Meretricio equiparabile a lavoro autonomo: sì all'IRPEF
28 Luglio 2016
Intestataria di numerose autovetture (anche di lusso), acquirente di un appartamento, titolare di vari contratti di locazione immobiliare, intestataria di dieci conti correnti attivi e di gestioni patrimoniali. Questo il frutto dell'attività svolta dalla contribuente che, pur non avendo mai presentato dichiarazione dei redditi, si vedeva destinataria di verifiche fiscali eseguite dalla Guardia di finanza. L'attività da essa svolta – senza dubbio proficua – ha generato campanellino d'allarme per l'Amministrazione finanziaria che emettendo avviso di accertamento intendeva recuperare a tassazione ai fini IRPEF il reddito dalla contribuente prodotto.
La contribuente si difendeva sostenendo la non tassabilità dei redditi accertati in quanto provento dell'attività di prostituzione dalla stessa esercitata. Sul punto la CTP accoglieva parzialmente il ricorso, sostenendo che i proventi dell'attività di meretricio avessero sì rilevanza reddituale, ma riteneva che essi fossero soltanto i versamenti sui conti corrente effettuati in contanti, escludendo i versamenti mediante assegno. Daltro canto la CTR accoglieva l'appello proposto dall'appellante Agenzia e confermava che i proventi dell'attività di prostituzione dovevano essere compresi nella categoria residuale dei "redditi diversi" quale prestazione volontaria di un servizio dietro corrispettivo.
La questione giunge in Cassazione dove non trova accoglimento. Il Testo Unico delle imposte sui redditi non contiene una definizione unitaria del concetto di "reddito", ma prevede varie categorie reddituali, il cui elemento comune è costituito dalla derivazione del reddito da una fonte produttiva. La categoria dei redditi enunciata dall'art. 6 del d.P.R. n. 602/1973 è stata ampliata dall'art. 14 della L. n. 537/1993, secondo cui i proventi derivanti da illecito penale, civile o amministrativo sono sottoposti a tassazione in quanto classificabili in una delle categorie reddituali previste dall'art. 6 cit. Ciò, dunque – specificano i giudici – consente che i proventi delle attività illecite comportino che venga riconosciuta natura reddituale all'attività di prostituzione, di per sé priva di profili di illeceità (cosa ovviamente diversa è l'illecito penale di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione). La tassabilità dei proventi dell'attività di prostituzione è stata avallata a livello Comunitario dalla Corte di Giustizia (vedi causa C-268/1999 del 20 novembre 2001), dove è stato affermato che "la prostituzione costituisce una prestazione di servizi retribuita la quale rientra nella nozione di attività economica e che spetta al giudice nazionale accertare, caso per caso, se sussistono le condizioni per ritenere che sia svolta come lavoro autonomo". Nel caso di specie tale considerazione è stata effettuata, ed è emerso che l'attività è, senza dubbio, assimilabile a quella di lavoro autonomo, pertanto rientrante nei "redditi diversi" ai sensi dell'art. 6 e 67 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. |