L’accertamento con adesione non intacca la nozione di profitto del reato
28 Aprile 2017
La Terza sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 19997/2017, si è pronunciata sulla peculiare problematica di natura cautelare – data della sopravvenienza, rispetto alla determinazione dell'imposta evasa da parte dell'Amministrazione finanziaria coincidente con quella presa a riferimento per la formulazione dell'imputazione in sede penale – di un accertamento con adesione formalizzato dall'Agenzia delle Entrate con l'indagato, da cui trae origine l'istanza di dissequestro.
Sul punto i Giudici hanno optato per l'inammissibilità del ricorso proposto dal ricorrente, in forza del principio di autonomia: infatti, nei reati concernenti l'evasione dei tributi, è rimesso al giudice penale il compito di accertare e determinare l'ammontare dell'imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi o anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata innanzi al giudice tributario. Il fatto che l'imputazione del reato sia conseguenziale ad un accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari non comporta l'automatico venir meno dell'ipotesi delittuosa originaria, quanto meno sul piano dell'accertamento cautelare.
Pertanto pur dovendosi ribadire che il sequestro non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, è tuttavia la stessa nozione di profitto a non essere automaticamente intaccata dalla determinazione concordata del tributo, la quale, deve essere comunque vagliata sul piano della maggiore o minore attendibilità rispetto all'iniziale quantificazione dell'imposta dovuta.
Secondo i Giudici di legittimità, dunque, il giudice penale, in ragione della natura negoziale dell'accordo e della sua possibile causa transattiva, non è vincolato nella determinazione dell'imposta evasa rispetto alla originaria pretesa fatta valere dallo stesso Erario. |