possibilità di sanzionare chi abbia utilizzato un credito inesistente prima dell'entrata in vigore del D.lgs. n. 158/2015, nella parte in cui ha novellato l'art. 1, c. 421, prevedendo l'aggiunta della dizione “nonché per il recupero degli interessi e sanzioni”; questo perché nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione.

L'esigenza del rispetto dei principi di determinatezza e tassatività farebbe deporre per una lettura più garantista dell'istituto in commento, visto che si tratta di materia sanzionatoria. Sembra preferibile, pertanto, ritenere che, per gli utilizzi indebiti di crediti non spettanti antecedenti alla modifica dell'art. 1, c. 421, i principi richiamati rendano applicabile la norma nella sua formulazione originaria e vigente ratione temporis: l'Ufficio dovrà recuperare il credito non spettante, senza irrogare alcuna sanzione. Sarà poi il contribuente che deciderà se, una volta maturato il presupposto per l'utilizzo, chiederlo a rimborso, verosimilmente con i relativi interessi.

Bibliografia di riferimento

M. Logozzo, “Gli incerti confini dell'indebita compensazione dei crediti inesistenti", in Corriere Tributario n. 33/2011;

D. Peruzza, “L'atto di recupero di sanzioni e interessi non si applica retroattivamente”, in Il Fisco, 2017, fasc. 29.

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