L'evoluzione del reato di omesso versamento IVA tra soglie legislative e censure di legittimità costituzionale

Marco Siragusa
23 Settembre 2015

La nota sentenza della Corte Costituzionale n. 80 dell'8 aprile 2014 ha ridefinito in euro 103.291,38 la soglia di punibilità del reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter d.lgs. 74/2000) limitatamente ai fatti commessi sino alla data del 17 settembre 2011. Per i fatti di epoca successiva, invece, si applica il limite di euro 50.000 previsto dall'art. 10-bisd.lgs. 74/2000.
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La nota sentenza della Corte Costituzionale n. 80 dell'8 aprile 2014 ha ridefinito in euro 103.291,38 la soglia di punibilità del reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter d.lgs. 74/2000) limitatamente ai fatti commessi sino alla data del 17 settembre 2011. Per i fatti di epoca successiva, invece, si applica il limite di euro 50.000 previsto dall'art. 10-bis d.lgs. 74/2000.

In attesa dell'annunciata riforma legislativa di rimodulazione delle soglie di punibilità penale, rimane controverso se si applichi il più favorevole regime previsto della sentenza della Consulta alle condotte di omesso versamento dell'IVA relativa al periodo di imposta dell'anno 2010.

L'occasione offerta dalla sentenza in commento

La sentenza n. 35773/2015 della Sezione feriale della Corte di Cassazione non evidenzia elementi di novità rispetto al frastagliato panorama giurisprudenziale fiorito nella materia. Essa, tuttavia, offre la scure per fare il punto della situazione e segnalare alcune permanenti discrasie di trattamento.

La sentenza della Corte costituzionale n. 80 dell'8 aprile 2014

La Consulta ha dichiarato la incostituzionalità dell'art. 10-ter d.lgs 74/2000nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l'omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38”.

La declaratoria di incostituzionalità fonda sul vulnus costituzionale sussistente per i fatti commessi in data anteriore al 17 settembre 2011.

Osserva, infatti, la Consulta come sia fonte di diseguaglianza e di irragionevolezza – quanto ai fatti commessi in data anteriore al 17 settembre 2011 – che il regime sanzionatorio preveda una soglia di punibilità di euro 50.000 per l'omesso versamento dell'IVA a fronte di una diversa (e maggiore) soglia di punibilità per gli illeciti di omessa dichiarazione (art. 5, d.lgs. 74/2000) e di infedele dichiarazione (art. 4, d.lgs. 74/2000).

Sebbene questi ultimi fossero più disvalenti del reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, prima della declaratoria di incostituzionalità, il legislatore ne prevedeva una soglia di punibilità di “favore”, rispettivamente di euro 77.468,53 e di euro 103.291,38.

L'effetto perverso del mancato coordinamento delle norme (l'art. 10-ter d.lgs. 74/2000 stabilisce la soglia con richiamo all'art. 10-bis,d.lgs. 74/2000) si coglieva plasticamente nella condotta del contribuente che avesse omesso la dichiarazione dell'imposta sul valore aggiunto per importi compresi tra euro 50.000 e euro 77.468,52. In questo caso il contribuente andava esente da sanzione, diversamente dal contribuente che, per gli stessi importi, avesse presentato la dichiarazione ma avesse omesso il versamento dell'imposta.

Di tale discrasia, osserva la Corte Costituzionale, s'è avveduto lo stesso legislatore che, nel tentativo di ri-equilibrare il sistema, ha ridotto le soglie di punibilità relative alle fattispecie più gravi per importi inferiori o pari a quello della soglia di punibilità prevista per il reato di omesso versamento dell'IVA.

Per questa via, la soglia per il reato di omessa dichiarazione è stata ridotta ad euro 30.000 (art. 2, comma 36-vicies semel, lett f) d.l. 138/2011 conv. in l. 148/2011) mentre quella per il reato di infedele dichiarazione è stata ridotta ad euro 50.000 (comma 36, vicies semel, lett. d) d.l. cit.).

Sennonché, per espressa previsione della novella legislativa (art. 2, comma 36 vicies bis, d.l. 138/2011), le modifiche sono applicabili ai fatti successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione (cioè dal 17 settembre 2011).

Da tale evidenza, la Corte Costituzionale ha tratto il vulnus costituzionale ed ha dichiarato la incostituzionalità dell'art. 10-ter d.lgs. 74/2000 con riferimento ai fatti commessi anteriormente al 17 settembre 2011 e per importi non eccedenti la soglia di euro 103.291,38 (allineata a quella massima, pre-vigente per la dichiarazione infedele).

Dalla decisione della Corte Costituzionale sono originate numerose pronunce di annullamento senza rinvio per fatti anteriori al 17 settembre 2011 ed infra soglia. Tra le molte si segnala, ad esempio, la recente Cass. pen. Sez. III, 12 febbraio 2015 n. 15469.

Il quadro sinottico, in materia di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, può essere così rappresentato:

Art. 10-ter D.lgs 74/2000

Prima del 17 settembre 2011

Punibile se l'imposta non versata eccede euro 103.291,38.

Dopo il 18 settembre 2011

Punibile se l'imposta non versata eccede euro 50.000,00

Il caso dubbio: nell'evasione dell'imposta sul valore aggiunto relativa all'anno di imposta 2010, il tempus commissi delicti è considerato fiscalmente o penalmente?

Rimane controverso se rientrino nel termine (antecedente al 17 settembre 2011) e beneficino quindi del più favorevole regime previsto dalla sentenza della Consulta i contribuenti che hanno omesso di versare l'imposta sul valore aggiunto prodotta nell'anno di imposta 2010 per importi maggiori di euro 50.000 ma inferiori ad euro 103.291,38.

In questi casi, invero, ritenere punibile la condotta omissiva condurrebbe ad un'inammissibile violazione del principio di legalità per irretroattività della normativa penale più sfavorevole.

Ne varrebbe osservare che il reato per il quale si procede si consuma alla scadenza del termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo, cioè alla data del 27 dicembre 2011 e ciò in quanto la legislazione penale individua un termine per la consumazione del reato (27 dicembre) autonomo rispetto a quello previsto dalla legislazione fiscale (16 marzo).

Invero, fiscalmente il regime è così regolato:

a) entro il 16 di ciascun mese, il contribuente versa la differenza tra l'ammontare dell'Iva esigibile risultante dalle fatture emesse, e quello risultante dai documenti fiscali dei beni e servizi acquistati (d.P.R. 23 marzo 1998 n. 100, art. 1, commi 1 e 4);

b) il termine per eseguire il versamento, determinato come sopra, può avere cadenza trimestrale (artt. 73 e 74, d.P.R. 633 del 1972; art. 7, d.P.R. 542/1999 come rettificato dal d.P.R. 435/2001, art. 11, comma 4).

c) l'ultimo termine previsto dalla normativa fiscale per il saldo del differenziale IVA (imposta per fatture emesse, detratta quella pagata per beni e servizi acquistati) è stabilito al 16 marzo di ogni anno. A quella data il contribuente deve versare la differenza dovuta in base alla dichiarazione annuale e l'ammontare delle somme già versate (mensilmente o trimestralmente) ex art. 1, d.P.R. 100 del 1998 e art. 6, d.P.R 542/1999 (è irrilevante, ai fini che qui interessano, la dilazione accordata, con maggiorazione dello 0,40%per ogni mese o frazione di mese di ritardo).

L'assunto che il reato di cui all'art. 10-ter d.lgs. 74/2000 si consumi invece alla data del 27 dicembre si fonda sull'arresto delle Sez. un. della Corte di Cassazione, del 28 marzo 2013 n. 37424.

Si tratta dunque di comprendere se i diversi termini legislativi (16 marzo secondo il legislatore fiscale e 27 dicembre secondo quello penale) abbiano ragione di co-esistere con riferimento al caso in esame.

Per rispondere al quesito, è necessario far riferimento alla sentenza delle Sez. un. cit. e valutarne la portata precettiva alla luce della pronuncia di incostituzionalità (Corte cost n. 80/2014).

Le Sezioni unite avevano optato per l'individuazione del 27 dicembre quale epoca di consumazione del reato di cui all'art. 10-ter d.lgs. 74/2000 ritenendo il termine più favorevole al reo.

Nel dictum il giudice di legittimità osserva che: a) la dottrina ritiene più favorevole al reo il termine del 27 dicembre, essendo sino a quel momento (successivo al 16 marzo) possibile evitare la condotta omissiva con il pagamento del dovuto; b) indirettamente il “termine più favorevole” ha trovato conferma nell'ordinanza della Corte costituzionale n. 25 del 2012.

In un quadro così definito, è però intervenuta la sentenza n. 80/2014 della Corte Costituzionale che ha eliminato la disvalenza penale delle condotte di omesso versamento aventi data anteriore al 17 settembre 2011.

Si tratta dunque di verificare se, alla luce del nuovo statuto dell'illecito in esame - e limitatamente al periodo che viene in rilievo nel caso in esame (nessun illecito sino al 17 settembre) –, possa re-interpretarsi l'orientamento delle SSUU.

Il tema è dunque il seguente:

a) la norma (art. 10 ter) tutela lo stesso bene giuridico della normativa fiscale: l'interesse dell'erario a riscuotere l'IVA;

b) secondo il legislatore fiscale tale interesse deve essere assicurato entro il 16 marzo di ogni anno.

Ma alla data del 16 marzo 2011 l'omesso versamento costituiva sì illecito tributario ma non anche illecito penale, giusta la sentenza n. 80/2014 della Corte costituzionale che ha elevato la soglia di omissione ad euro 103.291,38;

c) se trovasse applicazione il termine del commesso reato individuato dalle Sez. un., l'evasore di IVA relativa all'anno 2010 sarebbe chiamato a rispondere del reato contestatogli (aveva tempo per non omettere sino al 27 dicembre 2011).

Ma, s'è detto, che il termine del 27 dicembre era stato individuato dalle SSUU sulla identità della condotta omissiva (mancato versamento dell'IVA) prevista dalle normative penale e fiscale, il cui termine secondo quest'ultima scade anticipatamente (16 marzo) ed è dunque più sfavorevole al reo.

Invece, nel caso dell'evasore di imposta IVA per l'anno 2010, per effetto della pronuncia di incostituzionalità (Corte. cost. 80/2014), il termine più favorevole al reo è quello stabilito dalla normativa fiscale e coincide con la data del 16 marzo 2011.

È a quella data (16 marzo 2011) che lo Stato aveva già conseguito il diritto alla riscossione di un imposta che, invece omessa, sin da allora ledeva l'interesse giuridico tutelato dalla legislazione sia fiscale che penale.

In questo caso dunque è più favorevole il termine fiscale del 16 marzo 2011, sulla identità delle condotte previste dalle normative (fiscale e penale). E ciò per i presupposti esatti e contrari a quelli che determinarono il diverso arresto delle Sezioni unite!

Per l'effetto, una lettura costituzionalmente orientata in relazione all'art. 25 comma 2 Cost. delle norme (art. 10-ter,d.lgs. 74/2000 e art. 1 d.P.R. 100/1998) impone di ritenere commesso all'epoca del 16 marzo 2011 il reato di omesso versamento dell'IVA per l'anno di imposta 2010. Ad una data cioè antecedente al 17 settembre 2011 (sent. Corte cost. 80/2014), con la conseguenza che se l'omissione contributiva sia di importo inferiore ad euro 103.291,38 il reato non sussiste.

L'alternativa alla segnalata lettura costituzionalmente orientata è quella di ritenere fondata una nuova e diversa questione di legittimità costituzionale dell'art. 10-ter d.lgs. 74/2000 in relazione alle condotte omissive antecedenti al 17 settembre 2011 e che non superino la soglia di euro 103.291,38. A fondamento dell'eccezione si porranno gli artt. 1, D.P.R.100/1998 e 6 D.P.R. 542/1999 con riferimento al diverso termine di scadenza - 27 dicembre anziché 16 marzo - per violazione degli artt. 3 e 25 della Carta costituzionale.

Ulteriori profili: la confisca per equivalente

In realtà, casi come quello in esame potrebbero palesarsi con provvedimenti di sequestro preventivo finalizzati alla confisca per equivalente ex artt. 1, comma 143, l. 244/2007 e 322-ter c.p.

Com'è noto la confisca per equivalente ha natura sanzionatoria e funzione afflittiva general-preventiva. Essa, pertanto, costituisce una vera e propria sanzione penale (Sez. un. 41936/2005) ed è sottoposta allo statuto garantistico del principio di legalità/irretroattività.

Ammettere che il sequestro possa operare con finalità di confisca per equivalente rispetto a fatti che, alla data di loro consumazione (16 marzo 2011), non erano previsti dalla legge come reato violerebbe il principio di irretroattività e sarebbe illogico: a quel periodo non c'è né il reato né il suo profitto.

In conclusione

Rimane tutt'ora controversa la punibilità delle condotte di evasione dell'imposta sul valore aggiunto relative al periodo di imposta dell'anno 2010 per importi di imposta maggiori di euro 50.000 ma inferiori ad euro 103.291,38.

Sono possibili due soluzioni interpretative: o si ritiene non sussistente il reato sulla base della lettura costituzionalmente orientata delle norme con riferimento agli arresti della Consulta e delle Sezioni Unite cit. oppure dovrà sollevarsi una nuova questione di legittimità costituzionale sul presupposto che il termine fiscale di scadenza (16 marzo 2011) è più favorevole di quello penale (27 dicembre 2011) e consente di “assorbire” la condotta omissiva nel quantum di 103.291,38, operante fino al 17 settembre 2011, individuato dalla sentenza n. 80/2014 della Corte Costituzionale, anziché in quello più sfavorevole di eur 50.000, in vigore dal 18 settembre 2011.

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