Deducibilità dei costi black list: successione di norme nel tempo e regime sanzionatorio

La Redazione
23 Novembre 2015

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi in merito al regime temporale d'applicazione della disciplina sulla deducibilità dei costi c.d. black list, chiarisce che le violazioni dell'obbligo di separata indicazione poste in essere prima dell'entrata in vigore della L. 296/2006 non comportano l'automatica applicazione del regime di assoluta indeducibilità.

La pronuncia in oggetto nasce dalla controversia devoluta alla CTR Emilia Romagna sull'impugnazione di un avviso di accertamento emesso per il recupero a tassazione dei costi sostenuti da una società per rapporti commerciali con soggetti residenti in Paesi c.d. black list, non indicati separatamente nella dichiarazione dei redditi. I Giudici di secondo grado confermavano la sentenza di prime cure, accogliendo il ricorso della società ed escludendo dunque l'indeducibilità dei suddetti costi.

L'Agenzia delle Entrate ricorre avverso tale pronuncia dinanzi alla Corte di Cassazione, dolendosi del fatto che i giudici di merito abbiano riconosciuto efficacia retroattiva all'abrogazione della sanzione “impropria” della indeducibilità dei costi, introdotta dalla L. 296/2006.

I Supremi Giudici colgono l'occasione per ripercorrere l'evoluzione normativa che ha interessato il tema della deducibilità dei costi per le operazioni con soggetti residenti in Paesi c.d. black list, inizialmente disciplinati dall'art. 76, D.P.R. 917/1986.

Nella versione originaria, tale norma escludeva la possibilità di ammettere in deduzione le spese derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate in Stati o territori a regime fiscale agevolato, ad eccezione dei casi in cui l'impresa residente in Italia forniva la prova di un'attività effettiva dell'impresa estera o di un effettivo interesse economico all'operazione. La deduzione era in ogni caso subordinata alla separata indicazione delle rispettive voci nella dichiarazione dei redditi.

Con l'entrata in vigore della L. n. 296 cit., la deducibilità di tali costi risulta subordinata alla sola prova dell'operatività dell'impresa estera e dell'effettività dell'operazione, mentre la separata indicazione in dichiarazione dei costi medesimi viene degradata a mero adempimento formale, assistito da una sanzione pecuniaria amministrativa ex art. 1, comma 302, disposizione espressamente dichiarata retroattiva dal legislatore con il successivo comma 303.

La giurisprudenza di legittimità, dopo una serie di prime interpretazioni restrittive, ha successivamente mutato direzione, e interpretato il quadro normativo così ricostruito riconoscendo carattere retroattivo anche all'eliminazione del regime di indeducibilità dei costi non separatamente indicati in dichiarazione, introdotto allo scopo di individuare un punto di equilibrio tra l'interesse del contribuente a poter dedurre i costi effettivamente sostenuti e l'interesse erariale ad un'efficace azione di controllo (cfr. Cass. civ., sez. trib., nn. 4030 e 6205/15).

In conclusione, la Suprema Corte afferma che «anche le violazioni dell'obbligo di separata indicazione dei costi poste in essere prima dell'entrata in vigore della legge 296/2006 non comportano (di per se stesse) l'applicazione del regime di assoluta indeducibilità dei costi medesimi e di connessa sanzionabilità», aggiungendo che «anche in relazione alle situazioni di carattere transitorio, la separata indicazione degrada ad obbligo di carattere formale, corrispondentemente sanzionato dalla sanzione proporzionale».

Da ultimo, la Cassazione, dichiarando l'inammissibilità di un'ulteriore censura dell'Agenzia, ribadisce che in caso di impugnazione di un avviso di accertamento riguardante il recupero a tassazione di costi ritenuti indeducibili, l'amministrazione finanziaria può chiedere la conferma dell'avviso ma non dell'atto opposto.

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