La prova certa per contestare le fatture false non è necessaria

La Redazione
24 Maggio 2017

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 12649/2017, ricorda che l'Amministrazione non ha la necessità di offrire la “prova certa” dell'inesistenza delle operazioni.

Il Fisco può disconoscere la detrazione di imposta basandosi anche su presunzioni che dovranno essere valutate dal giudice. Lo sostiene la Corte di Cassazione con l'ordinanza pubblicata il 19 maggio 2017, n. 12649, con la quale la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate.

Nell'ordinanza, i giudici di legittimità hanno sostenuto il principio secondo cui l'Amministrazione finanziaria può disconoscere la detrazione anche basandosi sulle presunzioni, come dall'art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633/1972 (per l'IVA). «La CTR […] ha affermato erroneamente e con eccessiva concisione la necessità da parte dell'Amministrazione di offrire “prova certa” dell'inesistenza delle operazioni, in modo assertivo e senza accompagnare tale statuizione con alcuna disamina degli elementi presuntivi acquisiti nel corso del giudizio», hanno asserito i Giudici.

Inoltre, sulla scorta della pronuncia della Corte Europea C-277/14, la Cassazione ha anche affermato che «in alcuni casi l'onere probatorio dell'amministrazione finisce con l'appesantirsi, in quanto, di norma, non è possibile esigere che il cessionario/committente, al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni nella catena delle cessioni, verifichi che l'emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi ne disponesse e fosse in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell'IVA, o che disponga dei relativi documenti».

Resta comunque un obbligo di verifica in capo al cessionario/committente, a fronte di indizi che gli consentano di sospettare l'esistenza di irregolarità o di evasione.

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