Il ricorso per Cassazione: aspetti applicativi e proceduraliFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 360
27 Febbraio 2017
Il giudizio per Cassazione è un mezzo di impugnazione ordinario, in quanto la sua proposizione impedisce il passaggio in giudicato della sentenza ed a critica vincolata, nel senso che lo stesso viene instaurato solo a seguito del ricorrere di uno dei casi tassativi indicati dall'art. 360 c.p.c., i quali sono espressione di errori relativi allo svolgimento del giudizio di merito, siano essi vizi nell'applicazione delle norme di diritto sostanziale (errores in iudicando) o nel percorrere l'iter logico che comporta tale applicazione (qualificabili come errores in procedendo). Tale giudizio si differenzia dall'appello perché non ha carattere devolutivo, nel senso che non introduce una rinnovazione del procedimento e, quindi, non può essere considerato una terza istanza dello stesso. Per quanto concerne il rapporto tra sentenza tributaria di merito e giudizio de quo, bisogna rifarsi a quanto disposto dall'art. 62 D.Lgs. n. 546/1992, secondo cui avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale può essere proposto ricorso per Cassazione, per uno dei motivi di cui ai numeri da 1 a 5 dell'art. 360, comma 1, del c.p.c.; al ricorso per Cassazione si applicano le norme dettate dal c.p.c. in quanto compatibili con quelle di cui al D.Lgs. n. 546/1992. Pertanto, a seguito della modifica operata dal D.Lgs. n. 156/2015, il quale ha aggiunto il comma 2 bis all'art. 62 del D.Lgs. n. 546/1992, se le parti sono d'accordo per omettere l'appello, la sentenza della commissione tributaria provinciale può essere impugnata con ricorso per Cassazione unicamente a norma dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., ovvero per violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziale (c.d. ricorso per saltum). Le espressioni “violazione o falsa applicazione” di legge descrivono e rispecchiano i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto, cioè quello concernente la ricerca e l'interpretazione della norma ritenute regolatrice del caso concreto e quello relativo all'applicazione della regola juris al caso concreto, una volta che la stessa sia stata correttamente individuata ed interpretata (Cass. civ., 22 febbraio 2007, n. 4178). Nello specifico, il vizio di “violazione di norme di diritto” si risolve nella negazione o nell'affermazione erronea dell'esistenza o dell'inesistenza della norma, ovvero nell'attribuzione ad essa di un contenuto che non ha riguardo alla fattispecie in essa delineata. La censura attinente alla “falsa applicazione di norme di diritto” consiste o nel ricondurre la questione concreta giudicata nell'ambito di un fatto positivo non pertinente, in quanto la fattispecie astratta da esso prevista (per rettamente individuata ed interpretata) non è idonea a regolarla, o nel trarre da tale dato conseguenze giuridiche che contraddicono la sua, pur corretta, esegesi (Cass. civ., 26 settembre 2005, n. 18782).
Perché tali vizi possano dedursi come motivo di ricorso per Cassazione, occorre che: a) la relativa questione sia stata proposta nella fase di merito; b) essa abbia formato oggetto di dibattito; c) su di essa il giudice abbia pronunciato; d) debba essere decisiva, ossia tale da comportare, se sussistente, una decisione diversa (Cass. civ., 21 gennaio 2004, n. 886). Infatti, il vizio è rilevabile solo se abbia un'efficacia causale, ovvero se abbia determinato una decisione ingiusta o erronea.
Le norme di diritto comprendono, oltre le leggi, anche la normativa secondaria che specifichi o integri, con effetti non circoscritti ai soggetti di un particolare ordinamento, la disciplina contenuta nella legge (Cass. civ., 18 gennaio 1993, n. 550). Si ritiene, altresì, censurabile la violazione e falsa applicazione della norma comunitaria dotata di efficacia diretta nell'ordinamento nazionale (Cass. civ., 25 agosto 2006, n. 18552). Ne consegue che la Corte di Cassazione, nell'esercizio della propria funzione di nomofilachia, ha il potere di rilevare l'antinomia tra la norma comunitaria direttamente efficace e quella interna con essa collidente, risolvendola con il riconoscimento della prevalenza della prima sulla seconda (Cass. civ., 14 luglio 2004, n. 13054).
Non rientrano nelle norme di diritto prese in considerazione dall'art. 360, n. 3, c.p.c., le circolari dell'Amministrazione Finanziaria, in quanto “sono atti interni, destinati ad indirizzare e disciplinare in modo uniforme l'attività degli organi inferiori e quindi hanno natura non normativa, ma di atti amministrativi, sicchè la violazione di essi non è denunciabile in Cassazione ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., potendo ivi dedursi, ai sensi della stessa norma, solo la violazione di criteri legali di ermeneutica contrattuale nell'interpretazione delle circolari medesime, oltre che ai sensi del n. 5 dello stesso articolo, vizi di motivazione nei quali il giudice di merito sia incorso nell'interpretazione della predetta” (Cass. civ., sez. trib., 10 novembre 2000, n. 14619). Sul versante procedurale, la riforma non ha dettato una disciplina specifica sulle modalità di proposizione del ricorso per saltum; si ritiene, pertanto, che in tal caso (in applicazione dei criteri di cui all'art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992), occorra fare riferimento alle norme del c.p.c. In particolare, come condivisibilmente chiarito dalla stessa Agenzia delle Entrate con Circolare n. 38/E del 2015, per la conclusione dell'accordo, soccorre l'art. 366,terzo comma, c.p.c., il quale prevede che “l'accordo delle parti deve risultare mediante visto apposto sul ricorso dalle altre parti o dai loro difensori muniti di procura speciale, oppure mediante atto separato, anche anteriore alla sentenza impugnata, da unirsi al ricorso stesso”.
Come chiarito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza 26 luglio 2006, n. 16993, l'accordo diretto all'immediata impugnazione in sede di legittimità della sentenza di primo grado costituisce un “negozio giuridico processuale, quanto meno sotto il profilo della rilevanza della manifestazione di volontà dei dichiaranti, il cui effetto immediato è quello di rendere non appellabile la sentenza oggetto dell'accordo”. Pertanto, “qualora … l'accordo non sia stato concluso dalle parti personalmente o dai loro difensori muniti di procura speciale, il ricorso per cassazione, proposto per saltum, deve essere dichiarato inammissibile, non risultando sufficiente allo scopo l'intervento dei difensori muniti di mera procura ad litem”. In ordine alla duplice modalità di conclusione dell'accordo, prevista dalla norma, si ritiene sia da preferire la stipula di un atto separato da unirsi al ricorso. Non appare opportuno, in linea generale, aderire ad un accordo “anteriore alla sentenza impugnata”, in quanto lo stesso opererebbe come una rinunciaincondizionata all'appello, senza che si conosca la motivazione della sentenza esenza che sia stato possibile valutare la presenza di vizi ulteriori rispetto a quanto indicatodall'articolo 62, comma 2-bis, consistente (come si è detto), nella violazione ofalsa applicazione di norme di diritto.
Il giudizio di Cassazione viene instaurato con la notifica del ricorso alla controparte nel termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza o, se questa non è avvenuta, entro sei mesi dalla pubblicazione della decisione, salvo, ovviamente, il periodo di sospensione feriale dei termini (dal 1° al 31 agosto).
Ai sensi dell'art. 330 c.p.c., “se nell'atto di notificazione della sentenza la parte ha dichiarato la sua residenza o eletto domicilio nella circoscrizione del giudice che l'ha pronunciata, l'impugnazione deve essere notificata nel luogo indicato; altrimenti, si notifica presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio”. Quid iuris se la notifica venga effettuata “in mani proprie” anziché presso il procuratore costituito? A tal fine bisogna rifarsi alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 546/1992. L'art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992, è espressione del principio della specialità del processo tributario rispetto a quello civilistico, secondo cui la presenza di una norma processuale tributaria esclude l'operatività di quella processuale comune. Ne consegue, quindi, che i giudici tributari debbano applicare, in via primaria, le disposizioni del rito tributario e, solo in via secondaria, le norme processuali civili, ma con il limite duplice e contestuale della compatibilità logico-giuridica tra i due sistemi processuali e della mancanza di previsioni specifiche da parte del D.Lgs. n. 546/1992. Espressione di tale ratio è, altresì, ai fini della questione che ne occupa, l'art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992 il quale, richiamando solo alcune disposizioni del codice di procedura civile e facendo al contempo salvo quanto disposto “nel presente decreto”, rende applicabile quanto codificato negli artt. 16 e 17. L'art. 16, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992 regola, in modo specifico, le “comunicazioni e le notificazioni”, dettando una disciplina speciale sia per il contribuente che per gli organi dell'Amministrazione Finanziaria; infatti, seppur richiami le norme del codice di procedura civile fa, comunque, “salvo quanto disposto dall'art. 17”. Quest'ultima disposizione (id est, art. 17 D.Lgs. n. 546/1992), in tema di luoghi delle notificazioni e comunicazioni ("Luogo delle comunicazioni e notificazioni"), innanzitutto fa "salva la consegna a mani proprie". Risulta, infatti, testualmente previsto, al comma 1, prima parte, che: "Le comunicazioni e notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all'atto della sua costituzione in giudizio". Per la corretta esegesi del dato positivo, attesa la sua natura di norma processuale e, per di più, speciale, si impone una stretta interpretazione letterale.
Orbene, l'espressione "mani proprie" non può non riferirsi a tutte le forme di notifica previste dagli artt. 137 ss. del c.p.c., tra le quali figura anche quella eseguita a mezzo del servizio postale a seguito della quale l'atto viene, comunque, consegnato direttamente al destinatario, ai sensi del comma 1 dell'art. 17 D.Lgs. n. 546/1992. Destinatario che, in virtù dell'interpretazione sistematica condotta alla luce della specialità (come già sopra esposto) del rito tributario, deve ritenersi essere la “parte costituita”, e non il “procuratore costituito”.
Di conseguenza, dal quadro normativo delineato, discende che la notificazione del ricorso per Cassazione effettuata a mani proprie della parte, sebbene la stessa si sia costituita a mezzo di un difensore nel giudizio “a quo”, sia valida ed idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione previsto dall'art. 51, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 (in tal senso, altresì, Cass. civ., sez. trib., 26 febbraio 2016, n. 3795; sez. trib., 26 marzo 2014, n. 2603). Una volta notificato, il ricorso in originale deve, ai sensi dell'art. 369, comma primo, c.p.c., essere depositato nella cancelleria della Corte entro il termine di venti giorni dall'ultima notificazione effettuata alle parti contro le quali è proposto, a pena di improcedibilità. Nel caso di litisconsorzio necessario, la Suprema Corte ha statuito che “l'impugnazione è ammissibile nei confronti di tutte le parti, anche se sia stata notificata nel termine di legge soltanto nei riguardi di una di esse e sia, invece, tardiva nei confronti delle altre perchè, in tale ipotesi, l'impugnazione notificata oltre il detto termine assume il carattere di atto integrativo del contraddittorio” ai sensi dell'art. 331 c.p.c. (sez. trib., 4 gennaio 2011, n. 170).
Qualora la Corte di Cassazione, riscontrata la nullità della notifica del ricorso, ne disponga la rinnovazione, si applica al ricorso (nuovamente) notificato, a pena di improcedibilità, il termine di deposito de quo, con decorrenza dalla data della nuova notificazione o dall'ultima notificazione quando il rinnovo sia stato disposto nei confronti di più parti (Cass. civ., 20 marzo 2003, n. 4073; Cass. civ., sez. un., 21 luglio 2004, n. 13602).
Insieme al ricorso devono essere prodotti, sempre a pena di improcedibilità, ai sensi dell'art. 369 c.p.c.: a) il decreto di concessione del gratuito patrocinio; b) la copia autentica della sentenza, con la relazione di notificazione. La previsione dell'onere di deposito, a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al primo comma dell'art. 369 c.p.c., della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di Cassazione a tutela dell'esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti), del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale, della tempestività dell'esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l'osservanza di detto termine breve. Nell'ipotesi in cui il ricorrente, espressamente o implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relazione di notificazione, il ricorso per Cassazione deve essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto del comma secondo dell'art. 372 c.p.c., applicabile estensivamente, purchè entro il termine di cui al prima comma dell'art. 369 c.p.c., dovendosi invece escludere ogni rilievo dell'eventuale non contestazione dell'osservanza del termine breve da parte del controricorrente, ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d'ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell'impugnazione.
c) la procura speciale se conferita con atto separato. L'improcedibilità è dichiarata sia in caso di inadempimento assoluto, quanto di tardività del richiesto adempimento. Il deposito di due atti in tempi diversi, legittimo se compiuto, comunque, entro il termine perentorio di venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso, rende, invece, improcedibile l'impugnazione in caso di deposito della procura successivo al termine prescritto (Cass., civ., sez. un.,22 luglio 2002, n. 10722); d) altri atti e documenti su cui si fonda il ricorso. Si intendono gli atti e documenti indispensabili per giudicare della fondatezza dello stesso e, pertanto, l'espressione non riguarda quelli relativi a circostanze obiettivamente irrilevanti, ancorchè enunciate come decisive dal ricorrente. Nel giudizio di Cassazione, ai sensi dell'art. 372 c.p.c., non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, tranne di quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l'ammissibilità del ricorso e del controricorso.
Il terzo comma dell'art. 369 c.p.c., stabilisce, inoltre, che il ricorrente deve richiedere alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata la trasmissione, alla cancelleria della Corte di Cassazione, del fascicolo di ufficio; tale richiesta è restituita al richiedente munita di visto e deve essere depositata insieme al ricorso. La Cassazione (sez. lav., 15 marzo 2002, n. 3852) ha affermato che l'omissione di tale richiesta ed il mancato deposito dell'istanza di trasmissione del fascicolo d'ufficio nel termine fissato per il deposito del ricorso, cioè venti giorni dalla notificazione, determina l'improcedibilità del ricorso stesso, ove l'esame di detto fascicolo risulti indispensabile ai fini della decisione del giudice di legittimità. Sul punto si registra, tuttavia, un contrasto, in quanto con successiva pronuncia, la Suprema Corte (3 marzo 2011, n. 5108), ha statuito che, il mancato deposito dell'istanza di trasmissione del fascicolo d'ufficio (art. 369, ultimo comma, c.p.c.), nel termine fissato per il deposito del ricorso per Cassazione, cioè entro venti giorni dalla notificazione, determina l'improcedibilità del ricorso stesso soltanto se l'esame di quel fascicolo risulti indispensabile ai fini della decisione del giudice di legittimità.
Al contrario, la semplice omessa indicazione, nel ricorso per Cassazione, del deposito degli atti e documenti di cui ai nn. 2 e 3 dell'art. 369, comma secondo, c.p.c., e della richiesta di trasmissione alla cancelleria del giudice a quo del fascicolo d'ufficio, non determina l'improcedibilità del ricorso, questa conseguendo solo ad una deficienza di carattere sostanziale, consistente nell'effettiva mancanza degli atti suindicati nell'inserto processuale e nell'indispensabilità del loro esame ai fini della decisione (Cass. civ., 9 ottobre 2003, n. 15063).
L'improcedibilità del ricorso, per i motivi di cui innanzi, è rilevabile anche d'ufficio anche se non eccepita dalla parte e non è esclusa dalla costituzione del resistente, posto che il principio di non rilevabilità della nullità di un atto per avvenuto raggiungimento dello scopo si riferisce esclusivamente all'inosservanza di forme in senso stretto e non di termini perentori (Cass. civ., 26 gennaio 2006, n. 1635; Cass. civ., 12 ottobre 2004, n. 20183).
Il controricorso ed il ricorso incidentale
La parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddire, deve farlo mediante controricorso da notificarsi al ricorrente nel domicilio eletto entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso. In mancanza di tale notificazione, essa non può presentare memorie (cioè quelle da depositare nel termine di cinque giorni prima dell'udienza di discussione, ai sensi dell'art. 378 c.p.c.), ma soltanto partecipare alla discussione orale (art. 370, comma primo, c.p.c.). La tardività del deposito del controricorso nella cancelleria della Corte di Cassazione, in quanto effettuato oltre il ventesimo giorno dalla notificazione, comporta l'improcedibilità del controricorso medesimo, ancorchè difetti un'espressa previsione da parte della norma che fissa l'indicato termine (art. 370, comma terzo, c.p.c.). Tale sanzione deriva, infatti, dal sistema, che impone alla parte che intende portare tempestivamente a conoscenza del giudice e del ricorrente le proprie ragioni, presentando memorie prima dell'udienza di discussione, di sottostare all'onere processuale che le è imposto (Cass. civ., 12 settembre 2005, n. 18091; Cass. civ., 21 aprile 2006, n. 9396).
L'inammissibilità del controricorso non incide, però, sulla validità ed efficacia della procura speciale rilasciata a margine di esso dal resistente al difensore, che può partecipare in base alla stessa alla discussione orale (Cass. civ., 27 maggio 2005, n. 11275).
È necessaria, per l'ammissibilità del controricorso, l'indicazione degli elementi indispensabili per la sua identificazione (l'indirizzo alla Corte, l'indicazione delle parti e della sentenza impugnata) e per la validità della costituzione nel processo (la sottoscrizione di un avvocato iscritto all'albo munito di procura e l'indicazione della procura), mentre sono rimessi alla prudente valutazione della parte l'esposizione, più o meno analitica, dei fatti della causa e delle ragioni addotte per contrastare i motivi dedotti (Cass. civ., 20 giugno 2008, n. 16809).
Se il resistente, oltre a prendere posizione sui motivi di ricorso proposti dal ricorrente, vuole impugnare anch'esso la sentenza, nelle parti in cui è risultato soccombente, deve proporre ricorso incidentale nei termini di proposizione del controricorso.
Tuttavia, anche la parte totalmente vittoriosa in appello sarà legittimata a proporre ricorso incidentale solo nell'ipotesi in cui intenda riproporre in Cassazione l'eccezione di giudicato interno, mentre in tutti gli altri casi è priva di interesse processuale al ricorso. Sebbene il comma primo dell'art. 371 c.p.c., preveda che il ricorso incidentale debba essere proposto con l'atto contenente il controricorso, ciò non toglie che detta modalità non debba considerarsi come essenziale, sicchè lo stesso potrà assumere la veste di un atto autonomo, indipendentemente dalla proposizione del controricorso, ferma restando l'esigenza che esso venga notificato nel termine (di quaranta giorni dalla notifica del ricorso principale), stabilito in base al combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., per la proposizione del ricorso incidentale. Il ricorrente principale a sua volta potrà, quindi, presentare controricorso al ricorso incidentale del resistente, secondo le modalità ed i termini sopra esposti.
È necessario rilevare come il ricorso incidentale possa essere anche “condizionato” e ciò accade nelle seguenti ipotesi:
Per le domande o eccezioni non esaminate, o ritenute assorbite dal giudice di merito, non è ammissibile neppure il ricorso incidentale condizionato, in quanto sul punto non è stata pronunciata alcuna decisione, sicchè l'eventuale accoglimento del ricorso principale comporta, pur sempre, la possibilità di riesame nel giudizio di rinvio di dette domande o eccezioni. |