La “rottamazione delle liti tributarie”

Francesco Pistolesi
24 Luglio 2017

La “rottamazione delle liti fiscali” si colloca sulla scia della “rottamazione dei ruoli”, rappresentandone un misura compensativa ed equivalente. Le divergenze fra le due discipline sono essenzialmente legate al fatto che la “rottamazione delle liti” è stata significativamente influenzata dalla “chiusura delle liti fiscali pendenti”, di cui all'art. 16, L. n. 289\2002. Alcuni dubbi, relativi soprattutto alle modalità di estinzione delle cause “rottamate”, possono superarsi in via interpretativa, a meno che non siano risolti dalle disposizioni attuative di prossima emanazione.
Inquadramento

La “definizione agevolata delle controversie tributarie”, introdotta dall'art. 11, D.L. n. 50/2017 convertito dalla L. n. 96/2017, è nota come “rottamazione delle liti fiscali”.

La ragione di tale appellativo è presto detta: l'art. 11 si pone in ideale continuità con l'art. 6, D.L. n. 193/2016 convertito dalla L. n. 225/2016 sulla “rottamazione dei ruoli”.

Ne condivide l'impostazione essenziale e ne rappresenta una sorta di completamento.

Si capisce, perciò, perché – nonostante le tante invocazioni di modifiche sostanziali del D.L. n. 50 – ne sia stato conservato l'originario assetto.

Se si fosse permesso – come da più parti richiesto – di parametrare l'entità del quantum dovuto per definire le cause tributarie al relativo esito al momento della presentazione della domanda di sanatoria o dell'entrata in vigore dell'art. 11, sarebbe venuto meno il parallelismo con la “rottamazione dei ruoli”.

Come quest'ultima sanatoria consentiva di evitare il versamento di sanzioni e interessi di mora (oltre ai correlati aggi spettanti al concessionario della riscossione), così avviene ora con la “rottamazione delle liti”.

Non solo, che l'art. 11, D.L. n. 50 rappresenti una misura compensativa (per sanare rapporti non definibili con la “rottamazione dei ruoli”, come succedeva quando la pretesa non fosse stata ancora affidata all'agente della riscossione o il contribuente fosse risultato completamente vittorioso) ed equivalente (avuto riguardo a quanto richiesto per beneficiarne) rispetto all'art. 6, D.L. n. 193/2016 lo testimonia la necessaria conservazione degli effetti della “rottamazione dei ruoli” ove si aderisca pure alla “rottamazione delle liti” (se vengono sanate le frazioni dei rapporti controversi non interessate dalla prima sanatoria, come quelle che vedevano vittorioso il privato; sì che le due definizioni agevolate coesistono), con il conseguente scomputo di quanto versato per la prima sanatoria dalle somme richieste per la seconda (oltre a quelle pagate provvisoriamente nel corso del giudizio).

Diversità fra la “rottamazione delle liti” e la “rottamazione dei ruoli”

Ciò nonostante, le due misure agevolative mostrano significative differenze.

In prima battuta, l'art. 11, co. 2, per la causa vertente solo su interessi di mora o sanzioni non collegate ai tributi, condiziona la definizione al pagamento del 40% degli importi controversi.

Diversamente, se il contribuente avesse aderito alla “rottamazione dei ruoli”, la sanatoria non avrebbe comportato alcun esborso.

Qual è la ragione di tale diversità?

Come emergerà pure in seguito, l'art. 11 risulta significativamente influenzato dall'art. 16, L. n. 289/2002 sulla “chiusura delle liti fiscali pendenti”, nel cui contesto il valore delle cause definibili era assunto al netto delle sanzioni, salvo che non si trattasse di quelle non collegate al tributo.

Pertanto, anche adesso – ribadendo, nella sostanza, l'impostazione dell'art. 16, L. n. 289 – è considerata come lite autonoma quella riguardante le sanzioni da ultimo indicate e gli interessi di mora e se ne prevede, appunto, la peculiare sanatoria versando il 40% delle somme formanti oggetto del contendere.

Ancora, la “rottamazione dei ruoli” si perfezionava col saldo dell'intero importo dovuto. Ciò era più che ragionevole, dato che la sanatoria interessava la fase della riscossione e si poteva quindi ammettere un abbattimento dei carichi pendenti purché il pagamento avvenisse per intero, oltre che celermente e anticipatamente rispetto agli eventuali esistenti piani di rateazione.

Qui, invece, il perfezionamento avviene col versamento della prima rata e si applica l'art. 8, D.Lgs. n. 218/1997. Ossia, grazie al rinvio all'art. 15-ter, d.P.R. n. 602/1973, la mancata corresponsione di una rata diversa dalla prima determina l'iscrizione a ruolo dei residui importi con l'aggravio della sanzione del 45% ragguagliata al debito d'imposta ed operano le favorevoli disposizioni sul cd. “lieve inadempimento” nell'attuazione della rateazione. Soluzione, questa, simile a quella seguita per la “chiusura delle liti fiscali pendenti”, costituente – di nuovo – il parametro di riferimento dell'art. 11.

Nella “rottamazione dei ruoli”, poi, non rilevavano ai fini del calcolo del dovuto le somme versate prima di accedere alla definizione per interessi e sanzioni, mentre in questo caso lo scomputo di tali importi va ammesso, sia alla luce del co. 7 dell'art. 11 che in ragione dell'analoga esperienza maturata, di nuovo, per la “chiusura delle liti fiscali pendenti”.

Pure il procedimento si differenzia rispetto a quello della “rottamazione dei ruoli”. Mentre in quest'ultimo caso era Equitalia a comunicare quanto occorrente per beneficiare della definizione, nella “rottamazione delle liti” è il contribuente a liquidare le somme dovute e l'Ente impositore può negare la definizione con atto notificato entro il termine del 31 luglio 2018.

La differenza si spiega anzitutto col fatto che il conteggio delle somme occorrenti per godere della “rottamazione dei ruoli” poteva risultare più complesso rispetto alla quantificazione del dovuto in base alla “rottamazione delle liti”.

Si aggiunga che il contribuente nel contenzioso è, di regola, assistito da un professionista, cui verrà demandato il compito di calcolare quanto occorrente per godere della sanatoria. Ciò che, invece, poteva non verificarsi nella “rottamazione dei ruoli”, sì che è stato opportuno sollevare l'interessato dall'onere di determinare le somme necessarie per accedere a tale definizione.

Questo assetto, inoltre, è frutto dell'esempio rappresentato dalla menzionata “chiusura delle liti fiscali pendenti”, da cui l'art. 11 ha mutuato pure l'insoddisfacente disciplina dell'impugnazione del diniego della definizione, che è rimessa alla cognizione del Giudice presso cui pende la lite. Con l'incongruo risultato che la Cassazione può decidere in unico grado le questioni di merito sulla “rottamabilità” o meno della causa.

Tuttavia, questo assetto è stato condiviso dalla giurisprudenza di legittimità (si veda, in particolare, Cass. civ., sentenza n. 7892/2005) e costituzionale (si veda Corte Cost. ordinanza n. 107/2007) che si è espressa sull'art. 16, L. n. 289/2002.

Insomma, e per concludere sul punto, le principali divergenze applicative fra i due provvedimenti agevolativi vanno proprio ascritte all'assimilazione dell'art. 11 alla “chiusura delle liti fiscali pendenti”.

Problemi interpretativi

Una volta evidenziate le principali affinità e differenze fra le due sanatorie succedutesi negli ultimi mesi, val la pena soffermarsi su alcune questioni interpretative poste da una prima lettura dell'art. 11.

In attesa delle norme attuative che verranno adottate dal Direttore dell'Agenzia delle Entrate e dei chiarimenti interpretativi che la medesima Agenzia fornirà, quelli di seguito evidenziati sembrano i temi che susciteranno maggiore attenzione fra coloro che si confronteranno con questa disciplina.

​Un primo dubbio riguarda l'individuazione delle controversie definibili in termini agevolati.

​Col co. 1-bis, introdotto in sede di conversione, si è rimessa alla determinazione di ciascun Ente territoriale la possibilità di consentire l'applicazione dell'art. 11 alle liti tributarie che lo vedono quale parte processuale.

Niente, viceversa, è stabilito per le cause promosse solamente contro Equitalia o gli altri agenti della riscossione.

​Mentre per i concessionari diversi da Equitalia non sussistono senz'altro i presupposti per affermare la “rottamabilità” delle relative controversie, sorge un dubbio per le cause avviate in primo grado contro la suddetta Equitalia poiché, stando all'art. 1, co. 2, D.L. n. 193/2016, l'esercizio delle funzioni della riscossione è stato “riattribuito” all'Agenzia delle Entrate.

Tuttavia, come si ritrae dal successivo co. 3 dell'art. 1, per svolgere dette funzioni è istituito un ente pubblico economico, denominato “Agenzia delle Entrate-Riscossione”, che subentra in tutti i rapporti – anche processuali – di Equitalia, autonomo e distinto rispetto all'Agenzia delle Entrate. Si legge, invero, in detto co. 3 che tale ente “ha autonomia organizzativa, patrimoniale, contabile e di gestione”.

Perciò, non potendosi ravvisare la successione dell'Agenzia delle Entrate nei rapporti processuali facenti capo ad Equitalia, le cause promosse contro quest'ultima non rientrano nell'ambito di operatività dell'art. 11.

Inoltre, il co. 3 dell'art. 11 rende definibili le cause il cui ricorso in primo grado sia stato notificato alla controparte entro la data di entrata in vigore del D.L. n. 50/2017, ossia entro il 24 aprile 2017, e per le quali alla data di presentazione della domanda di accesso alla sanatoria i relativi processi non si siano conclusi con pronunce definitive.

Questo significa che nulla impedisce al contribuente di attendere l'esito della causa (di merito, per la fase di cassazione il discorso è più articolato, come si dirà subito) la cui trattazione venga fissata nelle more del termine di adesione alla “rottamazione delle liti” (termine fissato al 30 settembre 2017, ma presumibilmente destinato ad essere prorogato, considerato che mancano ancora le norme attuative e i chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate) e di decidere poi – a seconda del relativo esito – se avvalersene o meno. Se ne trae conferma, per un verso, dal co. 7 dell'art. 11, allorché stabilisce che “gli effetti della definizione perfezionata prevalgono su quelli delle eventuali pronunce giurisdizionali non passate in giudicato prima dell'entrata in vigore del presente articolo”: quindi, se solo il giudicato formatosi prima del 24 aprile 2017 preclude la sanatoria, è innegabile che le sentenze rese successivamente a tale data non rilevino affatto ai fini della possibilità di giovarsi della definizione agevolata. Per l'altro verso, il successivo co. 8, quando esclude che le controversie definibili siano sospese finché è consentito godere della “rottamazione” a meno che il contribuente non faccia istanza in tal senso al Giudice “dichiarando di volersi avvalere delle disposizioni del presente articolo”, ribadisce la correttezza di quanto sopra osservato.

Si noti, però, che, oltre al giudicato venuto ad esistenza prima dell'entrata in vigore dell'art. 11, anche quello formatosi in seguito e prima della proposizione della richiesta di “rottamazione” ne ostacola la fruizione.

In particolare, siccome in virtù del co. 9 dell'art. 11 per tutte le controversie definibili sono sospesi per sei mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle sentenze nonché quelli di riassunzione scadenti dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 50 (24 aprile 2017) fino al 30 settembre 2017, non possono divenire irretrattabili le pronunce di merito e quelle di cassazione con rinvio per le quali erano pendenti i suddetti termini al 24 aprile 2017. Identica è la sorte delle sentenze di merito depositate nelle more del termine (anche se prorogato, come pressoché sicuramente avverrà) di adesione alla sanatoria.

Però, se – nel periodo in cui può ricorrersi alla “rottamazione” – si dovesse pronunciare la Corte di Cassazione con sentenza che definisce il giudizio (ossia senza rinviare la causa al Giudice di merito), la definizione agevolata sarebbe interdetta. La causa, difatti, non sarebbe più pendente al momento dell'istanza di sanatoria, in quanto il relativo processo risulterebbe “concluso con pronuncia definitiva”, come previsto dal co. 3 dell'art. 11.

Ancora, va segnalata una novità rispetto al modello della “chiusura delle liti fiscali pendenti”, assunto – come si è visto – a riferimento dell'istituto in esame.

L'art. 16, co. 8, L. n. 289/2002 rimetteva all'Ente impositore la comunicazione al Giudice dell'intervenuta sanatoria. Le liti interessate dalla definizione risultavano sospese e l'estinzione del giudizio avveniva dopo che detto Ente avesse attestato la regolarità della relativa domanda e il pagamento integrale del dovuto.

Ora, si è invece innovato introducendo un meccanismo che solleva più di una perplessità e potrebbe generare difficoltà applicative.

Anzitutto, spetta al privato – che abbia invocato la sospensione del processo ai sensi del co. 8 dell'art. 11 – depositare copia della domanda di definizione e del versamento del dovuto o della prima rata entro il 10 ottobre 2017 e, ove ciò accada, il processo “resta sospeso fino al 31 dicembre 2018” e si estingue qualora, entro tale ultima data, la parte che vi ha interesse non presenti istanza di trattazione.

Il termine del 10 ottobre 2017, in verità, è riferito ai soli casi nei quali il contribuente abbia rivolto al Giudice la richiesta di sospensione del giudizio, che il co. 8 dell'art. 11 prescrive si protragga fino al 10 ottobre 2017.

Che devono fare, quindi, coloro che abbiano “rottamato la propria controversia fiscale ma non abbiano chiesto la sospensione del giudizio?

L'art. 11 non lo chiarisce.

Dunque, in mancanza di disposizioni che – ove tale sospensione non sia stata sancita – rimettano all'Ente impositore di comunicare la sanatoria al Giudice, non è azzardato ritenere che l'onere ed il termine suddetti valgano per tutte le cause “rottamate”.

Ciò, naturalmente, a meno che le emanande norme attuative non dispongano diversamente e in termini analoghi all'art. 16, L. n. 289/2002.

Ad ogni modo, ipotizzando che l'onere di depositare l'adesione alla sanatoria e la prova del pagamento faccia carico a tutti i contribuenti, l'estinzione del processo in mancanza di istanza di trattazione ai sensi del co. 10 dell'art. 11 non potrebbe registrarsi qualora difetti la pronuncia di sospensione.

Difatti, in tale ultimo caso, non potrà verificarsi l'effetto prescritto dal co. 8 dell'art. 11, secondo cui “il processo resta sospeso”. Ovviamente, non può “restare” sospeso altro che il giudizio che sia stato dichiarato tale dal Giudice. E può estinguersi, in mancanza di istanza di trattazione, il solo processo per cui, appunto, sia stata decretata la sospensione. Talché, il giudizio non sospeso non potrà che essere dichiarato estinto per cessazione della materia del contendere ex art. 46, D.Lgs. n. 546/1992.

Insomma, v'è da auspicare che le norme attuative riservino il meccanismo di estinzione di cui al co. 10 dell'art. 11 ai soli frangenti nei quali, nel lasso temporale dell'attuazione della “rottamazione”, sia stata pronunciata la sospensione del processo ed individuino diverse modalità di comunicazione della sanatoria e di cessazione della materia del contendere per le altre controversie.

Connesso al tema testé affrontato è quello della perentorietà o meno del termine – fissato al 31 luglio 2018 dal co. 10 dell'art. 11 – entro cui va notificato l'eventuale diniego della definizione.

Pare evidente che tale termine vada correlato a quello, previsto sempre dallo stesso co. 10, del 31 dicembre 2018 di estinzione del giudizio relativo alla lite “rottamata” in mancanza di istanza di trattazione. Istanza che potrebbe avere interesse a proporre anche l'Ente impositore qualora abbia negato la sanatoria e l'estinzione del processo potrebbe pregiudicarlo (come avverrebbe se, in esito a siffatta estinzione, passasse in giudicato la sentenza di primo o di secondo grado in tutto o in parte favorevole al privato).

Stante la rilevata correlazione col termine di estinzione della lite, sembra inevitabile che quello di notifica del diniego sia perentorio. In sostanza, se entro il 31 luglio 2018 non è stata esclusa l'operatività della sanatoria, il processo sospeso si estingue e non potrebbe ammettersi una (tardiva) istanza di trattazione dell'Ente impositore, volta ad escludere gli effetti della “rottamazione”.

E nei casi nei quali in processo non sia stato sospeso vale la stessa conclusione?

La ragionevolezza, la necessità di evitare disparità di trattamenti e l'esigenza di assicurare l'efficiente svolgimento delle attività amministrative inducono ad affermare la perentorietà di tale termine in ogni circostanza.

Viene, ulteriormente, da chiedersi cosa accada in caso di mancato o tardivo rispetto dell'onere di comunicazione gravante sul contribuente, sia esso riferito a tutte le cause “rottamate” o meno.

Posto che l'art. 11 non ha comminato alcuna sanzione, si è portati a ritenere che – qualora il privato non produca tali documenti o lo faccia tardivamente – non si verifichi alcuna conseguenza e il Giudice, reso edotto del perfezionamento della definizione agevolata dal contribuente o dall'Ente impositore, dichiari, a seconda dei casi, estinto il giudizio (se già sospeso) o cessata la relativa materia del contendere.

In conclusione

In conclusione, due considerazioni che confermano l'assonanza fra la misura in esame e la “rottamazione dei ruoli” con cui abbiamo dato avvio a questi brevi cenni di commento dell'art. 11.

Si tratta, in entrambi i casi, di misure che mirano solo a recuperare il gettito necessario per scongiurare l'incremento della tassazione a regime. Lo dimostra l'assenza di ragioni impellenti che potessero, in qualche modo, giustificare le definizioni agevolate: non siamo, difatti, al cospetto di alcuna significativa riforma del contenzioso tributario e della riscossione, non potendosi certamente qualificare come tale la soppressione di Equitalia e l'attribuzione delle relative funzioni all'Agenzia delle Entrate.

Infine, ambedue le sanatorie mostrano, purtroppo, l'esistenza di una persistente contraddizione insita nel nostro ordinamento: da un lato, v'è un apprezzabile incentivo, oltretutto sempre più spiccato negli ultimi tempi, a giungere a soluzioni condivise dei rapporti tributari e a favorire la compliance del privato (si pensi alla riforma degli interpelli, all'ampliamento della mediazione e alle norme sull'adempimento collaborativo, sulla dichiarazione precompilata, sulla fatturazione elettronica, sul più ampio ravvedimento operoso, etc.) e, dall'altro, si assiste al perdurante ricorso a “condoni” variamente denominati ma sempre comportanti la frustrazione dell'operato dei contribuenti corretti e dell'Amministrazione finanziaria.

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